Zoo
Letteratura italiana
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Come animali in gabbia
Thriller/horror davvero disturbante e claustrofobico "Zoo" si svolge in un'unica location. La cosa non tragga in inganno, Paola Barbato sa come evitare la ripetitività, il suo lavoro è un concentrato di azioni limitate nei movimenti ma psicologicamente caratterizzate da un dinamismo eccellente, in cui il perverso "gioco" di un presunto rapitore seriale rende la situazione a dir poco angosciante. Le interazioni verbali, e più raramente fisiche, vengono gestite con maestria sino ad un finale serratissimo in cui non tutte le ellissi narrative si chiudono perfettamente (come quelle inerenti la vita privata della protagonista), in cui però la cifra stilistica diretta e cruda dell'autrice è in grado di fare la differenza. La riuscita costruzione di una sorta di zoo dove ogni prigioniero è allegoria animalesca, viene basata su di un ordine costituito dominato da consuetudine e paura. Barbato descrive Anna come la potenziale variante impazzita in grado di incrinare determinate regole, questo attraverso un percorso in cui l'inizialmente terrorizzata e schiva protagonista cresce in aggressività sfruttando al meglio la sua indole dominante. È abbastanza intuitivo riconoscere in questo aberrante microcosmo una metafora sociale di natura nichilista, in cui i prigionieri accettano la negazione della libertà e, con essa, della loro dignità, in cambio di infimi "contentini". Anna è l'esemplare prodotto della società attuale: ambiziosa, crudele e arrivista, risulta personaggio da un lato respingente ma impossibile da odiare. Si tifa per Anna nonostante sia estranea a qualsivoglia tipologia di eroe, forse perché in lei Barbato è brava a far scorgere il nostro lato più primordiale: quello recluso in gabbia da convenzioni sociali, pronte ad essere irrise dal più spietato e immorale.
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L'angoscia di una detenzione forzata.
Non posso negare di essere rimasto un po’ sconcertato nell’iniziare a leggere questa opera della Barbato, autrice che non conoscevo e sulla quale, prima di procedere, mi sono documentato. Ho appreso che è essenzialmente una fumettista, famosa soprattutto per le sceneggiature di una lunga serie di albi di Dylan Dog e per alcuni romanzi dalle tematiche particolari. “Zoo” andrebbe letto dopo il gemello “Io so chi sei”, del 2018, e allora, forse, sarebbe più comprensibile. La storia è drammatica e allucinante: una ragazza, Anna Baroni, si ritrova, non si sa come e perché, rinchiusa in un carrozzone da circo, accostato ad altri carrozzoni in uno spiazzo desolato alla periferia della città. Altri disgraziati sono rinchiusi come Anna, narcotizzati periodicamente da un fantomatico aguzzino che di tanto in tanto pulisce le gabbie, li nutre, rinnova la paglia dei giacigli, senza mai farsi vedere né mai profferire parola. L’incubo prosegue per giorni, settimane, mesi, le povere vittime ridotte ad animali lerci e puzzolenti, con proprie caratteristiche (si parla infatti di iene, leoni, coccodrilli, scimmie…), senza apparenti speranze di fuga, nell’isolamento assoluto. Si va avanti così per 24 lunghi capitoli, senza che succeda nulla di determinante: si attende un colpo di scena, un intervento dall’esterno, una rivelazione purchessia, ma nulla accade. Solo schermaglie tra i reclusi, insulti reciproci, simpatie e antipatie, che via via caratterizzano i prigionieri: la detenzione forzata forgia il carattere di Anna, che, prima schiva e timorosa, diventa con il passare delle settimane aggressiva e dominante, suscitando liti e attizzando rivalità tra i compagni di sventura. Ma tutto il resto è noia, come canterebbe Califano, fino agli ultimi capitoli: la nostra Anna riesce a cavarsela, non rivelerò come, e tutto sembra finire lì. Nei ringraziamenti l’autrice rammenta la derivazione del romanzo dal precedente “Io so chi sei”, e conferma la sua “caparbietà” nel perseguire un’idea, che probabilmente si tradurrà in un altro romanzo sullo stesso filone narrativo. Devo confessare che “Zoo”, considerato isolatamente, non mi ha procurato particolari emozioni: l’attività fumettistica della Barbato si riflette nello stile narrativo, stringato, secco, concitato, con frequenti suoni onomatopeici (tipici dei fumetti) e una rappresentazione grafica talora originale. Mi riprometto di leggere gli altri romanzi della Barbato per un giudizio più motivato: del resto ci saranno pur validi motivi se l’autrice ha un séguito di fan appassionati, e se è stata definita “la regina italiana del thriller”.
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Sapevo già chi era
Zoo è palesemente indicato come il gemello di "Io so chi sei". Effettivamente la lettura del secondo è vincolata a quella del primo. E per vincolata si intende necessaria per comprendere una trama che apparentemente semplice si dipana nel racconto drammatico della detenzione della protagonista, accanto a personaggi improbabili ma accettabili soltanto nell'ottica fumettistica dalla quale l'autrice proviene. Avendo altresì letto "A mani nude" e "Il filo rosso" un pochino ci si domanda se l'autrice abbia trovato nel tema della detenzione forzata un filone da esplorare ed espandere, e che su questo stia tessendo trame un po' eccessive non tanto per i contenuti ma quantitativamente. Il romanzo fatica a decollare o forse semplicemente si è in attesa di un ulteriore ultimo capitolo della vicenda, che ad oggi appare come logica conclusione di un progetto ambizioso che francamente non ha prodotto le emozioni provate con la lettura dei primi lavori della scrittrice.