In piedi nella neve
Letteratura italiana
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We are the champions
Da oggi, 10 febbraio 2015, nella collana “Einaudi ragazzi” è disponibile “In piedi nella neve” di Nicoletta Bortolotti.
L’opera romanza il celebre incontro-scontro di football, disputato nel 1942 da ufficiali tedeschi e calciatori ucraini per lo più campioni della Dinamo Kiev.
Nel 1942 l’Ucraina è dilaniata tra il totalitarismo di Stalin (“Nazismo o comunismo a me non importa niente, sbotta papà. Io voglio solo giocare a calcio”) e l’occupazione nazista (“La borsa nera, invece, fa affari d’oro: per il latte e il burro bisogna pagare lo stesso prezzo di una bicicletta”). I campioni del calcio vengono impiegati come prigionieri di guerra nel panificio diretto da Kordik (“Un po’ farabutto, perché pur di stare a galla fa l’amico dei nazisti…”) e sono selezionati nello Start, il team che affronta la squadra nemica una prima volta nel luglio del 1942 (5-1), poi nella rivincita passata alla storia come “partita della morte” (5-3).
Nonostante le minacce subite, un arbitro di parte e la prospettiva della deportazione, i giocatori dello Start diedero una dimostrazione di orgoglio e dignità, battendosi per la vittoria dopo un attimo di esitazione che consentì ai tedeschi di agguantare un temporaneo pareggio, intervenuto dopo che un ufficiale tedesco - nella pausa tra primo e secondo tempo - raggiunse gli ucraini nello spogliatoio e intimò loro di perdere. Molto famoso è l’episodio che umiliò i tedeschi nel secondo tempo: l’attaccante Klymenko scartò tutti gli avversari, portiere compreso, e anziché insaccare la palla per la sesta volta nella rete, si fermò sulla linea di porta e calciò il pallone verso il centro del campo. Questa prestazione sportiva segnò la sorte dei campioni: furono deportati, torturati e, quasi tutti, uccisi per rappresaglia…
In qualità di narratrice, Nicoletta Bortolotti veste i panni di Sasha, la figlia del portiere (“Mi sento come… Come mio padre, adesso che non può più giocare a calcio”), e attraverso gli occhi ora atterriti, ora increduli della quattordicenne, immagina la vicenda dal punto di vista di una ragazzina che - con gli amici Maksym, figlio di un terzino, e Ania, figlia di una soprano ebrea vittima delle persecuzioni razziali – sperimenta sulla propria pelle gli orrori, le miserie (“Una gustosissima zuppa cucinata con le ortiche che ho raccolto dietro il muretto lungo il lato esterno della panetteria”) e l’odio della guerra.
Questa prospettiva adolescenziale (“Quanto tempo è ‘prima di quanto tu pensi’? Esiste un orologio abbastanza grande per misurarlo?”) consente di affrontare in modo credibile ed emotivamente coinvolgente i drammi personali (“Vorrei essere la figlia che desiderava lei: generosa, gentile, femminile, e invece le è toccata una ladra, invidiosa, ribelle, che si diverte coi giochi da maschi”), familiari (“Le chiamano tessere dei sogni. O della fame. Ci scrivono la quantità di viveri cui ognuno ha diritto… Mia madre custodisce le nostre tessere come una sacerdotessa”) e storici (“Io non sono quelli della razza ariana… ma sicuramente appartengo a una razza superiore alla tua!”) che i ragazzi sono costretti a vivere: Sasha è femmina, ma ama il calcio (“Sasha, tu non devi più giocare a calcio”); Maksym è maschio, ma ama la danza (“Lui se ne va lontano dall’area a provare i passi di quel ballerino americano che batte sempre i tacchi e si chiama Fred Astaire”); Ania sembra vivere all’ombra del ricordo della madre, il cui fantasma ancora si aggira in una Kiev inquietante e occupata, mentre sulle rive del Dnper i giochi infantili (“Abbiamo nascosto un tesoro lungo le sponde del Dnepr, fra le canne piumate e i gechi di palude”) cedono il passo alle prime delicate e accennate esperienze sentimentali.
Con grazia compositiva Nicoletta Bortolotti dosa passaggi psicologici, colloqui e pensieri, intercalando ai dialoghi gli eventi storici e interpolando la trama con una fantasia (“Io e Maksym abbiamo deposto il tesoro in un bauletto di legno, poi lo abbiamo seppellito ai piedi di un carpino”) degna dell’età dei protagonisti.
Ritengo l’opera particolarmente indicata a mantenere viva la memoria e l’attenzione su eventi che hanno macchiato la coscienza dell’uomo; l’interesse calcistico si rivela strumento privilegiato per catturare l’attenzione delle nuovissime generazioni e costituisce per gli adulti un nuovo spunto per rivivere i racconti di genitori e nonni che hanno vissuto direttamente il secondo conflitto mondiale.
Bruno Elpis