Un posto sbagliato per morire
Letteratura italiana
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Dal paradiso all’inferno
La domanda è d’obbligo: che ci faceva lì l’architetto Manrico Barbarani, stimato professionista della “Milano bene” , in una periferia degradata, dove la notte è un brulicare di prostitute, e il cui corpo esanime è stato trovato da una guardia giurata nei pressi dell’auto-officina Privitera? La mancanza del portafoglio e di un orologio di valore lascerebbe pensare a una rapina, in cui ci è scappato il morto, ma non è stato così, come emergerà nel corso delle indagini svolte dalla squadra speciale del commissario Melis, da poco promosso a vicequestore.
Questo è il primo giallo di Hans Tuzzi che ho l’occasione di leggere, autore di cui avevo apprezzato Il Trio dell’Arciduca, spy story collocata cronologicamente nei giorni che precedettero l’attentato di Sarajevo, con conseguente scoppio della prima guerra mondiale.
Penso che ormai si sia consapevoli che, a fronte di tanti polizieschi scritti in tutto il mondo, riuscire a inventare una trama del tutto originale è come cercare un ago in un pagliaio e del resto la fantasia degli autori ha naturali limiti logici, oltre i quali non si riesce ad andare, e anche questo giallo non sfugge a questa regola. Del resto i narratori che sono capaci di avvincere il lettore con i loro romanzi ci sono riusciti grazie a tre elementi qualificanti: l’invenzione di un protagonista ricorrente, che abbia caratteristiche sue proprie da farlo emergere dall’anonimato, la capacità di ricreare un’atmosfera credibile e pertinente la trama, l’analisi psicologica dei personaggi. In questo compito non certo facile brillano, fra gli altri, Georges Simenon, con il suo commissario Maigret, Andrea Camilleri con Montalbano e Maurizio De Giovanni con il commissario Ricciardi. Questi autori sono per me un preciso punto di riferimento, a cui mi sono uniformato nel corso della lettura di Un posto sbagliato per morire. Dico subito che Hans Tuzzi è stato capace di concretizzare questi elementi qualificanti, anche se l’analisi psicologica mi è parsa preponderante rispetto all’atmosfera che, per certe caratteristiche, a volte rispecchia alcuni stereotipi e quindi manca di originalità. Potrebbe anche trattarsi di una mia impressione limitata al caso specifico, tanto che mi sono ripromesso una verifica leggendo altri gialli di Tuzzi, ma comunque è quello che ho subito pensato quando sono arrivato all’ultima pagina e ho chiuso il libro. A scanso d’equivoci, comunque, non é che questo giallo non sia ben scritto e avvincente, ma secondo me se l’autore avesse posto più attenzione nel porre l’accento, con originalità, sul divario fra una Milano del centro, opulenta, e una periferia squallida il risultato sarebbe stato indubbiamente migliore.
La lettura è in ogni caso consigliata, perché gradevole e comunque appagante.
Indicazioni utili
Esiste il posto giusto per morire?
Scopro per caso questo scrittore. E insieme a lui, il commissario Melis, il protagonista del romanzo di Hans Tuzzi; ill commissario è uomo silenzioso, ma un grande osservatore della natura umana.E la natura umana parla ancor di più dei fatti!
Ci troviamo in quella che negli anni ’80 era la “Milano da bere”, quando lo yuppismo la faceva da padrone e tutto sembrava possibile. Avere successo, mettersi in mostra, era, in quegli anni, il diktat per chi voleva “esserci”. Ma al commissario tutto questo non importa, lui scava nei meandri della vita e dell’anima delle vittime per riuscire a risolvere il caso.
Un architetto famoso, della Milano bene, è stato assassinato in un vicolo malfamato della periferia; cosa ci faceva lì a quell’ora di notte, in un posto sbagliato per morire?
L’indagine parte da qui, dapprima in maniera canonica, ma lentamente il commissario intuisce che la chiave di volta dell’indagine sta nella vita della vittima. Un affermato professionista, tanti amici ma anche tanti nemici, due ex moglie e un figlio, il piccolo Duccio, che potrebbe essere suo nipote per la grande differenza di età, ma che è stato, fino all’omicidio, la ragione di vita dell’architetto. Queste informazioni sono di pubblico dominio, ma cosa può esserci nella vita di un uomo irreprensibile da spingere qualcuno a ucciderlo? Il commissario Melis comincia così a mettere a nudo “l’anima” della vittima e a scavare nella sua vita e in quella delle persone che lo hanno circondato.
La trama si delinea e il racconto ci prende, narrando una vicenda di grande solitudine e di amore che a volte lascia l’amaro in bocca. Le domande del commissario diventano quelle del lettore. Lo stile asciutto, i personaggi ben caratterizzati e sullo sfondo Milano, città forse difficile da vivere in quegli anni, rendono il ritmo narrativo serrato e scorrevole.
E quando l’indagine sembra arenarsi un evento improvviso porta il commissario a risolvere il caso. Tutte le domande sembrano trovare risposte. Tutte tranne una: dove vanno i palloncini quando volano di mano ai bambini, allontanandosi nell’azzurro, lassù fino a essere un punto lontano lontano?
A questo Melis non sa dare risposte.