I tacchini non ringraziano
Letteratura italiana
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Che cosa penseranno gli animali di noi?
Anche quest’opera di Camilleri risale ad una idea di circa dieci anni fa, come “Il cuoco dell’Alcyon”. Se viene pubblicata solo ora (come scrive l’autore in una nota) lo si deve ai due piccoli pronipoti, ai quali queste storie di animali sono dedicate. Sono dodici storie, dodici incontri con animali di ogni genere, cani, gatti, uccelli, maiali, vipere, capre, tutti con un loro percorso significativo per la vita di Camilleri. Un agile libretto, che si legge in poche ore. Non ci sono avventure mirabolanti né riflessioni filosofiche sugli strani rapporti uomo-animale, ma solo appunti di vita vissuta, ricordi d’infanzia messi giù con stile semplice, colloquiale, privo di fronzoli, che ci fanno capire quanto contino gli animali per l’autore, che sembra amarli incondizionatamente, al punto da temere un loro ipotetico giudizio sulla nostra razza, quella umana. Alcune sono storie commoventi, come quella delle capre girgentane in via di estinzione o del cane denutrito che soccorre una gatta ammalata portandole pezzetti di carne, altre buffe e singolari: vale per tutte quella del cardellino Pimpi che sapeva imitare, addirittura “con voce rauca e profonda, dall’accento inconfondibilmente siciliano”, la voce stessa di Camilleri. Il racconto che dà il titolo al libro (“I tacchini non ringraziano”) si riferisce alla strage dei poveri e grassi pennuti in occasione del Thanksgiving Day negli Stati Uniti, una morte annunciata incontro alla quale i tacchini vanno con “suprema dignità”. L’autore è totalmente dalla loro parte. Proprio per questo stridono (ed è forse l’unica pecca del libro) i due racconti che citano episodi di caccia: “Il lepro che ci beffò”, in cui si narra dell’astuzia di un “lepru” (maschio della lepre in siciliano!) che si finge morto per sfuggire al padre di Camilleri, cacciatore, che credeva di averlo colpito a morte, e “L’incantesimo della volpe”, che descrive lo stupore di un giovane Camilleri cacciatore, incantato dai riflessi del sole sul folto pelo di un cane, che lo affascinano e gli fanno perdere la preda, una volpe appunto, causa inconsapevole di un fortunato incantesimo. Ma Camilleri è ben consapevole di amare incondizionatamente il mondo animale. Basta leggere la nota alla fine de0060043 libro, che va ben oltre: “se veramente un giorno riusciremo a sapere quale opinione hanno di noi gli animali, sono certo che non ci resterà da fare altro che sparire dalla faccia del pianeta, sconvolti dalla vergogna”. Infine, è d’obbligo citare i disegni di animali stilizzati che animano i racconti: sono di Paolo Canevari, uno degli artisti italiani più noti a livello internazionale.
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Dalle parti della mia casa in Toscana
Protagonisti de I tacchini non ringraziano di Andrea Camilleri sono in prevalenza animali domestici – cani, gatti e uccelli – ma c’è spazio anche per qualche rettile (L’anno della grande caccia: “Ci metta due o tre ricci, I ricci se le mangiano, le vipere… Era un verdone… don Gaetano…”).
I racconti traggono ispirazione da esperienze vissute nella casa di campagna dello scrittore (“Si aggirano strani uccelli dalle parti della mia casa in Toscana. La casa si trova nelle vicinanze del Monte Amiata a 850 metri d’altezza ed è circondata da un bel pezzo di campagna”).
In tutta sincerità credo che con gli animali si possano scrivere ben altri racconti (del resto la letteratura è ricca di esempi illustri da Esopo, Fedro, La Fontaine, Andersen e via discorrendo) e anche i disegni – sagome nere stilizzate – non sono certo un omaggio alla fantasia e ai colori della fauna.
In alcune storie aleggia l’ombra della caccia (Il lepro che ci beffò: “Portavamo doppiette cariche ma aperte e appoggiate al braccio”) e della prigionia (Pimpigallo e il cardellino: “Anche lui doveva essere un evaso pentito della fuga”).
Giudizio finale: benevolo ed empatico. Forse gli animali meriterebbero qualcosa di più da un grande scrittore come Camilleri…
Bruno Elpis
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