Una lettera per Sara
Letteratura italiana
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Reazione a catena
Sara ha occhi azzurri e penetranti. Sono occhi che non conoscono pace e che sono capaci di mettere gli altri di fronte al loro lato oscuro. In questo episodio della serie che la vede protagonista veniamo avvolti da un’ossessione per un intreccio di fatti del passato che assumono i tratti della vicenda familiare. Un cold case di trent’anni prima ed una lettera equivoca e pericolosa nascosta dentro un libro la portano a scavare in ciò che non si vede, con il suo sesto senso che le suggerisce che questo segreto potrebbe cambiare ciò che ha sempre pensato di conoscere e ciò per cui ha fatto scelte così controcorrente, delle quali ha paura di pentirsi. Sara cerca un filo conduttore, per dare sollievo a un uomo in fin di vita, perché tutti i cerchi nella vita si devono chiudere. Sara scava, con delicatezza e rispetto, nella sofferenza, consapevole che la sofferenza stravolge la gente, toglie la voglia di fingere, assorbe ogni energia, così da far emergere chi siamo davvero, senza più inganni. Sara è un’analista dei segni, ascolta come se a parlarle fosse il corpo intero dell’interlocutore e non solo la sua voce, sa cogliere i minimi ed impercettibili dettagli del linguaggio del corpo, sa leggere e capire oltre le apparenze. Ad aiutarla c’è uno scalcagnato gruppetto di dilettanti, una piccola squadra che si costruisce episodio dopo episodio, arricchendosi di elementi e di colori. Per compensare un grigiore, apparente, di Sara, che però nasconde un’anima piena di sfumature color pastello, che è sempre più bello scoprire.
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Fantasmi del passato
Speranza, illusione, tenerezza, dolore: quante vesti può avere la parola amore? Per Sara, l'amore per il suo capo ha preso le sembianze di una lama, affilatissima, con cui recidere di netto la propria esistenza. Da una parte è rimasto un passato, un marito e un figlio, da abbandonare. Dall'altra un sentimento, intenso e totalizzante, a cui abbandonarsi. E adesso, a distanza di trent'anni da quella scelta, ora che la morte le ha portato via il suo compagno, non le rimangono che i ricordi, a cui aggrapparsi. Cosa succederebbe allora se proprio un ricordo minacciasse di gettare ombre su quel che è stato?
"Tu ignori il pozzo che scoperchieresti, Mora. Non immagini quanti morti verrebbero a visitare le tue notti".
Sara però non è donna capace di tirarsi indietro. Ex-agente dei Servizi, ormai in pensione, dall'abilità quasi sovrumana di capire le persone, leggendo parole mute e interpretando impercettibili segnali del corpo, Sara comincerà a muovere invisibili fili per orchestrare un'indagine capace di dare una risposta a questa domanda: c'era davvero un segreto nella vita di Massimiliano, l'amore della sua vita, colui di cui credeva di conoscere ogni piega, ogni istante?
È questo il perno attorno cui Maurizio De Giovanni fa ruotare tante storie e tanti personaggi. Un uomo a cui rimane poco tempo da vivere e una donna a cui rimane poco tempo per non morire, uniti dal desiderio di aiutare un giovane ragazzo sfortunato. Un poliziotto in pensione in cerca di una verità che metta fine a quell’incertezza che gli ha sbriciolato l'anima. Una ragazza che si è trovata semplicemente nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
La trama è sicuramente ben costruita, ennesima prova della straordinaria abilità di questo scrittore, capace di far danzare molteplici fili narrativi senza indurre mai nel lettore una sensazione di smarrimento, anzi, alimentando sempre la curiosità di scoprire come essi si congiungeranno. Vicende corpose e ben amalgamate, intreccio inusuale e ben strutturato, scrittura scorrevole ed efficace, allora perché questa sensazione di insoddisfazione, cosa manca? Napoli, innanzitutto, che pare sbiadire in un'ambientazione alquanto incolore, lontana dai vividi scenari cui l'autore ci ha abituato. E le emozioni. Non è certo facile arrivare al cuore del lettore con una protagonista che ha nella granitica sicurezza e nell'invisibilità le sue note principali, è vero, De Giovanni ha alzato l'asticella, ma, questa volta, il salto non mi è parso del tutto riuscito. Sara rimane distante, avvolta in una nebbia che ostacola comprensione e immedesimazione, una nebbia fatta di capacità al limite del credibile e di giudizi apparentemente privi di dubbi, persino quando devono confrontarsi con i fantasmi del passato.
"Del resto, i fantasmi ingannano il tempo così: raccontandosi storie, in attesa di ritornare in vita. Stai attenta: tu hai ricordi che non puoi permetterti di perdere. E nemmeno di sporcare".
Sarà che i dubbi e le incertezze sono i protagonisti indiscussi del mio quotidiano, ma non sono riuscita a trovare una chiave per entrare in sintonia con lei, e ciò ha sicuramente influito sul mio gradimento complessivo. Eppure. Eppure, avverto in sottofondo che questa nebbia è forse anche uno scudo, con cui Sara si protegge dai propri errori, dalle conseguenze delle proprie scelte, dalla paura di sporcare i propri ricordi, e forse la sua storia avrà molto da raccontare e da comunicare, se vorrà scuotere quest'impalcatura rocciosa con le scosse telluriche delle fragilità umane.
Allora ti aspetto, Sara.
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I guaiti di un cucciolo
Questo è il terzo romanzo, a firma del noto scrittore Maurizio de Giovanni, avente a protagonista il suo personaggio di più recente ideazione, Sara Morozzi detta “Mora”.
A mio parere, è quello meglio riuscito finora della nuova serie, il più completo, esauriente, esaustivo, anche il più articolato e avvincente.
Schiarisce e traccia di più la sua figura e la sua storia, rende appieno i requisiti e le prerogative del nuovo personaggio.
I primi due, “Sara al tramonto” e “Le parole di Sara”, erano certamente letture piacevoli, ma in un certo senso ancora in secondo piano, surclassate dagli altri romanzi dell’autore napoletano.
Quelli con i suoi personaggi più noti: l’insolito, per tanti versi, commissario di polizia Luigi Alfredo Ricciardi, in servizio presso la Regia Questura della Napoli durante il ventennio fascista, e la disomogenea ma affiatata squadra dei poliziotti detti “I Bastardi di Pizzofalcone”, costituenti l’organico raffazzonato di una stazione di polizia nella Napoli di oggi.
In tutta apparenza, la signora Sara Morozzi è una donna comunissima, tranquilla e rispettabile, magari un po’ seriosa e attempata, anonima, dai capelli grigi e l’aspetto dimesso, ancora giovanile benché trascurata nel fisico e nel vestiario, comunque in età pensionabile.
Una persona tanto banale da passare inosservata sempre e comunque, esattamente come desidera apparire.
In concreto, Sara è stata un poliziotto, ma di quelli speciali, è ex agente dei Servizi Segreti, quelli classici, misteriosi e celati all’opinione pubblica, che agiscono un po’ sullo sfondo ma comunque organizzati nelle strutture dello Stato.
Intendiamoci, non è mai stata un James Bond tutta azione, sparatorie, fughe e corse in auto a tutta velocità. Tutt’altro, Sara ha un talento unico ma quieto, poco appariscente, inavvertibile, sapientemente sfruttato in certi ambiti: sa osservare.
È quella che si dice un’analista dei segni; un severo addestramento ha esasperato all’inverosimile il suo talento naturale non solo nell’interpretazione della labiolettura, ma anche nel comprendere il linguaggio del corpo, quello difficile da dissimulare, veritiero e conforme alla realtà.
Un elemento prezioso in certi ambiti, dove la mistificazione è all’ordine del giorno, e le sue capacità di riportare in maniera autentica, esatta e concreta quanto captato in situazioni e conversazioni losche, terroristiche e malavitose è spesso, se non sempre, d’importanza vitale per scoprire, e neutralizzare in tempo, pericoli gravissimi per la collettività.
Sara vede, e interpreta; osserva, e comprende con interezza; scruta, e scopre quanto, in effetti, è.
Si badi la sua non è un’intuizione, un sesto senso, o una facoltà paranormale.
Sara è dotata di un notevole spirito di osservazione; questa sua caratteristica di base è andata perfezionandosi con addestramento e applicazione, certo, ma anche, e soprattutto, sotto l’input dell’emozione principale che, nelle donne in particolare, unica tra tutti i sentimenti umani, è quella che conferisce la spinta motivazionale più intensa: l’amore.
La donna è, infatti, perdutamente innamorata del suo diretto superiore, tra l’altro il suo reclutatore e mentore, con il quale ha convissuto per venticinque anni, e per il cui amore ha abbandonato marito legittimo e figlio ancora piccolo, pagando per questo in seguito un caro, amarissimo, prezzo personale. Sara ha quindi un “fatto” suo personale che la caratterizza, e si applica ancor di più perché innamoratissima del suo capo.
Come le disse un giorno passato il suo compagno Massimiliano:
“…hai un dono, Sara. Ti viene spontaneo, perciò credi che sia normale e non ne percepisci l’unicità. Invece è unico. Lo chiami istinto, ma è velocità. Ancor prima che elabori i dati, la tua mente li ha già collegati…Quello che chiami istinto, non ti può ingannare.”
Ora, dopo la morte del suo uomo, Sara, avanti con gli anni e abbandonato il lavoro, si ritrova sola, e tenta di rimettere insieme i brandelli di un’esistenza faticosa, sacrificata, vissuta nell’ombra dei servizi, e però gratificata dalla vicinanza del suo amore, scomparso dopo tragica malattia.
La ritroviamo che tiene insieme, con il suo carisma e la sua personalità mai sopita, brandelli di affetti: la nuora Viola, compagna del suo figliolo disperatamente perso, l’adorato nipotino Massimiliano, che porta il nome del suo scomparso amore, un ispettore di Polizia male in arnese, Davide Pardo, alle prese tragico/comiche con Boris, il suo cane, un irruente Bovaro del Bernese.
Se una critica si deve fare a De Giovanni, è questa: è stato male informato.
Da amante dei cani, posso assicurargli che il Bovaro del Bernese è un cane sì grande e grosso, ma davvero calmo e affettuoso, che ama essere coccolato e a sua volta coccolare; abbassa le sue barriere difensive, è di ottima compagnia, sopporta tutto con pazienza, è dolcissimo e non è assolutamente pericoloso. Buonissimo, generoso, affettuoso, disponibile.
Niente a che fare con il diavolo prepotente e dispettoso che amareggia l’esistenza di Pardo.
Proprio l’ispettore di Polizia, traviato dai suoi trascorsi esistenziali, a seguito della richiesta improvvisa e insolita di un suo vecchio superiore in fin di vita, chiede aiuto proprio a Sara, offrendo lo spunto per una nuova storia dell’ex effettivo dei Servizi Segreti, qui alle prese indirettamente ancora una volta anche con i fantasmi del suo passato.
Maurizio De Giovanni essenzialmente ha raccontato, in questo suo romanzo, ben altro che un giallo o un libro di avventure, come superficialmente si potrebbe credere, specie da parte di chi non conosce l’arte e la valenza dello scrittore napoletano; ha scritto di coincidenze, e perciò indirettamente ha dettato di cose della vita.
Che cos’è, infatti, l’esistenza, altro se non un insieme di circostanze che s’intersecano, casualmente o no, talora inestricabilmente, e danno luogo a cascata a una serie di eventi di portata imprevedibile, inimmaginabile, incerta? Talora anche con esiti tragici, imponderabili, sconosciuti.
Sono le coincidenze quelle che descrive qui abilmente De Giovanni, attraendo e conquistando piacevolmente l’attenzione del suo lettore, tratteggiando diversi personaggi e le loro singole storie, riunendole in una singola realtà romanzata, ma non per questo meno reale, con specifico rimando a tragici fatti di cronaca nera realmente accaduti, intrecciandone esiti e destini nella trama elegante di una buona storia, scritta bene.
Caso, fatalità, parallelismo, assurda corrispondenza legano e intrecciano le esistenze dei vari, diversi, assortiti personaggi, che costituiscono un passato univoco ed un presente consequenziale.
Il caso lega i destini di una giovane studentessa universitaria fuorisede che arrotonda le sue risicate entrate spendendosi come commessa in una libreria antiquaria, e il suo cocciuto fratello.
La fatalità contrassegna l’esistenza di una coppia di disperati e del figlio casualmente partorito dalla loro sventurata unione, allacciandosi all’irreprensibile vissuto di un ligio cancelliere del tribunale.
Un’assurda corrispondenza è intrattenuta per esempio tra un feroce capo mafia e i servitori dello stato; o ancora, sussistono corrispondenze finanche con venature sentimentali, intrecci amorosi che si dipanano tra un abilissimo borsaiolo, un ladruncolo dal cuore d’oro, e una vittima di una sindrome genetica tanto rara quanto infausta e dolorosa.
Il primo che “…è cresciuto combattendo con le unghie e con i denti; viene da un posto che non perdona, in cui la sensibilità è sempre scambiata per debolezza. E la debolezza, in periferia, è un peccato mortale.” L’altra, una persona di specchiata umanità, un’operatrice di una casa famiglia, vittima di una di quelle malattie rare per cui non esiste cura, perché le case farmaceutiche non investono nella ricerca di cause e rimedi non sussistendone la convenienza economica. Quel tipo di malattie dolorose, di cui finanche chi ci lavora dice, con cognizione di causa, senza mezzi termini:
“ Noi lavoriamo col dolore. La sofferenza stravolge la gente, toglie la voglia di fingere, assorbe ogni energia: così emerge chi siamo davvero, senza più inganni. Tutto qui, fine del discorso.”
Solo la sapienza, la competenza, la sensibilità non comune di un bravo scrittore, poteva rendere al meglio questi concetti, Maurizio De Giovanni lo conferma, e si conferma tale.
“Una lettera per Sara” è quindi non una sola missiva, ma un insieme di corrispondenze che dal passato, da un passato tragico, pervengono a quanti direttamente coinvolti nella storia.
I nodi vengono al pettine, presto o tardi, alla fine riemergono incubi che si credevano sepolti, e questo vale per tutti, nel bene e nel male.
Se trattasi di un passato tragico, quelli che pervengono, i suoni che riecheggiano, non sono il classico stridio di catene trascinate in eterno dai fantasmi ma gemiti, pianti disperati di fantasmi innocenti, perché si tratta di vittime innocenti, e questo tipo di lamento ha un suono inconfondibile, quello dei guaiti di un cucciolo. E qualcuno che ascolta, deve raccoglierli quei suoni, deve raccontarli, perché non se ne perda la memoria, perché:
“…Qualcuno deve stare accanto a chi se ne va…Almeno uno che ti tiene la mano alla fine della vita ci vuole.”
Ecco, come si vede nella dedica iniziale, Maurizio De Giovanni questo ha fatto, ha ascoltato e ha ricordato, con commozione e umanità, i guaiti di un cucciolo, tenendolo per mano.
Altro non poteva fare, lo scrittore napoletano, ma ha fatto tanto. E bene.
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La missiva
«[…] La vita gli aveva impartito un insegnamento pesante: aveva imparato che di solito, gli altri sono un pericolo, o un problema.»
Quando l’ex Poliziotto Angelo Fusco irrompe nella vita di Davide Pardo con quella strana richiesta, per quest’ultimo è naturale prenderla alla leggera. Non perché non voglia dare rilevanza alla domanda fatta bensì perché non percepisce l’esigenza – e al contempo la fretta – di mettersi in contatto con un uomo in condizioni di salute precarie, Lombardo Antonino, detenuto ricoverato che avrebbe potuto incontrare soltanto per mezzo di intercessione del Prete.
Ecco perché quando Lombardo, di anni sessantasette, affetto da carcinoma primario al polmone destro, versamento pleurico maligno, metastasi accertate ai reni, al fegato etc., muore l’ira dell’ex agente è incontenibile. Con il decesso del detenuto si perdono anche le speranze per arrivare alla verità, per arrivare alla giustizia. Perché Fusco è il fratello di Ada, la giovane studentessa di economia, commessa in una libreria antiquaria, che il 14 maggio 1990 scompare misteriosamente. Di lei, da allora, si sono completamente perse le tracce. Si intuisce che la sua sparizione sia collegata a una lettera, una missiva rinvenuta per caso in un libro venduto da un uomo e ricercato da un altro che si spaccia per presunto padre e che di fatto sembra cercare in verità proprio questa, una missiva il cui contenuto apparentemente innocuo potrebbe non essere tale. Ma cosa è successo davvero alla giovane? Cosa ne è stato di lei? Perché di lei si è persa ogni traccia? E chi era davvero Lombardo?
Sara, al sentire di quel nome, ha un’intuizione. Lei è l’unica che può venire a capo del mistero, un mistero in cui Antonino non è altro che un anello della catena ma non l’unico anello. Riuscirà a far luce su questo?
Con “Una lettera per Sara” Maurizio De Giovanni torna in libreria con un terzo appassionante capitolo dedicato alle avventure di questa eclettica protagonista e lo fa con un titolo che ha molto da offrire non solo dal punto di vista del giallo quanto anche della riflessione. Perché tra tutti i volumi ad oggi pubblicati di questa serie, questo è senza dubbio il migliore e il miglior costruito.
Le pagine scorrono rapide, conquistano e incuriosiscono. L’intrigo è solido, l’intreccio valido e ben articolato. Lo stile fluido e brillante. Da leggere e scoprire.
«Che è sopravvissuto alla morte, ma non è detto sopravviva alla verità.»