Rancore
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Il ritorno di Penelope Spada
«Veniva ai giardini sempre di sabato o di domenica. Arrivava nella zona in cui di solito mi alleno, si sedeva su una panchina, non troppo vicina e non troppo lontana dagli attrezzi, tirava fuori un libro e un taccuino dallo zainetto, si metteva a leggere e di tanto in tanto prendeva appunti. Anche se faceva freddo. Qualche volta alzava la testa e si guardava attorno, con un’espressione incuriosita, come se si fosse reso conto solo in quel momento di dove si trovava.»
Nomen omen. Un vero e proprio caso di nomen omen è quello che coinvolge Penelope Spada, protagonista nata dalla penna di Gianrico Carofiglio e arrivata al grande pubblico con “La disciplina di Penelope”. Un personaggio particolare, Penelope. Una donna forte, provata dalla vita, una donna tenace ma astuta che negli anni ha imparato a guardarsi le spalle. Lei che in un’altra vita è stata Pubblico Ministero, lei che per quel misterioso fatto proprio del passato ha perso tutto e tutti tanto da trascorrere il suo tempo in compagnia di caffè corretti con Jack Daniel’s dopo notti con uomini diversi. Così l’abbiamo conosciuta. Ed è ancora lei che ben sa come funziona il sistema giuridico italiano, per punizioni e sanzioni talvolta inflitte quando l’unico obiettivo è o dovrebbe essere la ricerca della verità.
In “Rancore” tutto ha inizio dalla morte di un barone universitario. Pare, per cause naturali. Ma se non fosse così? Questo è il sospetto della figlia, Martina Leonardi, che in quella morte naturale proprio non crede. Una morte occorsa mentre la figlia era all’estero, una morte che proprio non la convince e della quale sospetta la nuova moglie del padre. Costui, dopo il divorzio dalla madre, si era risposato con una donna molto più giovane, due anni meno della figlia, ma che il giorno della morte era partita per un centro benessere in Toscana. Eppure Martina non ha dubbi. Troppi gli interessi sottesi, economici e non, legati alla morte dell’uomo chirurgo ma anche professore universitario. Per una legislatura anche parlamentare, un personaggio noto a Milano. Ma Vittorio Leonardi non è un personaggio sconosciuto per Penelope, anzi…
«Una regola tanto ovvia quanto ripetutamente violata anche da investigatori esperti: bisogna lasciar parlare il testimone, senza interromperlo, fino a quando non ha riferito tutto con le sue parole. Alla base c’è una ragione tecnica che molto spesso viene dimenticata: se l’investigatore, quale che sia il tipo di investigazione (privata, giudiziaria, addirittura – o forse soprattutto – psicologica), comincia subito a pretendere chiarimenti, precisazioni, a porre domande che esulano dal contesto dei fatti, quello che si determina è un effetto dannoso anche se poco intuitivo. Il teste, invece di riportare la sua versione genuina di una vicenda, è “addestrato” a rammentare solo ciò che interessa all’investigatore. E così vengono disperse, spesso in modo irrimediabile, informazioni importanti. Succede perché, dopo aver raccontato una storia in un modo, poi tendiamo a ripeterla sempre uguale, più che a recuperare la memoria di ciò che è davvero accaduto. Perciò è molto meglio lasciar parlare l’altro senza interrompere la sua narrazione e la nostra concentrazione. Ci sarà tempo in seguito per chiedere delucidazioni e avanzare congetture. Il problema è che tutti noi troviamo difficile ascoltare in modo attivo, cioè senza intervenire ma lasciando percepire che stiamo ascoltando. Immagino dipenda dall’insicurezza del proprio ego. Ci interessano le risposte alle nostre domande, più che la versione dell’altro. Ecco perché, come dicevo, perfino gli investigatori esperti non sono immuni da un simile errore. Naturalmente, fra coloro che, conoscono questa regola e talvolta la violano ci sono anche io.»
Un passo che riporto con la forza del ricordo di uno studio essendo questo uno dei principi base che vengono insegnati durante l’esame di Procedura Penale. In “Rancore” Carofiglio onora in primis Dostoevskij riportando quella che può ritenersi una propria e personale interpretazione de “Delitto e castigo”. Una versione, in questo caso, in ambito universitario.
L’opera si sviluppa con rapidità, è avvalorata dalla penna di uno scrittore che ci ha abituato alla forma precisa ed elegante di uno stile narrativo privo di sbavature e che con questo secondo capitolo porta avanti una serie che regala ore piacevoli.
E per quanto sia possibile intuire chi sia il colpevole, l’intreccio regge tra colpi di scena e sequenze che si susseguono rapide. I personaggi dal loro canto sono ben caratterizzati e solidi nella loro costruzione. Il lettore non fatica a immedesimarsi anche se talvolta l’immagine di Penelope tende ad essere più maschile che femminile. Non può definirsi l’opera migliore dello scrittore ma regge bene e ben prosegue le avventure iniziate con “La disciplina di Penelope”.
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Il passato diventa presente
Torna Penelope Spada, felice creatura frutto dell’abile penna di Gianrico Carofiglio, ne il libro intitolato Rancore. Un libro elegante, scritto con una prosa precisa, raffinata e tecnica. Un romanzo che risente della precedente professione di magistrato dell’autore.
In questo libro un barone universitario, ricco e molto potente, massone, muore improvvisamente. Il referto parla di cause naturali. La bella moglie, di trent’anni più giovane, lontano in Toscana. La figlia di primo matrimonio ha dei dubbi, ed accusa la matrigna. Non può che rivolgersi a Penelope Spada, un ex pm, con un mistero alle spalle, e un presente di quieta disperazione, che afferma:
“Le mie dissonanze, i miei materiali disarmonici in un equilibrio tra loro.”.
Lei che è troppo presa da un
“Inseguimento tardivo dei miei fantasmi”,
ha quasi la certezza di non scoprire nulla di che. Con il proseguo dell’indagine, però, tutto muta e diventa una drammatica resa dei conti con il passato, un appuntamento sempre rimandato con il destino e l’impossibilità concreta di mutarlo. Quindi com’è morto davvero Vittorio Leonardi? Perché Penelope è stata costretta ad abbandonare la magistratura?
Una lettura per chi ama il thriller giudiziario, competente e di qualità, fondato su di una figura di donna che incanta e convince appieno.
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Un rancore che si trasforma in odio profondo.
Ritorna Penelope Spada, l’ex pubblico ministero, in un nuovo giallo di Gianrico Carofiglio. Ecco in sintesi la storia. Un potente primario chirurgo ospedaliero, Vittorio Leonardi, notissimo per bravura e arroganza, viene trovato morto nel suo letto, colpito secondo l’amico e collega dottor Loporto da infarto miocardico. Il defunto, divorziato da anni, si era risposato con una giovane e affascinante star televisiva, Lisa Sensini, e Marina, l’unica figlia, vuole vederci chiaro: teme infatti che il padre sia stato ucciso, date le sue intenzioni di cambiare testamento maggiormente in favore della prima moglie. Penelope è pregata dalla figlia di indagare sulla morte del genitore, dietro congruo compenso, ed inizia contattando e interrogando alcuni personaggi, cominciando dal notaio estensore dell’atto testamentario e sentendo poi la badante, l’amico medico intervenuto dopo la morte, la prima moglie e, infine, la seconda, avvicinata, dopo pedinamenti e peripezie varie, in una palestra. Qui Penelope, pur senza rivelarsi, intreccia un rapporto amichevole con la principale sospettata, con tanto di incontri successivi e inviti a cena. Nel racconto, Carofiglio riporta saltuariamente antefatti accaduti cinque anni prima, quando Penelope era ancora nelle sue funzioni di pubblico ministero, ed era venuta a conoscenza, da una lettera anonima, di misteriose riunioni massoniche in un condominio milanese: riunioni dove personaggi altolocati e potenti della sanità, della magistratura e della politica influivano illegalmente su importanti nomine ai vertici amministrativi. Penelope viene a sapere che anche il professor Leonardi faceva parte della combriccola, anzi ne era uno dei membri più influenti: fa rintracciare il factotum del primario, un infermiere ospedaliero, che prima nega ogni rapporto, poi improvvisamente, messo alle strette durante l’interrogatorio, accusa un malore, cade a terra e muore. Penelope, colta di sorpresa, anche perché il fermo e l’interrogatorio non erano autorizzati, teme un’accusa di omicidio colposo e si dimette dalla magistratura. La narrazione dell’antefatto e delle dimissioni Penelope si sente di confidarle cinque anni dopo ad un caro amico, Alessandro, conosciuto al parco: un’amicizia sincera, incondizionata, anche per l’affinità dei due, accomunati dalla passione per la lettura e da reciproche confidenze.
Sapremo alla fine, colpo di scena magistrale, che il potente barone ospedaliero era stato deliberatamente ucciso da un personaggio fino alla fine insospettabile, che da anni covava un autentico progressivo rancore nei suoi confronti, rancore la cui natura lascio al lettore scoprire.
Tutta la storia è narrata dall’autore con la consueta maestria e precisione, con tempi espositivi perfetti, alternati a digressioni in antefatti esplicativi ed utili per capire la successione degli eventi: proprio dagli antefatti possiamo finalmente comprendere i motivi per i quali Penelope Spada non è più magistrato, una decisione coraggiosa e sofferta che ha inciso e incide sul carattere della protagonista rendendola a volte fragile e rassegnata. Anche se la vicenda narrata coinvolge emotivamente il lettore e lo induce a sospettare del possibile delitto vari personaggi, devo confessare che a volte ho trovato il ritmo narrativo lento, soprattutto nella parte centrale: in certe pagine emerge prepotente il Carofiglio esperto saggista, quando, ad esempio disserta sui vantaggi di una dieta vegana, oppure sulle varie astuzie da mettere in atto durante pedinamenti di soggetti sospettati, o ancora sulle modalità di esecuzione di alcuni complicati esercizi fisici in palestra. Tutte divagazioni legate ovviamente agli incontri di Penelope con altri personaggi della storia, ma esposte con un certo compiacimento professorale, da esperto autore di saggi ed anche, non dimentichiamolo, da consumato opinionista televisivo. Sia ben chiaro: non vuole essere una critica, solo una constatazione che non scalfisce la bellezza della storia e la bravura dell’autore.
Bravura attinta dalla sua attività di magistrato, come afferma in una recente intervista lo stesso Carofiglio: “ Non c’è dubbio che tutto quello che ho imparato sull’umanità e la disumanità sia confluito nei miei libri. Ciascuno di noi è il risultato di ciò che ha fatto, delle esperienze vissute. Penelope ha lasciato la magistratura per un evento tragico, cosa che a me non è capitata, ma la nostalgia di Penelope è anche la mia”. E noi ricorderemo con nostalgia Penelope, una protagonista che forse, come ha affermato lo stesso Carofiglio nell’intervista, non apparirà più in altri prossimi romanzi (speriamo che l’autore ci ripensi).