Per cosa si uccide Per cosa si uccide

Per cosa si uccide

Letteratura italiana

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«Tutto cominciò con quel cane sgozzato.» Si apre in una torrida estate un lungo anno di omicidi per la polizia di Quarto Oggiaro, quartiere simbolo della periferia milanese. Protagonista, suo malgrado, delle indagini, è l’ispettore Ferraro, uomo senza qualità particolari, se non, forse, il suo innocuo umorismo, che lo salva spesso da un’esistenza alquanto deprimente. Perché di certo la sua vita personale non è un granché: divorziato, vive solo, in una casa caotica, mangiando a cena pattume surgelato. Per non parlare poi del disordine affettivo... Attorno a lui ruota il popolo di una città.



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Per cosa si uccide 2024-09-03 14:16:46 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    03 Settembre, 2024
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Indagini mediocri per un ispettore mediocre


L’ispettore Ferraro (il nome di battesimo non lo confessa neppure sotto tortura, già ritiene troppo loffio il cognome) è un poliziotto milanese, nato a Quarto Oggiaro e, salva una breve assegnazione in montagna, vissuto sempre nel suo quartiere, dove indaga, senza mai troppa enfasi nel lavoro, su ogni tipo di crimine, dai feroci omicidi ai… furti di mele del suo ortolano preferito. Fa il poliziotto perché crede che questa sia stata l’unica opzione che gli ha offerto la vita, ma se pure svolge le indagini senza entusiasmo (a volte preferirebbe vomitare piuttosto che recarsi in ufficio), lo fa anche senza alcuna infamia o colpevole negligenza, cercando di sbrogliare la matassa che, di volta in volta, gli è capita tra le mani.
In questo volume, che è il romanzo d’esordio della lunga serie a lui dedicata, lo troviamo impegnato in quattro casi, uno per stagione. Indagini che lo impegneranno sugli omicidi di un marocchino, spacciatore di droga, sgozzato brutalmente com’era capitato, settimane prima, al suo cane; di un facoltoso e discusso immobiliarista, investito (intenzionalmente?) in una delle zone più malfamate di Milano, dove non si capisce cosa stesse facendo; di Armandino, un povero vecchio, suo vicino di casa, che non aveva mai fatto male a una mosca; e di una donna, nota venditrice di sigarette di contrabbando, pestata a morte lo stesso giorno in cui la palestra di suo figlio era stata data alle fiamme.
Ferraro, con il contribuito, spesso determinate, dei suoi colleghi, riuscirà a incastrare i colpevoli, ma la sua insoddisfazione lieviterà sino a fargli valutare un’alternativa al lavoro in polizia, alternativa che non si sa a cosa lo porterà.

Questi gialli di Biondillo sono del tutto anomali nel panorama italiano del genere: racconti sottotono di una criminalità di periferia dove gli ambienti spesso desolanti, in cui si muovono i personaggi, fanno da contraltare alle loro personalità, non di rado banali, quando non sordide.
In particolare il protagonista è un uomo mediocre, deluso dalla vita che gli ha portato via il padre quant’era ancora troppo giovane, gli ha tarpato le ali verso diversi sbocchi di carriera e che – adesso che è pure divorziato – si illumina solo nei troppo brevi fine settimana con la figlia Giulia.
Sostanzialmente è privo dei talenti investigativi tipici nei detective della letteratura. Però è tenace e puntiglioso. Non di rado piglia delle cantonate che potrebbero portare a clamorosi errori giudiziari, ma, alla fine, lui e la sua squadra, fanno girare correttamente l’arrugginita macchina della giustizia per giungere alla soluzione sperata.
È circondato da colleghi che sono personaggi da gag comica. Ad esempio l’ispettore capo Lanza, suo diretto superiore, non comprende neppure le ironie, le iperboli, le metafore più blande e, così, se qualcuno osserva che hanno dovuto raccogliere un cadavere con cucchiaino, pensa davvero che sia stato usato quello strumento per il mesto servizio. Tuttavia è assolutamente preciso e circostanziato: “se diceva che era A allora era A. Altrimenti stava zitto”. Insomma ha una mente analitica e priva di alcuna immaginazione, ma, proprio per ciò, è decisivo nel risolvere alcune indagini. Al contrario il sovrintendente Comaschi fa a gara con Ferraro per trovare le battute più corrive e fiacche che non fanno ridere neppure lui, o per punzecchiarlo con frecciatine continue. Spesso è più d’intoppo che d’aiuto, ma anche lui fornisce un contributo non ignorabile. I capi non sono da meno in questi racconti polizieschi, dove la satira scivola volentieri verso lo scherno sarcastico, la critica sociale si confonde con l’osservazione politicamente molto scorretta, la trovata fantasiosa si trasforma in situazione surreale. Insomma, i confini tra il poliziesco investigativo classico e la caricatura sguaiata sono abbastanza labili.
Anche lo stile narrativo si adatta alle situazioni e ai personaggi: il linguaggio e le costruzioni lessicali usati sono spesso disadorni e popolari, non privi di qualche rozzezza espressiva. Le trame – se da un lato ci appaiono più reali di quanto non lo siano certe invenzioni più blasonate, proprio perché la realtà è, il più delle volte, banale – dall’altro peccano di una eccessiva semplicità.
La ricerca costante dell’ironia e della situazione comica con esiti, non di rado, paradossali, richiama alla mente le avventure del bizzarro commissario Sanantonio, protagonista di centinaia di romanzi tra il poliziesco, lo spionistico e la pura farsa strampalata, frutto della fantasia dello scrittore francese Frédéric Dard. Ma Ferraro si muove più terra-terra del suo omologo d’oltralpe: non è un Superman dell’investigazione scientifica; è solo un pover’uomo che cerca di fare il lavoro, per il quale viene pagato, nel modo meno infame che gli riesce.
Da segnalare in questi racconti, la minuziosa descrizione di Milano da parte dell’A. da cui traspare un amore intenso, ma forse mal corrisposto, per la città che ci viene descritta anche nelle sue caratteristiche meno accattivanti e seducenti, tuttavia sempre con un malcelato rimpianto su quello che potrebbe, invece, donare ai suoi abitanti.

Complessivamente, il libro è gradevole e, non di rado, spassoso: riesce pure a strappare qualche risata sincera e ad intrigare con l’intreccio poliziesco, ma, sinceramente, non è tra quelli destinati a rimanere nella memoria.

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Per cosa si uccide 2013-07-15 19:33:20 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    15 Luglio, 2013
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Omicidi per tutte le stagioni

L’ispettore Ferraro è una sagoma: irrituale nei rapporti con i colleghi, grezzo e sanguigno nei confronti di sospettati e inquisiti, ruvido e istintivo nelle relazioni umane. A momenti sembra un selvaggio.
Lo scenario ove opera è Milano, città dai contrasti accentuati tra l’anonima periferia (“Il cortile sembrava un pozzo bitumato. Tutt’attorno, scoscese, le pareti dei palazzi buttavano ombre nerissime. Duecento famiglie vivevano in quel supercondominio”) e il centro pieno di segreti, sorprese e rivelazioni inaspettate (“Se … come un insetto riusciste a penetrare in una di quelle blindatissime case … avreste una fastidiosissima sensazione di vertigine. Logge più rigogliose della serra di Vienna, saloni immensi affrescati tipo il Tiepolo o giù di lì, camere da letto degne dello zar di tutte le Russie …”).

Con questo protagonista, in questa ambientazione, scorrono quattro storie di sangue, una per ogni stagione. Ciascuna introdotta da un aforisma sulla morte.
ESTATE: “La morte dà, così, fulminei anticipi di sé” (Attilio Bertolucci).
AUTUNNO: “La morte non finisce mai” (Giorgio Caproni).
INVERNO: “Per tutti la morte ha uno sguardo” (Cesare Pavese).
PRIMAVERA: “Ed è il pensiero della morte che, infine, aiuta a vivere” (Umberto Saba).

Nell’episodio “Autunno”, Ferraro indaga su un incidente stradale che ha tutta l’aria di essere un’esecuzione e riguarda “Francesco Donnaciva … un pezzo grosso, uno dei personaggi più influenti di Milano. Uno di quelli che fanno tremare giunte regionali e governi nazionali”. Facile pensare a una vendetta, come ipotizza il figlio Mario: “Mio padre era un uomo di potere. Chi esercita il potere ha solo nemici”. “Era un pessimo padre. Se non fosse che ho un alibi di ferro potreste sospettare pure di me”. E se non fosse che … anche Mario viene ucciso.
Il racconto fornisce uno spaccato della Milano potente, la Milano da bere e che beve (e che sniffa). Così come il primo racconto, ESTATE, è uno squarcio sugli squallori suburbani della Quarto Oggiaro multietnica.

E allora, parafrasando il titolo, per cosa si uccide?
L’autore la fornisce, la risposta. Eccome se la fornisce.
“Si uccide per i soldi e per il sesso, in buona sostanza si uccide per il potere”.
Anzi no. Biondillo ci ripensa. E noi insieme a lui.
“Si uccide perché qualcuno non ti ha permesso di godere del più puro di ogni amore. Anche per questo si uccide. Si uccide per odio, e anche per amore”.
Ma non è un modo come un altro per sostenere che ci sono mille ragioni per uccidere?

Bruno Elpis

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Consigliato a chi ha letto...
... gialli canonici. Questo non lo è.
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Per cosa si uccide 2013-04-04 11:42:41 ChiaraLotus
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ChiaraLotus Opinione inserita da ChiaraLotus    04 Aprile, 2013
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Noir metropolitano

Il primo romanzo della serie dedicata all'ispettor Ferraro aiuta il lettore a fare le dovute presentazioni sia con il protagonista sia con la città di Milano e tutti i suoi abitanti.

Per fornire una panoramica completa e spaziare attraverso ambienti svariati, Biondillo sceglie la formula ad episodi. Quattro racconti - ciascuno di essi corrispondente ad una delle stagioni - a cui fanno capo quattro misteri in diversi luoghi della città e dei suoi dintorni.

In estate si assiste all'omicidio di un cane nei casermoni popolari di Quarto Oggiaro, mentre la città deserta boccheggia sotto l'afa. In autunno si cerca di scoprire chi ha ucciso un celebre imprenditore, si entra nella sua lussuosa villa del centro e si studiano con sospetto i volti dei ricchi, sempre controllati dal prode maggiordomo Ambrogio (proprio quello dei cioccolatini!). In autunno ci si deve occupare di una serie di rapine nei supermercati dell'hinterland, e Ferraro inizia a fare il pendolare sui trenini "a manovella" delle Ferrovie Nord. Infine, in primavera,mentre i pollini risvegliano le mai sopite allergie, si scopre il non prorio magnifico mondo delle palestre e dei fitness-club.

Quattro realtà, dunque. Quattro diverse tipologie di persone e di stili di vita. Ma anche quattro differenti risposte al medesimo interrogativo: per cosa si uccide?

Si può uccidere per rabbia, per vendetta, per soldi, per un amore negato, per un'infanzia rubata. Ma può il movente cancellare l'entità del gesto?

Mi piace il punto di partenza che Biondillo decide di adottare (sebbene il medesimo verrà parzialmente abbandonato in "Con la morte nel cuore") tale per cui ciascun individuo possiede in sè una purezza innata, corrotta dai dolori e dalle esperienze della vita. L'autore si mostra a tutti gli effetti come un umanista: conosce la gente, la osserva e la studia. E nonostante tutte le brutture, non può fare a meno di amarla.

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