Undici morti non bastano
Letteratura italiana
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Intrighi inconfessabili di due famiglie genovesi.
Sapevo poco di questo scrittore, e poco si trova anche in rete: libero professionista, vive a Genova, accanito lettore, autore di alcuni thriller ambientati nel genovese (tra i quali “Tre cadaveri” e “Sei sospetti per un delitto”) e di quest’ultimo giallo, uscito poche settimane fa (marzo 2022). Il volume è corposo, più di cinquecento pagine (un bel “mattone” si sarebbe detto di un testo scolastico), e rivela leggendolo un ottimo scrittore, capace di dipanare le vicende trattate con uno stile narrativo coinvolgente, attento, preciso. E’ una sorpresa, nel mondo degli autori del genere, pur con alcuni limiti che esporrò in seguito. La storia è abbastanza complessa, e prende spunto dal ritrovamento, in un frutteto dell’entroterra genovese nei pressi del paesino di Sparzi, del cadavere mummificato di un’anziana maestra: vicino al cadavere un gioco per bambini, all’interno alcuni fogli poco leggibili di un vecchio tema scolastico. Bisogna sapere che nella zona dal 1945 al 1975 erano già stati commessi ben undici efferati delitti, attribuiti ad un misterioso personaggio detto “il Barbiere”. Non solo, ma nel 1945, in una zona detta Piano Imperatore, era stato sottratto, con un audace colpo di mano da parte di un commando partigiano, un ingente tesoro a una colonna tedesca in fuga. Dove è finito il prezioso bottino sottratto? Chi è il famigerato Barbiere? Che relazione corre tra i vecchi delitti, l’uccisione dell’insegnante, un altro omicidio (la messa in scena di un finto suicidio di chi forse sapeva troppo) e soprattutto il contenuto quasi illeggibile del vecchio tema scolastico? Il giallo entra qui nel vivo: da una parte le indagini della polizia, condotte da una affiatata squadra di agenti diretta dall’ispettore Manzi aiutato da un ex poliziotto, Goffredo Red Spada, e da un’attivissima e brava giornalista locale, Orietta Costa, dall’altra la rivalità storica delle due famiglie più potenti ed influenti della zona, i Pareto, di matrice fascista, e gli Oneto, discendenti da vecchie famiglie partigiane. Le verità nascoste sono parecchie, i sospetti turbano rapporti consolidati, i colpi di scena mettono a repentaglio le indagini che brancolano tra incertezze e depistaggi, lo stesso ispettore Manzi corre il serio pericolo di essere assassinato: alla fine verrà a galla la verità, il furto di quel tesoro di tanti anni prima è servito ad arricchire personaggi importanti e chi sapeva o sospettava è stato via via ucciso da un insospettabile assassino, eliminato a sua volta perché non potesse divulgare intrighi segreti. Nell’Epilogo, poi, dopo ben centocinque capitoli, si materializza un vero spiazzante colpo di genio dell’autore: una sorta di nemesi, una liberazione, un atto finale di giustizia e di vendetta insieme, messo in atto dall’autrice del famoso componimento scolastico quasi illeggibile ritrovato vicino al cadavere dell’insegnante assassinata.
I personaggi sono tanti, come numerose sono le storie che corrono parallele alla trama principale: i rapporti conflittuali tra l’ex poliziotto Goffredo e il figlio Lorenzo, che si concluderanno con una commovente riappacificazione, l’amore contrastato tra Enrica Pareto e un rampollo della famiglia Oneto, la rivale di sempre, le simpatie corrisposte dell’ispettore Manzi per la bella giornalista, le manovre sotterranee di alcune associazioni apparentemente benefiche, e, soprattutto, la rivalità di antica data dei due nuclei familiari, i Pareto e gli Oneto. Rivalità che le pone su due opposti versanti politici e che, nel corso del romanzo, fa emergere in primo piano la figura maestosa ed imponente di un vecchio partigiano, il “Generale” Michele Oneto, centenario rispettato e temuto, depositario di segreti scottanti e vittima di oscuri ricatti.
La scrittura di Malavasi è scorrevole, elegante, essenziale, ricca di riflessioni ironiche e senza divagazioni banali: personaggi ed ambienti della sua Genova sono descritti con cura, direi quasi con affetto, mettendo in risalto il fascino di una ammaliante città, con il suo dialetto inconfondibile e la bellezza delle sue chiese e dei suoi vicoli. Si capisce che l’autore è figlio di quei posti e li conosce alla perfezione. Se posso fare un’osservazione, ho qualche perplessità sulla lunghezza del thriller, genere cui in effetti il romanzo appartiene: troppi personaggi, nel caso specifico, possono far perdere l’orientamento al lettore e incidere sulla comprensione della storia, di per sé già abbastanza complessa. Cinquecento e passa pagine sono più da romanzo storico che da giallo, solitamente più stringato e concentrato su fatti e con minor caratterizzazione dei protagonisti. Detto questo, il giudizio è senz’altro positivo, il romanzo è interessante e coinvolgente, la scrittura brillante. Vorrei permettermi infine di dare un consiglio all’autore, da accanito lettore ad accanito lettore: quello di cimentarsi in un vero romanzo storico, ad ampio respiro, sul tipo della famosa trilogia di Bacchelli (“Il mulino del Po”), o dei capolavori di Elsa Morante (“La storia”) eTomasi di Lampedusa (“Il gattopardo”). Non è poi detto che in un romanzo cosiddetto “storico” non si possa inserire una trama con risvolti da thriller: forse Raffaele Malavasi sta già pensando di allargare i suoi orizzonti!