Una festa in nero
Letteratura italiana
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Anita final fantasy
Il dicembre 1935 si avvicina a grandi passi e con esso la data fissata per le nozze di Anita Bo con il bel Corrado Leoni. Il problema è che, lei, ormai sa di essere perdutamente, disperatamente, inguaribilmente innamorata di Sebastiano Satta Ascona, il suo capo e il socio-autore della casa editrice che pubblica il mensile di racconti gialli Saturmalia a cui lei, assieme allo stesso Sebastiano, ha collaborato non solo come dattilografa, ma pure come ispiratrice e autrice dei racconti di denuncia contro i misfatti del regime fascista che vengono pubblicati sotto lo pseudonimo di J.D. Smith.
Ma la situazione precipita pure sotto un altro fronte: Sebastiano viene contattato da strani figuri che gli prospettano di entrare a far parte di una organizzazione che difende la salute politica dello Stato. In pratica pare che la famigerata agenzia segreta denominata OVRA abbia intenzione di reclutarlo per utilizzarlo come infiltrato nel mondo letterario italiano. Purtroppo né a Sebastiano, né ad Anita, che è quella con le idee più brillanti, vengono in mente alternative che possano salvarlo dal destino di diventare una spia del regime o, in caso di diniego, oggetto di serrate, pericolosissime indagini da parte degli stessi reclutatori.
La cosa tragica è che la prima missione che gli viene assegnata è quella di incastrare, con false prove, la professoressa Candida Fiorio, amica e “guida spirituale” di Anita e della sua carissima amica Clara. Come impedire che sia perpetrata tale ingiustizia e come evitare che Sebastiano resti catturato da quel mostruoso ingranaggio? Alla fine sembra che a loro resti un’unica possibilità che li terrorizza e, nel contempo, li attrae perché potrebbe portare loro insperate prospettive. Ma riusciranno a portare a termine il loro piano disperato?
Sesto e ultimo (aggiungo io, per fortuna) romanzo del ciclo dedicato alla procace e sbarazzina ragazza che gioca a fare l’investigatrice privata ai danni del regime fascista.
Se nei primi romanzi si giocava molto sull’ironia, sul brio sbarazzino e sulla leggerezza dei toni e anche le trame gialle, mai troppo complicate, erano intrecci divertenti da seguire e tentare di risolvere in rilassatezza, su quest’ultimo grava un’atmosfera cupa opprimente e deprimente , un’aria pesante, e neanche troppo coinvolgente. Non ci sono enigmi da risolvere, non divertenti battibecchi tra i protagonisti o piacevoli descrizioni d’ambiente, anche l’aspetto romantico scivola in secondo piano. Tutto viene concentrato sulla macchinazione dell’OVRA ai danni dei personaggi invisi al regime e sugli improbabili piani per eluderli. Ma con così poco materiale da utilizzare, ben presso la storia ristagna.
Sebastiano e Anita ci sono mostrati come “due cuori nella tempesta” o, per restare nell’ambientazione storica, come due personaggi da feuilleton, due amanti disperati usciti da un romanzetto di Carolina Invernizio. Già in passato avevo rilevato come spesso le trame peccavano d’ingenuità e scarsa credibilità, ma la freschezza dei toni sanava queste pecche e conservava una buona godibilità alla lettura.
Purtroppo quest’ultimo libro perde gran parte delle qualità precedentemente mostrate. I comportamenti di Anita e Sebastiano, ma, in generale, pure dei comprimari e degli antagonisti mostrano la corda nella loro frequente implausibilità; l’artificio narrativo che, per giungere al fine che ci si è prefissi, troppo spesso si piega a compromessi logici non accettabili, alla lunga diviene ripetitivo e stancante. In generale il castello di carte eretto si evidenzia in tutta la sua fragilità.
Ne risulta complessivamente un romanzo poco fluido, non particolarmente divertente e, in sostanza, troppo lungo per le poche cose che ha da dire.
Ciò nondimeno bisogna riconoscere che l’A. sa scrivere e lo stile resta valido e ben strutturato. Il finale — che ovviamente non anticipo, ma che ogni lettore attento può già figurarsi sulla base delle premesse — è ben costruito e, per quanto prevedibile, con le sue ultime frasi, ben giocate, riesce a suscitare un magoncino di commozione anche ai cuori più insensibili e freddi.
Tuttavia c’è il rammarico di constatare che le premesse e le promesse iniziali siano andate in parte deluse col procedere della serie e il livello complessivo dell’opera sia andato in calando. Peccato, davvero peccato.
Chiudo con una osservazione per la pagina del pignolo: l’A. si fa vanto di documentare storicamente tutte le ricostruzioni ambientali del romanzo. Beh, una scivolata l’ha fatta: in uno dei primi capitoli Candida si pregia di presentare alle ragazze quella che descrive come una meraviglia recentemente introdotta che, preannuncia, avrà un uso sempre più diffuso nelle case degli italiani: il bidet!
Beh, nel 1935 quel sanitario era già ampiamente in uso e in molte case di nuova costruzione (e non solo in quelle “chiuse”!) era stato installato nei bagni e già allacciato alla rete idrica. Che dire, un falso storico tra i tanti…
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