Torto marcio
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Un giallo sociale, divertente e amaro.
Torto marcio - A. Robecchi
Un giallo che va oltre i soliti confini del romanzo di genere, una fotografia della Milano che non esce sulle copertine patinate delle riviste e delle persone, i cosidetti ultimi, che la popolano.
Non ho letto i libri precedenti di Robecchi, quelli della serie con Monterossi protagonista arrivata al quarto capitolo, e dopo aver letto quest’ultimo mi è venuta una irrefrenabile voglia di recuperare le precedenti puntate.
La trama gira intorno a tre storie principali che partono separate per poi, in qualche modo contorto, intrecciarsi e portare al gran finale. Abbiamo il gruppo investigativo della questura guidato dai sovrintendenti Carella e Ghezzi che indagano sugli omicidi che stanno impazzando nella Milano di oggi, abbiamo il famoso autore televisivo, amante di Bob Dylan, Monterossi che insieme al suo fidato amico Oscar cercano un anello di inestimabile valore e infine abbiamo un gruppo di ragazzi appartenenti ad un collettivo comunista che si batte per il diritto alla casa. Questi sono i tre filoni di cui sopra: il primo, quello che racconta di Carella e Ghezzi, è il filone più esilarante che mi ha fatto molto divertire e mi ha letteralmente trascinato nella lettura del romanzo. Un’armonia tra i personaggi, una splendida complicità e un’ottima divisione dei ruoli con alcune sorprese che lasciano il segno come la splendida signora Rosa. Andando avanti nel romanzo si ha il piacere di visitare una Milano di periferia, dove vivono i vinti, coloro per i quali la scala sociale non ha preso la direzione sperata, le persone che combattono per cose basilari come il diritto di avere un tetto sotto al quale vivere. Ed è proprio questo il particolare merito del romanzo, e cioè di portare in superficie un annoso problema di cui non si parla mai abbastanza e che spesso rappresenta terreno fertile per movimenti e politici populisti. In questa maniera Robecchi porta il suo racconto oltre i confini del giallo trasformandolo anche in una sorta di denuncia sociale.
Inoltre abbiamo un ottimo racconto delle tecniche di investigazione con le procedure rese molto realistiche e descritte in maniera precisa, niente super uomini che risolvono tutto da soli ma un lavoro di squadra che mostrato così sembra quasi uno spot per arruolarsi in polizia dato che sembra molto stimolante pur senza inventarsi nessuna sofisticata diavoleria, purtroppo sappiamo che la realtà non è così ed è molto più prosaica.
Spostando la lente dal gruppo investigativo a Monterossi cambia molto il registro letterario infatti le atmosfere cambianno e si allegeriscono, il protagonista è un affascinante autore televisivo in perenne conflitto con se stesso e in continua ricerca di dischi di Bob Dylan; ciò nonostante resta costante la critica al sistema giornalistico della TV della sofferenza, per capirci quella TV di cui la nostra Barbara D’urso è leader e di cui spesso ci vergogniamo per la estrema cinicità e mancanza totale di buon gusto e sensibilità. Una critica mai velata e sempre precisa che mostra un dietro le quinte molto verosimile di tali programmi abbastanza discutibili.
In definitiva il romanzo Torto marcio è veloce, simpatico e ti porta facilmente alla dipendenza in quanto riesce a instaurare fra il lettore e i personaggi un solido legame, un’affezione particolare. La costruzione della trama e gli incastri creati sono efficaci e funzionali alla scorrevolezza del testo; le battute tra i protagonisti, gli equivoci e i momenti di divertimento sono molti e ben sparsi nel testo, comunque ben bilanciati con i momenti di tensione e suspance che fanno accelerare il racconto in maniera decisa. Una bella prova che a detta di molti fa toccare un nuovo picco alla produzione letteraria dell’autore.
Sono estremamente soddisfatto per la scoperta di questo autore e ne consiglio vivamente la lettura anche a chi non è amante del genere ma cerca semplicemente una buona e intelligente storia da leggere.
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The evil and the good, living side by side
Giallo ambientato a Milano, dove nella primavera 2017 avvengono degli strani omicidi nei quali sopra il corpo della vittima viene misteriosamente deposto un sasso. Massoneria? Islamisti? Terroristi? E le vittime? Cos’hanno in comune, quali vite hanno vissuto, quali sono stati i loro affetti, affanni, affari e segreti?
La verità ha molte facce, maschere, sembianze, travestimenti. C’è la famelica verità giornalistica, degli opinionisti e degli editorialisti per cui ogni fatto è la conferma di una teoria, il pretesto per la sferzata quotidiana a qualche comodo bersaglio, l’occasione per frenare l’emorragia di vendite e di lettori. C’è la perfida verità del gossip, della maldicenza e dell’osceno commercio di sentimenti di cui pullula lo show business. C’è l’ambigua verità dell’ideologia, che spesso riempie le menti più deboli fino a confonderle e, per mezzo di ingannevoli certezze, trasfigura falsamente anche le azioni più abiette. C’è l’ingarbugliata verità giudiziaria, dei verbali di polizia e delle sentenze: una matassa di fili di cui si perde quasi sempre il capo, o la coda, o un tratto più o meno lungo, dunque una verità sempre incompleta, sbiadita e innaturale. C’è la rassegnata verità degli ultimi, di quelli hanno che sempre saputo che gli ultimi resteranno sempre ultimi e non si lasciano fagocitare da nient’altro che da questa unica amara verità. E infine ci sono i fatti, nudi e crudi, senza additivi, ricette, commenti e spiegazioni.
Con “Torto marcio” Alessandro Robecchi scrive una storia facendo un inevitabile uso di cliché da romanzo poliziesco, con l’aggiunta di un evitabile (ma per la verità più contenuto) uso di cliché sociologici e la popola dei suoi personaggi ricorrenti: l’autore televisivo Monterossi, il sovrintendente di polizia Carella, il vice sovrintendente Ghezzi. Ci offre anche una topografia di Milano spaccata a metà, tra i vincenti, che hanno avuto tutto, e gli ultimi, che hanno perso tutto, o non hanno mai avuto niente, né mai l’avranno. Salvo poi scoprire che gli estremi si toccano, per certi tratti si confondono, prima di dividersi tra chi è destinato a “due lire bastarde e spavento” e chi invece potrà permettersi i migliori studi, un buon matrimonio, una bella casa in centro, soldi, fama, potere.
Mi sono molto piaciuti quasi tutti i personaggi della storia, soprattutto quelli dei ceti più popolari, che danno immediatezza e spontaneità alla narrazione. Mi ha colpito la bizzarria di alcuni, tipo il ladro imbranato che però sa riconoscere al volo le opere di Balla e Depero. La signora Ghezzi mi ricorda, non so perché, la signora Maigret. Monterossi e Ghezzi ci propongono infine l’elogio dall’alternativo: ci raccontano tutta la bellezza, la difficoltà e l’amarezza della condizione di chi vorrebbe tanto essere normale, ma nell’acqua in cui è costretto a nuotare gli tocca andare sempre controcorrente. Pesci fuor d’acqua e fuori dal tempo, che anche quando fanno centro e ottengono una vittoria, scoprono che ha un sapore ancora più aspro e amaro della sconfitta.
Il romanzo si chiude significativamente sulle note di Bob Dylan:
Most of the time/I'm halfway content/Most of the time/I know exactly where it all went/I don't cheat on myself/I don't run and hide/Hide from the feelings/That are buried inside/I don't compromise/And I don't pretend/I don't even care/If I ever see her again/Most of the time
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Con l'amaro in bocca
Ci sono libri che possono raccontarci molto di più di quello che in apparenza potrebbe sembrare. Libri che magari vengono classificati come polizieschi, noir, perché hanno tutti i crismi del genere, ma che poi sviscerati più in profondità ci parlano anche e soprattutto d’altro.
Il presente romanzo di Alessandro Robecchi, incentrato sulla simpatica figura dell’autore televisivo di programmi spazzatura Carlo Monterossi, “detective per caso” e grande appassionato di Bob Dylan, assolve proprio a tale scopo.
Nel libro esistono tre filoni narrativi, tre storie che riguardano personaggi differenti le cui vite piano piano cominceranno ad incastrarsi: poliziotti impegnati a risolvere un’indagine per trovare il famigerato “killer dei sassi”, il già citato Monterossi coinvolto con un amico fidato nella ricerca di una preziosa collana rubata alla madre di un’amica, ed un ragazzo che vive precariamente, in un casermone della periferia di Milano attorniato da indigenti, immigrati e bande criminali.
Man mano che si procede nella lettura si ha l’impressione che l’elemento del giallo, l’indagine di polizia, ceda progressivamente il passo ad altre considerazioni, altre riflessioni che riguardano la città di Milano, specchio di tutto quello che succede nel resto d’Italia. Infatti il romanzo di Robecchi funge da lente di ingrandimento, mettendoci sotto agli occhi tematiche estremamente attuali che riguardano il tema dell’immigrazione straniera, delle case popolari che vengono occupate abusivamente, e più in generale delle periferie urbane degradate, abbandonate e lasciate soffocare e che pertanto diventano terreno fertile per la criminalità. Contrapposta a questa realtà si specchia la parte di città che rimane indifferente a tutto questo, la Milano borghese, ricca e benestante che si chiude in sé stessa, nelle zone residenziali del Centro Storico in cui scorre denaro a fiumi (senza porsi troppe domande su come è stato guadagnato) e dove “…non basta farsi belli con l’annata del vino” perché “devi sapere anche quella del mobilio”. L’autore sembra poi scavare ulteriormente, stabilendo un ipotetico collegamento tra la precarietà di alcuni dei suoi protagonisti ed il passato che li coinvolge, che richiama alla memoria la seconda metà degli anni ’70, la lotta di classe e la contestazione (anche) armata e violenta della sinistra extra parlamentare.
In definitiva, a lettura ultimata di questo gradevolissimo libro, rimane una sensazione di tristezza, di impotenza, in cui sembra che effettivamente tutti quanti possano avere torto marcio (esattamente come nel titolo del romanzo), favorendo altresì riflessioni sul tema della giustizia, al fine di valutare se questa assolve perfettamente alla sua funzione o se invece dimostra delle falle per cui, alla fine, vincono sempre i più forti ed potenti.
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Alla fine, forse, un bagliore di speranza !
Un’indagine poliziesca, che svela retroscena inquietanti e che riporta alla luce eventi di un lontano passato (circa trent’anni prima) che sembrava sepolto e sbiadito nei ricordi. Due sono le coppie di investigatori: un autore televisivo, Carlo Monterossi, personaggio caro all’Autore e già protagonista di altri romanzi, con Oscar Falcone, investigatore privato, e due poliziotti milanesi, Carella e Ghezzi, in azione sotto traccia. Nella Milano bene, quella dei quartieri ricchi, di gente che si è conquistata un posto nella società che conta (con quali mezzi non importa), due ben noti personaggi sono ammazzati a colpi di pistola, e, caso strano, viene lasciato un sasso sul petto. Un altro ammazzato viene trovato in seguito, stessa procedura e stesso sfregio, ma il caso quadra poco con gli altri due: il morto è un ricco e losco trafficante, pedofilo per giunta, maritato con una bellissima e altolocata figlia di banchieri, Isabella ……. Le indagini sono complicate, i media tirano in ballo terroristi, Milano ha paura, si fa in fretta a creare allarmismi ed a puntare il dito su presunti colpevoli, a tal punto che, da Roma, vengono inviati investigatori da parte del Ministero competente e la nostra brava coppia di poliziotti è costretta a lavorare di nascosto, con il beneplacito di un sagace superiore. E grazie all’abilità del più anziano Ghezzi, che si intrufola addirittura in uno dei più popolosi e degradati quartieri della periferia milanese, ecco che viene alla luce una verità sepolta da anni di omertà e di silenzi. Ma Monterossi e Falcone non sono da meno: con abili stratagemmi, si scopre che l’altera e seducente Isabella sa nascondere con abilità verità segrete e inconfessabili. La trama è seducente, grande l’abilità di Robecchi nel delineare caratteri e situazioni, con un linguaggio convincente e dialoghi brillanti, con una sottile e sempre presente vena di ironia e umorismo. La grande protagonista è Milano, la città dai due volti: la Milano che trasuda benessere e ricchezza, la Milano del Centro e di via Magenta, quella ove la finanza spregiudicata e l’ostentazione degli status symbols la fa da padrone, e la Milano dei quartieri diseredati e squallidi della periferia (ma non troppo), quella di piazza Selinunte ove in casermoni fatiscenti si accalcano migliaia di poveracci in appartamenti abusivi, ove le porte vengono abbattute da nuovi occupanti e le serrature subito rifatte, e dove pur albergano episodi di altruismo e di convivenza civile. L’amara conclusione è che la giustizia làtita, i più furbi la fanno franca e chi vuol farsi giustizia da sé ha comunque torto marcio e può pagarne le conseguenze con la vita. Ma si intravede alla fine un bagliore di speranza: Ghezzi, il poliziotto anziano che ha deciso di dimettersi per coerenza con i suoi principi di onestà intellettuale, viene dissuaso da più saggio Carlo Monterossi: una soluzione si può ancora trovare…
Un bel romanzo, da assaporare pagina dopo pagina. Da leggere e consigliare !