Un mare di silenzio
Letteratura italiana
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Ardelia sola contro i pregiudizi razziali
Ardelia Spinola, medico legale ligure, viene chiamata il primo dell’anno per svolgere le indagini di rito su un duplice omicidio. Nella frazione di Toirano, a pochi chilometri a nordest di Albenga, sono stati trovati due algerini crivellati da pallettoni. Le vittime sono un medico pediatra di cinquant’anni, da molto tempo residente in Italia, e un ragazzo poco più che ventenne, immigrato di recente. La casa è in uno sfacelo completo e pure un piccolo computer portatile è stato fatto oggetto di una fucilata. A occuparsi dei rilievi sono i carabinieri della locale stazione comandati dal Luogotenente Monti che lei non conosce. Pure il PM incaricato non è uno di quelli con cui Ardelia ha familiarità. Così, quando ha terminato il primo esame autoptico delle salme e sta risalendo sul suo pick-up, la dottoressa non si fa scrupolo di intascare una chiavetta USB che trova vicino alle ruote della sua auto. Se ci fosse vicino il suo fidanzato poliziotto probabilmente la consegnerebbe ai tutori dell'ordine, ma lui è in America per lavoro, e, così, la curiosità prevale.
Giunta a casa scopre che il piccolo supporto informatico contiene dei documenti scritti in arabo, perciò decide di chiedere aiuto al suo quasi zio Gabriel, psichiatra israeliano in pensione, ma forse, anche ex agente del Mossad e, soprattutto, uomo poliglotta dai multiformi ingegni.
Dalle pagine che lentamente le giungono tradotte scopre che il ragazzo morto, di nome Karim, ambiva diventare uno scrittore e in quelle belle pagine di narrativa raccontava la sua vita, prima in Algeria, poi, in Italia, per sostituire il padre che era morto proprio qui, in un incidente sul lavoro. Ardelia, così si fa coinvolgere e commette una sciocca imprudenza: ritorna sul luogo dell’omicidio. Da quel momento le cose accelerano in modo brusco e pericoloso, mentre lei si trova schiacciata tra chi le confida che forse ci sarebbe qualcuno che potrebbe fornire informazioni utili alla risoluzione del caso (ma non osa andare dai carabinieri) e chi, invece, comincia a minacciarla in modo sempre più brutale per farla desistere dal ficcare il naso in quella storia. Per fortuna in suo soccorso viene il poliedrico Gabriel, mai privo di risorse. Insieme scopriranno una torbida storia di rancori, discriminazioni e crudeltà, correndo tutti un enorme rischio personale.
Cristina Rava, in questo suo sesto romanzo giallo – il primo dove il Commissario Rebaudengo non si mostra nemmeno come comparsa (ma viene unicamente evocato in qualità di anonimo fidanzato poliziotto distaccato presso l’FBI) e Ardelia Spinola recita il ruolo di protagonista assoluta – dà prova d’aver raggiunto una completa maturità stilistica e narrativa.
La sua scrittura, pacata e riflessiva, non ci racconta una storia poliziesca, non solo, almeno. Al centro del romanzo ci sono scene di vita: quella ormai familiare di Ardelia e quelle, tutte da scoprire, dei comprimari e delle vittime, defunte o viventi. Il delitto e tutte le implicazioni dirette e indirette, poi, sono solo l’alibi per parlarci dei pregiudizi che ci avvelenano l’esistenza, dello stupido razzismo ignorante, dell’importanza di giudicare le persone non per come appaiono ai nostri occhi, ma per come sono realmente nel loro intimo. Il personaggio di Ardelia ormai è pienamente disegnato, ad alta definizione, verrebbe da osservare. Tutti i suoi pregi e i suoi difetti, la generosità di carattere e la sincerità, le asperità e i puntigli, i dubbi e le certezze, sono precisati in modo tanto meticoloso da farne quasi un personaggio reale, uno in cui potremmo causalmente incappare camminando sulla nostra strada. Ma anche le altre figure che si muovono sulla scenografia, offerta da una affascinante Riviera di ponente, sono tratteggiate con cura e amore.
Mi è piaciuto molto pure il racconto parallelo e incompiuto di Karim, la giovane vittima. In esso si possono percepire i profumi e i sapori di una diversa cultura e di una diversa mentalità, senza che la sua figura ci risulti aliena o minacciosa e, indubbiamente, era questo uno degli intenti principali dell’A.: farci capire che il diverso non è necessariamente ostile o da evitare. Inevitabilmente, più si prosegue nella lettura di questi stralci di diario partecipato, non possiamo non entrare in empatia con questo ragazzo immaginario, intelligente, buono, dai pensieri profondi e dall’animo esacerbato per il crudele sradicamento subìto e per la diffidenza, anzi per l'assoluta irrilevanza, che sembra aleggiare attorno a lui, circondandolo in questa terra per lui straniera.
La soluzione finale, soprattutto il capitolo che sembra estratto dalle pagine di Segretissimo, forse è un po’ tirato per i capelli, visto che le persone coinvolte sono tutti privati cittadini e non agenti dei servizi segreti, ma era indubbiamente funzionale alla storia e, soprattutto, aggiunge un po’ di pepe (in più) alla vicenda, già abbastanza tesa ed emozionante.
In definitiva si tratta di un ottimo romanzo che corre su due binari paralleli ma che ci conducono alla stessa meta: una lettura piacevole che, però, fa pure meditare e ci costringe a un serio esame di coscienza. Davvero brava!
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Vorrei concludere con un’ultima postilla finale. Fa un po’ tenerezza la cura ingenua con cui l’A. si premura di non nominare neppure di sfuggita il nome del Commissario Rebaudengo che le ha dato fama e notorietà. Evidentemente, col divorzio dalla casa editrice Frilli, la quale aveva pubblicato le prime storie dedicate al poliziotto, e il “matrimonio” con la più prestigiosa Garzanti, ha ritenuto che non fosse giusto (etico? corretto?) evocare il personaggio eponimo della collana iniziale. Beh, ritengo che fosse uno scrupolo eccessivo.