Tre cadaveri sotto la neve
Letteratura italiana
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Un discreto giallo
Marzio Santoni è un poliziotto che lavora in un’ immaginaria località di montagna (sui 1.200 metri, da quanto si può dedurre) e qui si trova alle prese con la sua terza indagine che, al momento, è anche l’ultima che lo vede come protagonista. Essendo un montanaro di notevole avvenenza e fisico sportivo, ha le donne più affascinanti che gli cascano ai piedi – del resto gli sbirri di Valdiluce cuccano tantissimo – ma si trova a operare in mezzo a una popolazione tanto diffidente e chiusa da essere omertosa: i valligiani poco lo aiutano e molto lo ostacolano, così è costretto ad affidarsi soprattutto al suo fiuto (che va inteso alla lettera, essendo l’ispettore sensibilissimo agli odori). Quando, dopo aver rischiato la pelle, si ritrova fra le mani le indagini su di un centro radar che pare emettere radiazioni intrecciate a quelle sull’omicidio rituale dell’avvenente ma misteriosa libraia del paese che fa la fine descritta nel titolo, l’avvio delle operazioni non può essere che faticoso: solo con la meticolosità e la testardaggine, assommate ai radi suggerimenti di qualche riluttante uccellino, Santoni riesce a dipanare la matassa affiancato da un assistente dal nome stravagante e appassionato di cioccolatini. E’ inevitabile, allora, che il romanzo si proceda nei primi capitoli con una certa lentezza, nuovendosi come il suo protagonista tra dubbi e svolte cieche: incastrandole con abilità, il toscano trapiantato a Roma Matteucci dosa efficacemente i colpi di scena nonché l’aumento del ritmo che accompagna l’avvicinamento alla verità. Se la via che porta alla conclusione è assai valida, meno lo sono le scoperte a cui essa conduce: non tanto per quanto riguarda il radar – che, in fondo, è solo una falsa pista – ma circa il colpevole degli omicidi che viene svelato con una deviazione che risulta troppo improvvisa. All’attivo della storia si possono invece inserire l’ambientazione insolita, benché sterilizzata dalla mancanza di qualsiasi riferimento reale, e le non secondarie istanze ambientaliste, ma ciò che più colpisce è la caratterizzazione degli abitanti di Valdiluce in una serie di brevi ritratti al limite della caricatura che ben delineano le piccolezze delle comunità ristrette (non necessariamente di montagna). Tra gli aspetti negativi c’è viceversa la lingua, perchè il libro è scritto in un buon italiano che però viene appesantito dalla continua ripetizione dei dettagli dei luoghi e dei riferimenti riguardanti i personaggi, quasi che il lettore sia talmente incapace di concentrazione che bisogna dirgli ogni volta per esteso che il tale è ‘lo spazzino Alvaro Sernesi detto il Mitraglia’: oltre alla pazienza di chi legge, ad andarci di mezzo è il passo stesso del racconto che finisce inevitabilmente per perdere colpi.