Un sicario alla corte dei Gonzaga
Letteratura italiana
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Un trittico riuscito
E così, dopo aver letto I leoni d’Europa e Le righe nere della vendetta, mi sono dedicato all’ultimo dei tre romanzi fino ad ora pubblicati, Un sicario alla corte dei Gonzaga, stesso protagonista il capitano di giustizia Biagio Dell’Orso, medesima epoca (il XVI secolo) e identica ambientazione nella Mantova ducale di quello che fu probabilmente il più famoso della dinastia, Vincenzo. L’intreccio giallo non fa una piega, con un misterioso sicario che attenta più volte alla vita del duca, sempre scampato miracolosamente, ma in vece sua sono perite altre persone. L’indagine si presenta particolarmente difficile, perché mancano sia l’identità dell’assassino, sia quella del mandante e di conseguenza Biagio Dell’Orso annaspa nel buio, anche perché il sicario, se fallisce nel suo incarico, non lascia altre tracce, se non il veleno a cui è ricorso e, in un’occasione, la prima, quando perde, nello scassinare una porta, uno zaffiro che, insieme ad altre pietre grezze, tempestava l’elsa di un pugnale utilizzato nell’occasione come un grimaldello. Se la caccia allo sconosciuto assassino si presenta di estrema difficoltà, ancor più arduo è determinare il mandante, perché, come tutti i signori dell’epoca, il duca Vincenzo ha più di un nemico. Che siano i Turchi contro i quali si appresta a battersi in Ungheria a difesa della Cristianità, e soprattutto dell’Impero? Che si tratti di Ferruccio Farnese, la cui sorella è rinchiusa in un convento a Parma dopo l’annullamento del matrimonio con Vincenzo, per l’impossibilità di lei di poter congiungersi con il marito e quindi di procreare? Che c’entrino i Medici e soprattutto Bianca Capello, cortigiana veneziana, poi amante di Cosimo e infine diventata sua moglie, sul conto della quale i Gonzaga avevano non poco spettegolato? Insomma, di possibili interessati alla morte del Duca ce ne sono diversi, ognuno dei quali per ragioni le più disparate. Come venirne a capo? Non intendo svelare altro, perché la trama avvincente e incalzante di questo giallo storico, che vede di volta in volta la sua ambientazione a Mantova, a Parma, a Venezia, a Praga e a Vienna è una di quelle che invitano a scorrere velocemente le pagine, ansiosi di arrivare alla soluzione, che puntuale troviamo alla fine, logica in tutti i suoi aspetti. Certo c’è il rischio che, a lasciarsi prendere dalla smania di sapere chi siano il colpevole e il mandante, non ci si soffermi sullo stile fluido dell’autrice, sulle descrizioni essenziali e in funzione dello scopo, su aspetti che possono apparire secondari, ma che contribuiscono non poco alla gradevolezza dell’opera. Mi riferisco ai colloqui, mai banali, fra il consigliere ducale Marcello Donati e Biagio dell’Orso, alla storia d’amore fra quest’ultimo e la bella veneziana Rosa, che ci si augura di vedere finalmente sotto lo stesso tetto non saltuariamente, all’atmosfera della piccola città cinta dai laghi che quasi miracolosamente si svela ai nostri occhi negli scorci più suggestivi, nella variopinta folla che ogni giorno vi vive.
Tiziana Silvestrin è veramente brava e sono certo che meriterebbe un consenso assai superiore a quello attuale, peraltro non marginale. Mi chiedo se stia procedendo a scriverne un quarto; è un sospetto e una speranza, visto che il libro si chiude con una frase che Donati dice a Dell’Orso: “C’è qualcosa che devi vedere, qualcosa …di spaventoso.”. Insomma, per quanto ovvio, anche il lettore brama vedere cosa ci sia di così spaventoso, una frase che se non è una certezza di un seguito, lascia però ben sperare. Al riguardo, e la notizia è recentissima, Tiziana Silvestrin mi ha confermato che fra non molto uscirà un quarto romanzo, con il bravo capitano di giustizia impegnato in un’altra difficile indagine.
Nell’attesa, la lettura di Un sicario alla corte dei Gonzaga è più che consigliata, anzi è vivamente raccomandata.