Riccardino
Letteratura italiana
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Autori e personaggi...chi è più importante?
Un matrimonio, un matrimonio insolito, un'unione dall'odio e amore viscerali...il rapporto indissolubile tra autore e personaggi, mai fu più antitetico come quello tra Andrea Camilleri, "il sommo", come lo ha sempre definito una mia Amica...ed il suo personaggio più conosciuto, il Commissario Montalbano. Riccardino è un'opera dissacrante, in cui Camilleri decide di intonare il suo canto del cigno, scritto già anni prima della pubblicazione. Forse questa è l'unica storia in cui l'attenzione del lettore più che proiettata verso la trama di questa ennesima "ammazzatina", attende l'evoluzione del protagonista, di tutto quello che lo riguarda perché, senza spoilerare, questa sarà l'ultima storia con protagonista il nostro amato Montalbano. Quindi tutti ad attendere un epilogo che per l'ennesima volta Camilleri renderà inaspettato, forse un po' inaccettabile, forse un po' fuori dagli schemi, forse un po' come un addio tra innamorati, forse un po' come quella prima pioggia dopo l'estate, attesa ma che ci fa capire che qualcosa volge al tramonto. Inutile aggiungere altro, Camilleri è e rimarrà uno dei più grandi letterati del nostro tempo, Montalbano un eroe immortale che vivrà nei nostri cuori e nei nostri ricordi anche grazie alla vincente serie di film che narra delle sue indagini, Zingaretti grande attore così indovinato ma così distante dal personaggio dei romanzi camillereschi. Buona lettura a tutti. Il Syd
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Puparo e pupi
Da anni ormai le pagine dedicate al commissario Montalbano lasciavano risuonare in sottofondo le note malinconiche che ha sempre la parola fine. E quante voci si sono rincorse nel frattempo su quel chiacchierato ultimo episodio, che Camilleri avrebbe consegnato nel 2005 nelle mani di Elvira Sellerio, per chiudere la serie che tanta fortuna gli aveva regalato: morirà per violenta sparatina, sposerà l'eterna fidanzata Livia, darà definitivamente le dimissioni?
Ecco, alla parola fine ora siamo purtroppo giunti davvero e, pur non potendo commentare la veridicità di queste ipotesi senza magari svelare troppo, mi è impossibile non dire almeno questo: che immaginare banalità o piattezza per il suo ultimo saluto a Montalbano significa fare un torto alla grandezza di questo straordinario scrittore. Bisogna immaginare uno spettacolo pirotecnico, geniale e colorato.
Come al solito, c'è un'indagine, quella sulla morte di Riccardo Lopresti, il Riccardino che dà il titolo al volume. Non mancano inoltre le intuizioni del commissario e gli interrogatori che valgono come scene di teatro; né la solida comprensione di Fazio e i siparietti comici di Catarella. Ma c'è anche qualcosa in più, a rendere questo romanzo diverso e originale: in omaggio alla tradizione pirandelliana, sulla trama gialla si innesta infatti un discorso metaletterario tra personaggio e autore.
"-Montalbano è
- Cu? Montalbanu? Chiddru di la tilevisioni?
- No, chiddro veru".
Troviamo così un Montalbano vero, che vive la storia e talvolta osserva se stesso agire, sentendosi spettatore di sé. E un Montalbano personaggio, quello dei romanzi, e persino quello della televisione, verso cui provare l'insofferenza e il disagio della vita che si confronta con la finzione. E infine troviamo lui, l'Autore, il puparo che muove i fili e si diverte a giocare con loro e con noi.
"Salvo, la facenna sta completamenti arriversa. Sono io che informo te, e non capisco perché ti ostini a credere che sei tu a informare me. Questa storia di Riccardino io la sto scrivendo mentre tu la stai vivendo, tutto qua”.
Camilleri si diverte a dichiararsi vittima delle intemperanze del personaggio, che impone finali o monologhi interiori insceneggiabili, per fregare tutti gli altri. Sorride fingendosi insofferente alle sue continue imposizioni narrative, che piegano sempre la storia gialla arricchendola di osservazioni sociali, spirito civico, denuncia su politica e mafia. E coglie così l'occasione per dirci davvero cosa ha voluto essere questa serie, per lui e per tutti noi. Ci ha regalato una lingua inventata che piano piano è entrata nel nostro vocabolario. Ci ha raccontato l'Italia che cambiava, le magagne del nostro presente e l'umanità di un personaggio indimenticabile. Sempre con leggerezza e umorismo, senza intellettualismi, in fondo - come ci dice con la consueta ironia: "Io non posso sfoggiare molta cultura, sono considerato uno scrittore di genere. Anzi, di genere di consumo. Tant’è vero che i miei libri si vendono macari nei supermercati".
E allora non rimane che una parola da dire. Grazie, per tutto questo.
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Arrivederci o addio
Per volontà dell'autore questo doveva essere l'ultimo romanzo avente per protagonista il commissario Montalbano, dunque è rimasto per anni in cassaforte. Per chi da anni frequenta , letterariamente parlando, Vigata e i suoi più o meno illustri cittadini è un salutare tuffo in ambientazioni, linguaggio e protagonisti che ci hanno già conquistati. A livello di "giallo" e di trama non è questo capolavoro, c'è una novità : l'Autore ha scelto per la prima volta di mettere il suo personaggio della letteratura a confronto col suo doppio televisivo e si è ritagliato una parte nel romanzo. Non vado oltre per non fare spoiler , dico solo che questo crea un romanzo un 'ntantinicchio diverso dal solito con un finale sicuramente originale ma anche un pò spiazzante.
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Montalbano di fronte ad un bivio.
Il romanzo è del 2004/2005, come spiega Camilleri in una nota finale, e doveva sancire la fine della serie del commissario Montalbano. Si sa poi come è andata, lo scrittore ha continuato a scrivere, a far vivere ed agire il suo amato personaggio, ed ha anche deciso di pubblicare questo “Riccardino” del 2005, ritoccando qua e là, ed aggiornandone la lingua, evoluta notevolmente in questi ultimi anni. Riccardino, impiegato alla Banca Regionale con tanto di laurea in economia e commercio, muore subito (nel primo capitolo!) sparato da un killer in moto, dopo aver telefonato per errore al commissario invitandolo (ma chi era il reale destinatario della telefonata?) ad un incontro con amici. Chi ha ucciso Riccardino, e perché? L’interrogativo del romanzo in sostanza è questo, ma la vera novità è l’intrusione inaspettata dell’Autore che colloquia con il commissario e gli suggerisce come condurre le indagini. A mio modo di vedere, l’originalità del racconto ne esce compromessa: il filo narrativo sconfina nella fantasia, il racconto diventa favola, l’interesse per la trama, pur complessa, viene scemando. Anche perché la trama è complicata, e il povero Riccardino aveva più motivi per essere brutalmente fatto fuori. I percorsi comunque diventano due, dopo i suggerimenti dell’Autore a Montalbano. Camilleri infatti gli suggerisce di puntare di più sull’ipotesi di un delitto passionale: Riccardino infatti è celeberrimo per le sue imprese amorose, e per essere alternativamente o contemporaneamente l’amante delle mogli dei suoi tre amici. Quindi, una storia di corna e relativa vendetta. Ma Montalbano vuole vivere la storia a modo suo seguendo altri percorsi, più difficili da decifrare ma più attuali: una trama che coinvolge Riccardino e i suoi amici e che tocca via via attività illecite e pericolose, dal traffico di droga al furto di gasolio dalla ditta dove lavorano gli amici, da crediti bancari concessi per motivi oscuri ad amicizie con capi della mafia locale. Insomma, un quadro all’italiana, in cui entrano a vario titolo anche i cosiddetti poteri forti: un chiacchieratissimo sottosegretario alla Giustizia, già implicato ed assolto per prescrizione in reati di mafia, e addirittura il mellifluo vescovo di Montelusa che “consiglia” il pavido questore Bonetti-Alderighi di togliere prima e di ridare poi la guida delle indagini al commissario. Insomma un quadro deprimente, ma forse più aderente ai tempi. Naturalmente, fanno sempre la loro brava parte il solito Catarella (ma è un comico o un carabiniere? Qui forse Camilleri calca un po’ troppo sull’aspetto caricaturale), l’altezzoso questore Bonetti-Alderighi, il bravo Fazio ed il pubblico ministero Tommaseo (anche qui si calca troppo sull’erotomania del soggetto). La fedele Adelina stranamente non compare mai, solo una volta viene citata. Anche Livia, la pazientissima eterna fidanzata di Montalbano, non compare ma telefona, sognando viaggi in terre lontane, addirittura in Sudafrica o in Brasile, immaginate voi quanto graditi all’abitudinario e stanziale commissario ! Viaggi comunque non realizzabili, nel romanzo del 2005, dato che l’Autore programma la fine del commissario proprio nelle ultime righe.
In sintesi, un romanzo scritto con la consueta maestria, ma, alla fine, un pò deludente, proprio per l’intervento diretto dell’Autore che, convinto di porre fine alle vicende di Montalbano, ha volto essere “presente” allo straordinario evento. Un po’ d’amaro in bocca, insomma: ma per fortuna, altri numerosi romanzi verranno pubblicati, e con grande successo, dopo “Riccardino”.
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La gana di babbiari
Riponete i fazzoletti, ricacciate indietro la lacrimuccia di commozione; questo non è l’ultimo romanzo delle avventure di Salvo Montalbano, lo struggente saluto di Andrea Camilleri ai suoi lettori. Non è un racconto giallo o poliziesco, che dir si voglia, scritto a tempo debito ad hoc dallo scrittore siciliano, ormai avanti con gli anni, per chiudere in qualche modo, possibilmente in bellezza, il ciclo dei racconti con protagonista il noto commissario di Vigata.
Preparando per tempo l’epilogo del suo personaggio più famoso, e accordandosi perché tale racconto fosse edito dopo la sua scomparsa, che tra l’altro avverrà oltre un decennio dopo la prima stesura del libro.
Con questo “Riccardino”, non a caso un titolo ironico, un diminutivo dissacrante e dal sapore vagamente canzonatorio, Camilleri ha voluto invece rimarcare ben altro, la sua incredibile e vitalissima “gana di babbiari”, la voglia di scherzare, intesa come leggerezza d’animo, qualità, a suo modo di vedere, essenziale per affrontare nel modo dovuto le cose dell’esistenza.
Nessun addio, nessuna fine, lo scrittore siciliano ha chiaramente lasciato intendere che “Montalbano sono” non sparirà mai, rimarrà sempre vivo e ben presente nell’immaginario del “suo” lettore.
Quel lettore fedele e affezionato che segue con simpatia, interesse, curiosità e letizia le gesta del poliziotto siciliano dal suo primo apparire, e che di lui tutto sa e tutto conosce, indole, amori, avventure, preferenze gastronomiche, espressioni verbali ricorrenti, sia del personaggio in sè sia dei suoi compari di vita e di professione.
Lettori affezionati che s’immergono con perfetta dimestichezza e comprensione nella lingua “vigatese”, metà siciliana e metà inventata dall’Autore, anche se risultano putacaso nativi del sud Tirolo.
Magari degustando, durante la lettura, uno squisito “cannoli alla ricotta”, isolandosi per bene per evitare una qualsiasi “ camurria” o “rotture di cabasisi” durante la lettura.
Salvo Montalbano è uno di quei personaggi, dunque, un James Bond o un Hercule Poirot che non scomparirà mai, sarà sempre presente nell’immaginario dei lettori ogni qualvolta sarà riletto uno qualunque dei classici volumetti dalla copertina blu a lui dedicati.
Si badi bene, il personaggio, non la persona.
Il personaggio vive per sempre, ogni volta che si rievoca con il proprio immaginario, la persona invece ha necessariamente un termine.
“Sa, ho letto i libri che sono stati scritti su di lei e ho visto anche qualche puntata in televisione. Non male. Ma una cosa è un personaggio e una cosa è una persona. A Montalbano vinni l’impulso di susirisi e annare ad abbrazzarlo. Ma non dissi nenti, non si cataminò.”
Salvo Montalbano personaggio nulla deve ad Andrea Camilleri persona, il quale per sua stessa ammissione sempre ha iniziato a scrivere di lui senza mai portare a termine la trama secondo le sue intenzioni, poiché il personaggio è speciale, è una di quelle creature rarissime ma che esistono più spesso di quello che si crede, è dall’inizio della sua storia che gli prende la mano, al suo creatore.
Gli prende la mano, ma senza prepotenza, non è una ribellione ma con convinzione, gentile ma deciso, ha finito per prevaricare sull’Autore, a vivere di motu proprio, scegliendo da se il modo di essere, di divenire e di gestire le sue storie.
In questo modo facendo la fortuna del suo Autore, molto più che gli altri romanzi, alcuni davvero valenti di storia, di civismo e di costume, a firma di Camilleri.
Meno che mai il personaggio Montalbano ha qualcosa a che fare con il simpatico attore che lo interpreta nelle fortunate fiction televisive; nemmeno quello appartiene al personaggio e all’Autore, semmai è un prodotto delle sceneggiature e all’Autore deve solo un certo input iniziale, e non altro.
Salvo Montalbano è molto di più, e come tale non finisce, non è possibile che termini il suo ciclo.
È un personaggio stupendo, l’emblema di una regione altrettanto stupenda, la Sicilia, è il campione della gente per bene, la stragrande maggioranza, che popola una terra ricchissima di Storia, di Cultura, di Bellezza, di personaggi altrettanto stupendi ed eterni come Pirandello, Sciascia, Verga, Tomasi di Lampedusa, lo stesso Camilleri.
Tutte le cose belle dell’esistenza hanno un termine, certamente; alcune di esse sono ripetibili, altre invece sono eterne. Salvo Montalbano fa parte di queste ultime.
La Sicilia è una regione stupenda, e lo è perché imperfetta, nella sua unicità, è una terra bella rovinata da pochi laidi:
“E come ti sbagli, in questa nostra bella terra? Vidi, ma non arriconosci. Sei prisenti, ma non puoi pricisari. Hai viduto, ma confuso, pirchì ti sei scordato a casa l’occhiali….E come ti sbagli in questa nostra bella terra?”
La riscatta questa terra chi resiste, chi resta, chi la difende, chi la onora contro tutto e contro tutti, chi ne promulga i valori di onestà, lealtà, correttezza, amore per la legge e per la cultura.
Di questi valori Andrea Camilleri è il cantore, e Salvo Montalbano ne è l’emblema, da qui l’eternità del personaggio.
Andrea Camilleri scrisse per tempo “Riccardino”, perché in qualche modo i lettori devono sapere come mai non sono state edite altre avventure e perchè quelle che ci sono bastano e avanzano per farlo vivere. Allora imbastisce una storia, plasmata su quelle classiche trascorse, con Montalbano svegliato alle prime albe dal suo sonno, non dai poliziotti che lo avvisano di un delitto, stavolta, ma dalla telefonata di tal Riccardino. Lo stesso sulla cui “ ammazzatina” si troverà a indagare.
Indaga come sempre, sulla falsariga delle sue precedenti avventure, e però…con qualche forzatura, qua e là. Per esempio, non trovasi in loco perché dai suoceri il vicecommissario femminaro Domenico “Mimì” Augello, quasi come se nessuno dovesse far ombra al gran capo, lasciandogli scena aperta. Stavolta la mano che “tuppia” sull’uscio dell’ufficio, quella catastrofica dell’agente scelto Agatino Catarella, è più disastrosa del solito, devastando porta e architrave, proprio un finale con il botto, diremmo. L’ispettore Giuseppe Fazio, sempre con il pizzino anagrafico a portata di mano, lo dice chiaro al suo superiore: dottore non la riconosco più, perche a lei gli è venuta a mancari la “gana”, la voglia, l’entusiasmo, il fuoco interno per fare questo mestiere.
Il reparto “pollaio” del commissariato, gli agenti Gallo e Galluzzo, compare solo per nominata.
Salvo Montalbano stavolta da Enzo, il suo ristoratore prediletto, ci passa pochissimo, gli si è smorzato l’appetito, anche se qua e là compare ancora la pasta n’casciata, la caponata, il provolone ragusano, le triglie, insomma i piatti che preferisce. Ma di Adelina neanche l’ombra; Lidia Burlando, poi…da Boccadasse vorrebbe portarlo in viaggio in Sud Africa o a in Brasile, ma figuriamoci, lo vedete voi il nostro eroe vagare in quei lidi?
Tutto concorre a farci credere che siamo davvero agli sgoccioli della serie, al gran finale, ci prepariamo tremebondi al “modo” in cui Montalbano chiuderà la sua esistenza, tutto sta a vedere come l’Autore intende porre fine alla saga del suo personaggio più famoso.
Sullo sfondo, come in altre indagini precedenti, agiscono i consueti poteri forti, quelli della politica, della mafia, degli affaristi, dei trafficanti, finanche quello temporale della Chiesa, con cui spesso Montalbano si è scontrato; viene quindi naturale pensare che il commissario è giunto al capolinea.
I poteri forti potrebbero eliminarlo in maniera pulita…magari facendo approvare una legge ad personam, data l’epoca in cui è ambientata la storia, che lo costringa al pensionamento coatto.
Peggio, potrebbero mandargli a casa un lurido killer, un vero topo di fogna, un nativo delle chiaviche della malavita mafiosa che lo assassina, elevando il nostro valoroso al rango di un martire della giustizia, alla Falcone e Borsellino.
Niente di così banale. Ancora una volta, il personaggio Montalbano prende la mano all’Autore Camilleri: si finisce “pigliato dai Turchi”, a sorpresa, spiazzati.
Santo Montalbano è un siciliano vero: schietto, leale, intelligente, giusto.
Come tutte le persone con queste caratteristiche, è anche brioso, divertente, faceto: ha la gana di babbiari, come il suo autore Andrea Camilleri, di cui è copia conforme.
Quindi, semplicemente, si cancella. Fino alla prossima rilettura.
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In ricordo di te...
«Macari il morto era vistuto allo stisso modo, sulo che la parte di davanti della maglietta aviva macchi e striature marrò scuro, dovute al sangue che faciva ‘na pozza supra alle basole. La facci non ce l’aviva cchiù, scancillata. Allato alla mano dritta c’era un cellulari. Fu sulo allora che Montalbano, talianno torno torno, s’addunò che supra alla saracinesca ‘nsirrata ci stava ‘n’insegna. C’era scrivuto: “Bar Aurora”.»
Tutto ha inizio con una misteriosa morte, quella di Riccardo Lopresti detto Riccardino. L’uomo, direttore della filiale vigatese della Banca Regionale, sposato con Else ma senza prole al seguito, viene pubblicamente ucciso, pare a causa di una serie di colpi di pistola presuntivamente sparati da un uomo a bordo di una moto. Testimoni dell’esecuzione sono i tre amici di sempre del morto: Mario Liotta, geometra residente in via Marconi, Alfonso Licausi, “giomitra”, residente in via Cristoforo Colombo e Gaspare Bonanno, “raggiuneri”, residente in piazza Plebiscito 97.
I quattro amici hanno condiviso tutto della loro vita non a caso si son sempre considerati un po’ come i “quattro moschettieri”. Soltanto a livello coniugale questo rapporto ha un poco risentito della coesione in quanto la moglie della vittima è sempre stata restia a intessere rapporti di amicizia con gli altri e le rispettive consorti. Salvo Montalbano li preleva letteralmente dal luogo del delitto e li conduce in commissariato. Dopo un cognacchino ha inizio l’interrogatorio atto a delineare la vicenda e a ricostruire gli ultimi attimi di vita dell’assassinato. Tra tutti, Liotta assume il ruolo di portavoce del trio e più va avanti la ricostruzione di quello che sembra essere un fatto evidente e più per Montalbano tutta questa evidenza non c’è. Anzi, al contrario, i tasselli di quell’omicidio non gli tornano, non vanno al loro posto. L’inchiesta viene affidata ufficialmente al dottor Enrico Toti, nuovo capo della mobile, di origine padana, ma Salvo proprio non ce la fa a star lontano da quel delitto perché troppi sono i tarli che si affacciano nella sua mente. Allarga le indagini, analizza il luogo del delitto, le modalità di azione nonché le dinamiche del ritrovamento e arriva a trovare la sua pista. In tutto questo, però, è solo nei suoi pensieri. Affiancato nelle indagini dall’immancabile Fazio e dal buon vecchio Catarella, porta avanti quella che è una inchiesta in cui non manca il suo stile investigativo ma in cui si affianca anche un aspetto introspettivo. Perché Montalbano è stanco, insofferente, sdubbiato. O forse, lo è il suo autore? Perché a prescindere dall’investigazione che viene condotta con la solita e consueta maestria, in “Riccardino” vi è anche un vero e proprio ritratto del rapporto che è esistito tra personaggio e scrittore, un legame che li porta a fronteggiarsi, a parlarsi, a interloquire su quella decennale collaborazione che li ha visti protagonisti. Perché se da un lato Camilleri quella storia la sta scrivendo e intessendo come un romanzo, ecco che Salvo vuol viverla a suo modo in quanto parte della sua vita. Un gioco pirandelliano tra chiaroscuri e controluce sui fili del puparo che confonde quel che è il racconto e quel che è realtà e che al Maestro di Vigata riesce senza difficoltà alcuna.
A rendere ancora più unica quest’ultima avventura, lo stile narrativo. Come noto “Riccardino” vide la sua nascita il primo luglio 2004 e la sua conclusione il trenta agosto 2005 con un Camilleri ottantenne e stanco di portare avanti le vicende della sua creatura, con un Camilleri consapevole di dover cominciare a mettere un punto su tante, troppe cose. Di fatto a questa opera ne sono seguite altre diciotto, di avventure. Avventure a cui si sono sommate altrettanti eterogenei racconti. Lo scrittore tornò a quello che rappresenta l’ultimo lavoro nel 2016 perché proprio non gli andava di lasciarlo “non sistemato”. E così, a novantuno anni, con l’ausilio della cara amica Valentina lo ha rivisitato e formalmente corretto. La trama è rimasta la medesima ma quel che è mutato è lo stile che si è adattato ai tempi. Una lingua che viene aggiornata perché nei tanti anni si è evoluta e continua a evolversi. Il titolo, originariamente provvisorio, è rimasto nel definitivo poiché, nel mentre, l’autore vi si era affezionato e con lui anche noi.