Serenata senza nome. Notturno per il commissario Ricciardi
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Ma che guaio che è, questo amore.
Ah, l’amore. Che cosa è davvero l’amore? Gioia, tormento, sofferenza, felicità: è tutto questo e allo stesso tempo non è niente di tutto ciò. E’ impossibile dire che cosa sia l’amore. Ognuno ha una sua idea e non riuscirà mai effettivamente a esprimerla al meglio. L’amore è una cosa del tutto personale, che ha ispirato pittori, poeti, musicisti. Ed è proprio a casa di un vecchio suonatore di mandolino che inizia la nuova avventura del commissario Ricciardi.
Il commissario Ricciardi, insieme al brigadiere Maione, deve indagare sulla morte di un ricco commerciante, assassinato con un pugno alla tempia, guarda caso proprio la modalità con cui è morto l’ultimo sfidante sul ring del pugile Vinnie Sannino, emigrato anni prima in America e ora ritornato a casa.
La trama si complica quando si scopre che Vinnie da giovane era innamorato della moglie del morto e sembra fosse partito proprio per mettere da parte un po’ di soldi per potersi costruire un futuro migliore con la sua Cettina. Tutte le prove sembrano suggerire che Vinnie sia il colpevole, ma è davvero così?
Il libro è un giallo che si legge velocemente, lo si divora, capitolo dopo capitolo. Non mancano anche alcuni tratti “horror”. Chi ha già letto altre avventure del commissario Ricciardi sa bene quale sia il suo dono (o la sua maledizione): Ricciardi percepisce gli ultimi pensieri, gli ultimi istanti, della vita di uomini e donne vittime di incidenti o omicidi. E’ questo il “Fatto” che tormenta la vita del nostro protagonista. E’ questo il “Fatto” che sembra impedirgli di avere una vita serena, normale. E’ questo il “Fatto” che sembra impedirgli di dichiararsi alla donna che ama.
L’amore ha un ruolo centrale nel nuovo libro di Maurizio de Giovanni. In alcuni passaggi mi è sembrato che l’indagine venga posta quasi in secondo piano, preferendo analizzare maggiormente i sentimenti dei numerosi personaggi coinvolti. Ma questo non è un male, anzi.
Ho amato davvero come l’autore riesca a descrivere ciò che le sue creature (non solo i protagonisti ma anche i personaggi meno importanti) provano, gioie e dolori.
Le sofferenze d’amore avvicinano personaggi tra loro distanti: dolce e struggente è la vicenda del femminiello Bambinella che chiede l’aiuto del brigadiere Maione per salvare il suo amato.
Tristezza e rabbia sono invece le fondamenta delle pene d’amore del nostro commissario Ricciardi, che sembra voglia privarsi di qualsiasi gioia nella sua vita a causa del “Fatto”. In questo romanzo Ricciardi è “conteso”da tre donne, tra loro molto diverse in aspetto e comportamento, ma tutte e tre affascinate dagli occhi verdi del poliziotto.
Leggere un libro di de Giovanni si rivela sempre un piacere. Mi sono avvicinata ai romanzi di questo autore leggendo un’altra sua serie (“I bastardi di Pizzofalcone”); tuttavia è proprio con la lettura delle indagini di Ricciardi che lo stile di Maurizio de Giovanni mi ha stregata. E’ uno stile piacevole, non complicato, ma allo stesso tempo sempre impeccabile. Ogni personaggio ha la sua “parlata” e l’autore passa sapientemente da uno stile all’altro.
Probabilmente anche l’ambientazione ha avuto il suo ruolo nel farmi appassionare tanto: la Napoli degli anni ’30, anche sotto la pioggia di un autunno alle porte, ha un grande fascino. Un fascino che l’autore riesce a presentare senza alcuna difficoltà, sottolineando anche la sua affezione alla città natia.
Quindi, che dire se non buona lettura? :)
“Un pensiero solo avevo in testa, commissa’. Una sola faccia, una sola persona. Una voce, un sorriso, una pelle, una bocca che mi ossessionavano e mi davano pace insieme; inferno e paradiso, dolore e gioia. Un pensiero di quelli che sta dietro agli altri in ogni istante e a un certo punto ti sembra di non sentirlo più, invece è sempre lì. Un pensiero solo. Cettina è questo per me, commissa’. Il respiro. […] Cettina non è mia, commissa’. Cettina sono io. Cettina è ogni battito del mio cuore, ogni mio respiro. Ogni speranza e ogni ricordo. […] Ho sognato che bussavo e che Cettina veniva ad aprire riconoscendo la bussata mia, quella di quando non ero ancora partito. Ho sognato che mi baciava e piangeva per l’amore e per il tormento, e che io pure piangevo. E ho sognato che rientravo per le strade che conosco bene, perché io sono partito, commissa’, ma non me ne sono mai andato.”
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Di nuovo tu...
Ricciardi è un riccio verso il mondo e, a causa del “fatto” che incombe nella sua vita, respinge ogni tipo di amore. Però, nonostante questo, attira le donne come falene. Prima Enrica, che con lui cerca comunque di superare la barriera altissima della propria riservatezza. Poi Livia, che non riesce ad isolare cuore ed emozioni ed il cui cuore perde un battito al solo pensare a lui. E da qualche tempo, fra le due “litiganti”, si è inserita la contessa Bianca, bellissima ma un po' fredda, anche lei innamorata di questi occhi verdi che avvelenano l’anima di tante e che danno una scossa a tutte. Secondario, nel proseguo di questa serie, è il caso su cui Ricciardi e Maione si trovano ad indagare. Forse perché tutti i personaggi sono sempre così ben raccontati e così animati di vita propria, da attirare l’attenzione del lettore molto di più del singolo caso poliziesco. In questa storia il cuore è tutto l’amore di un tormento, perché se il cuore cresce attorno ad una persona, il posto non si libera così facilmente, nemmeno se si pongono limiti o freni o distanze. A volte si parte per allontanarsi, ma si parte senza di fatto andarsene mai. E da questa Napoli anni Trenta è difficile andarsene…
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Ricciardi, l’autunno e la perdita.
Il cav. Costantino Irace è rinvenuto cadavere in un vicolo buio presso il porto. Barbaramente ucciso. A pugni. Ma nelle sue tasche ci sono ancora sessantamila lire ben conservate: non è stata una rapina, quindi. La sera precedente, a teatro, era stato protagonista di un violento scontro verbale con Vincenzo Sannino, campione dei medio-massimi che recentemente aveva abbandonato la boxe per il rimorso d’aver ucciso un avversario sul ring. Vincenzo (in America soprannominato Vinnie the Snake) era diventato famoso per il suo micidiale gancio sinistro e a teatro aveva minacciato di morte Irace che s’era sposato Cettina, la ragazza di cui è follemente innamorato sin da ragazzo. Tutto chiaro, dunque? Sembrerebbe di sì, Vinnie non ricorda neppure dove si trovava quella sera, tanto era preda dei fumi dell’alcol: potrebbe benissimo essere stato lui a commettere l’omicidio. Per Ricciardi e Maione, però, le cose non appaiono così scontate: ci sono altri che avrebbero tratto vantaggio dalla morte di Irace, Però l’indagine si rivelerà difficile e spinosa soprattutto per le interferenze del potere politico, che vuole a tutti i costi la condanna del “pugile vigliacco” che ha abbandonato il ring imbattuto. A complicare le cose ci sono poi le storie personali dei due investigatori; storie che rischiano di distrarre l’attenzione dal caso: Maione vorrebbe aiutare Bambinella, il cui “innamorato” ha pestato i piedi ad un camorrista e, ora, rischia la vita; Ricciardi, d’altra parte, pur facendo con assiduità il “cavalier servente” alla bellissima Bianca, è in crescente pena perché Enrica sembra prossima al fidanzamento. Alla fine la soluzione dell’inchiesta apparirà in tutta la sua straziante evidenza. Come al solito la molla omicida è da ricercarsi nei due moventi classici: la fame e l’amore. Anche le situazioni personali dei due protagonisti si riveleranno, forse, meno insolubili del temuto.
Commentare un romanzo di De Giovanni è sempre impegnativo. Infatti si rischia di diventare tediosamente ripetitivi e banali.
Che altro dire se non che lo stile è mirabile e sfiora, in alcuni passaggi, una vera poesia in prosa? Che la tecnica narrativa è perfetta ed alterna, con accurata scelta di tempi, alle scene drammatiche, i divertenti siparietti con il comicissimo brigadiere Maione, puro distillato di umanità partenopea? Che la vicenda gialla è ben congegnata e descritta, per quanto faccia solo da trama sulla quale è intessuto l’elaborato arazzo dei sentimenti umani sapientemente analizzati? Che l’ambientazione storica è accurata al punto da precipitare il lettore in pieni anni ’30, come dentro ad una perfetta macchina del tempo?
In effetti se non ci si vuole ripetere rimane poco altro da aggiungere, se non che, forse, “Serenata senza nome” risulta più gradevole rispetto ai due volumi che lo hanno preceduto, troppo intimamente deprimenti e cupi. Qui c’è maggiore equilibrio delle componenti e la storia fluisce in maniera più agile e tranquilla. Per quanto anche questo romanzo ponga l’analisi delle emozioni al centro dell’attenzione, è dato rinvenire un pathos meno esasperato; i personaggi e le loro vicende sono raffigurati con tratti più lievi, con contrasti meno accentuati, tinte meno fosche. Anche l’altalenante amore a distanza tra Enrica e Ricciardi assume meno quei connotati da tira-e-molla tipici di una telenovela brasiliana, che avevano inacidito un po’ i contenuti dei romanzi immediatamente precedenti.
Si potrebbe criticare, forse, la struttura stessa del romanzo: sin troppo meccanicamente simile a quella di altri. Anche in questa, infatti, vi è l’alternanza tra gli interludi (in cui due ignoti personaggi analizzano l’animo poetico di una famosa canzone napoletana), il filone narrativo principale dell’indagine (con gli enigmi polizieschi offerti), quelli secondari (descrittivi delle vicende personali di Maione e Ricciardi) e, infine, quegli indecifrabili intermezzi nei quali un elemento naturale (sia esso la brezza, il sogno o la pioggia, come nel caso specifico) ci rivela l’animo dei protagonisti, spogliato impudicamente dalle maschere che ognuno di noi quotidianamente indossa per affrontare la vita. Tutto è simmetricamente composto in un ingranaggio sempre uguale a sé stesso. Si potrebbe anche contestarne l'uniformità, quindi, ma sarebbe come criticare il fatto che De Giovanni abbia voluto apporre la sua firma all’opera. Qualche tempo fa mi fu sagacemente fatto notare che l’A. non scrive romanzi, bensì fa letteratura: ogni sua opera è un piccolo capolavoro di estetica che va accettato anche per questo vezzo personale.
Di fronte a tutta questa “perfezione” rimane al povero commentatore solo una piccola, sadica soddisfazione. Ho notato, infatti, un’incongruenza storica che non mi sarei aspettato di trovare nella precisissima ricostruzione che i romanzi del ciclo di Ricciardi fanno degli anni ‘30. Livia, ad un certo punto della storia, canta davanti ad un pubblico estasiato la canzone di Gershwin “The man I Love”, canzone portata al successo dalla cantante nera Billy Halliday. Testualmente De Giovanni scrive “la platea, che si aspettava una romanza, o al limite un pezzo tradizionale, fremette: la canzone di un ebreo alla presenza di nazisti e fascisti”. Ora la vicenda è ambientata nell'ottobre del 1932, alla vigilia dei festeggiamenti per il decennale della Marcia su Roma. A quell'epoca il fascismo non aveva ancora evidenziato alcuna connotazione antisemita (anzi la popolazione di religione ebraica benestante appoggiava apertamente il Regime e molti avevano partecipato alla Marcia su Roma). Proprio nel 1932 Mussolini ebbe a dichiarare ad un giornalista ebreo che l’antisemitismo non faceva parte della cultura italiana. Quindi non si comprende la “sfida” che la scelta del brano avrebbe comportato ed il “brivido” negli astanti. Inoltre questo scivolone fa coppia con l’altro “falso storico”: nel 1932 non potevano esserci diplomatici nazisti a Roma, poiché il partito nazionalsocialista, pur avendo ottenuto un confortante risultato elettorale nel luglio di quell'anno, non era il partito di governo. A novembre ci saranno nuove elezione nelle quali, addirittura, il partito subirà una flessione come numero di seggi. Solo nel gennaio 1933 Hitler verrà nominato Cancelliere. Quindi quella scena non potrebbe mai essere avvenuta nella realtà ed è da considerarsi una licenza poetica al solo scopo di creare un coup de theatre; intendiamoci perdonabilissimo, ma incongruo perché l’A. non ha bisogno di questi “effetti scenici” per suscitare emozioni nei lettori.
Peraltro, De Giovanni è da ringraziare per un altro verso. In un’epoca in cui, ormai, ci vergogniamo delle parole e siamo arrivati a sostituire agli eufemismi parole ulteriormente edulcorate per evitare, usando i lemmi corretti secondo il dizionario, di urtare la suscettibilità di sedicenti benpensanti, non ha esitato ad usare, più volte il termine “negro” per definire l’avversario che Vinnie aveva involontariamente ucciso sul ring. Suppongo che la tentazione di utilizzare l’accezione “pugile di colore” sia stata forte, ma nel 1932 sarebbe stato assurdamente anacronistico se non addirittura ridicolmente ipocrita, visto che la parola neppure aveva (almeno all'epoca) un senso dispregiativo.
Concludendo, dopo queste due divagazioni, “Serenata senza nome” è sicuramente un libro da leggere, anzi, alcuni passaggi meritano di essere letti e riletti sino ad imprimerseli nella memoria, perché sono tocchi d’artista che meriterebbero una vita propria, al di fuori del racconto in cui sono inseriti.
Chiudo con una delle tante frasi che mi hanno colpito.
“L’amore è un dio perfido. Ci sono stati momenti in cui avrei preferito che mi odiassi. L’odio è pur sempre un’emozione dal colore carico, non come l’affetto, che è dipinto con gli acquerelli”.
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L'amore non muore
Un libro basato sui sentimenti, sentimenti forti, sentimenti che vincono contro il tempo, le distanze, le avversità della vità, sentimenti che non muoiono...vivono ma a volte portano anche alla morte.
De Giovanni ritorna con un suo cavallo di battaglia, il commissario Ricciardi accompagnato dal fido Maione. Sinceramente arrivati a questo punto dell'epopea di questi personaggi non leggo più questa serie per la vena thriller ma perchè incuriosito dalle vicende di cuore del commissario e per la vena fortemente ironica generata in alcuni contesti, vedasi Bambinella, del nostro brigadiere Maione.
La storia è un po' ormai un format dell'autore, "il dono" di Ricciardi sembra ormai quasi in secondo piano e la fiamma della suspance per la vena thriller è quasi spenta, secondo il mio modesto parere. Certo è interessante l'evoluzione delle vite private dei nostri protagonisti ma io De Giovanni lo associo con Ricciardi a qualcosa di più giallo.
Buona lettura a tutti.
Il Syd