Vipere a San Marco Vipere a San Marco

Vipere a San Marco

Letteratura italiana

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Quale scena più del labirinto veneziano può offrire ispirazione per racconti di intrighi, di identità smarrite, di misteriose scomparse e fortunosi ritrovamenti? Ad ogni angolo di Venezia può cambiare quella maschera che il nostro volto è sempre in sé. Ma non è questa dimensione della città, pure descritta con un gusto raffinato per i dettagli, per le “curiosità” della sua storia, a costituire il vero interesse dei “gialli” veneziani di Forcellini, di cui questo è l’ultimo, il più semplice nel suo plot, e il più complesso e ricco nella descrizione di figure e psicologie. Con una vena di malinconica ironia è il veneziano, la lingua di Venezia, il vero protagonista. Con quale grazia essa riemerge dal discorso “normale”, come ancora cerca di resistere anche in quelle sue parole che vanno dimenticandosi. Nel romanzo si parla di “fughe psicogene” – quella di Forcellini verso il suo dialetto (ogni lingua è un dialetto, e custodisce qualcosa dell’infanzia) sembra esserlo. Una fuga verso un re-fugium ormai impossibile, un rifugio che si può dare oggi soltanto per tracce, indizi, suoni. È forse una comunità scomparsa quella che Forcellini qui immagina, con un sorriso che ha un po’ il sapore dell’addio.



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Vipere a San Marco 2021-07-20 15:29:05 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    20 Luglio, 2021
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Doppia indagine a Venezia

Paolo Forcellini scrive Vipere a San Marco, un thriller intenso e profondo che i veneziani non potranno non apprezzare.
Ambientato, appunto, nella città di Venezia, dove un giorno il patriarca scompare nel nulla. I veneziani sono ammutoliti, incapaci di comprendere come abbia potuto accadere. Ad indagare la polizia e parallelamente il giornalista Alvise Selvadego, che scrive sul giornale denominato Istrice. Chi ha potuto commettere un’atrocità simile? E perché? Il mistero si infittisce sempre di più …..
Un giallo avvincente, ricco di colpi di scena. Ma ciò che più mi ha colpito è la prosa che caratterizza la narrazione. Un intercalare continuo nel dialetto veneziano la caratterizza, al punto che ciò pare essere una fuga:
“Verso un re-fugium ormai impossibile, un rifugio che si può dare oggi soltanto per tracce, indizi, suoni.”
Un libro particolarmente adatto a chi ama la città di Venezia, con le sue leggende, le sue ombre, i suoi anfratti, le sue calli. Ricco e raffinato, intriso di storia, il romanzo è pieno di colpi di scena che accingono con forza il lettore. Intrigante, misterioso, ricco di fascino e di storia. Una maschera, un volto, un salto negli abissi imperscrutabili del male! Da leggere.

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Consigliato a chi ama la città di Venezia. Gli altri un po' meno ...
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Vipere a San Marco 2021-06-18 06:26:37 F.L.
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F.L. Opinione inserita da F.L.    18 Giugno, 2021
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A Venezia "xe spario el patriarca!"

Un giallo scritto con brio e con l'accento veneziano. Un protagonista che non si prende troppo sul serio, ma che fa tutto sul serio. “Vipere a San Marco”, di Paolo Forcellini, pubblicato dalle edizioni veneziane Marsilio (2021, 320 pagine, 15 euro).
Che noia, che barba la riunione di redazione all'Istrice ogni mattina. Selvadego non ne può più di quei tromboni dei colleghi prime donne. Invece di fare la ruota come un pavone, Alvise preferisce ammirare la vera star del giornale, quella meraviglia di Gaspara, Gas per gli amici. L'esperto cronista di giudiziaria del quotidiano veneziano chiama “Banal Grande” la mattutina tribuna di spocchia e lo spiritoso gioco di parole rende al meglio l'humour costante, l'intelligente ricamo narrativo solo apparentemente leggero con cui Forcellini ha confezionato il romanzo.
Paolo, Alvise, Gaspara, tutti giornalisti: l'autore gioca in casa, anche nella sua Venezia e gioca bene. All'attacco nella trama gialla, a centrocampo nella tessitura umoristica e in difesa nella presa di distanza dagli atteggiamenti dei colleghi di Selvadego. E sì che di vita di redazione ne sa tanto, visti i trascorsi professionali e la lunga militanza redazionale nell'Espresso, anche da capo servizi economia e interni. Alla tastiera del pc si è misurato anche con saggi di economia e politica, prima di liberare la fantasia, nei polizieschi a mollo nei canali e a spasso per le calli, battute dal suo personaggio seriale, il commissario Manente.
Qualche battuta in veneziano qua e là non disturba e di funzionari di polizia in questo romanzo ce n'è un altro, il vicequestore trevigiano Possamai. Poco più giovane del cronista cinquantasettenne, è un buon amico di Selvadego, per via di un'opera di bene giudiziaria del cronista a vantaggio del Possamai junior, un diciannovenne che sogna di fare il giornalista ma gioca un po' troppo con l'erba. I due hanno stretto un sodalizio del tutto legittimo, a base di reciproche gentilezze. Uno non nasconde notizie sulle inchieste in corso, l'altro abbonda in complimenti sull'efficienza della polizia e di un dirigente in particolare.
In tema di presentazioni, guai a trascurare quella di Gaspara Maravegia, stella della pagina della cultura, 1 metro e 74 di perfezione, fianchi stretti quasi sempre in una minigonna, che può stringere poco altro, visto che termina appena sotto. Il seno è un balconcino perfetto, il “meglio pergolo dell'Istrice”, gli anni solo trentacinque, la bocca carnosa, gli occhi viola e ricambiano con interesse gli sguardi del maturo segugio da tribunale, minacciato da una calvizie incipiente che cerca di dissimulare rapando i capelli a zero. Quello che non riesce a nascondere è la timidezza, che non gli consente di reggere il pressing di uno sguardo femminile pur benevolo, rivolto nella sua direzione.
A scuotere i lettori dall'apologia della bellezza di Gas e i redattori dal trombonesco tran tran della riunione di redazione, arriva l'urlo del megadirettore Zambon con le sopracciglia a cespuglio: “xe spario el patriarca! Non si trova più, svanito nel nulla, evaporato”.
Toscano, settantanovenne, solido di carattere ma piccolino d'aspetto, Sua Eminenza Bisato non è più nel palazzo accanto al Ducale. Nessuno sa dove sia finito, nemmeno la vera parona della sede patriarcale, suor Benedetta. Dalla stanza, in perfetto ordine, non manca nulla delle vesti cardinalizie, assicura un'altra religiosa, una suorina cingalese con compiti di guardarobiera. Nulla, con l'eccezione di un modesto clergyman, l'abito laicale di taglio classico e colore serio che i sacerdoti adottano quando non vestono indumenti talari. Altri due particolari: il cellulare del cardinale è sotto il letto e si notano gocce di sangue.
Scartando l'ipotesi di un sequestro di persona - pure da considerare, ma solo in fondo - resta quella di un allontanamento volontario. Notizia da prima pagina, anche se la pubblica opinione sembra più scossa che scandalizzata e comunque ignora quello che potrebbe venire fuori, rovesciando dalle fondamenta umide qualche importante palazzo nel centro della città lagunare.
Se poi si a giunge il gondoliere gay freddato...
Di più non si può dire, xe sempre un giallo, che vale tutto il tempo e il denaro che lettori vorranno dedicargli (7.99 euro nel formato digitale).

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