Narrativa italiana Gialli, Thriller, Horror Noi che gridammo al vento
 

Noi che gridammo al vento Noi che gridammo al vento

Noi che gridammo al vento

Letteratura italiana

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Aprile 1980. Stella lascia Basilea, dove lavora all'Università, e parte all'improvviso per Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo. Appena arrivata, fa amicizia con Eva, Ditria e Vito. Ma forse non è la prima volta che li incontra. Forse doveva tornare in quella terra per scoprire l'origine degli incubi che la tormentano. Anche George, 'u miricanu, arriva a Palermo dagli Stati Uniti. Ha una missione: parlare con chi comanda - in Sicilia e non solo - di alcuni misteriosi documenti che potrebbero far vacillare la stabilità della Repubblica. Poi c'è Francesca, Ceschina per gli amici. Si aggira per i feudi attorno a Piana con una mitraglietta nello zaino, e se il primo maggio sale sempre a Portella non è per partecipare alle celebrazioni. Loriano Macchiavelli scava ancora una volta in uno dei nodi oscuri e irrisolti della nostra storia, rievocando la madre di tutte le stragi italiane.



Recensione della Redazione QLibri

 
Noi che gridammo al vento 2016-03-31 19:03:19 Vincenzo1972
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4.3
Stile 
 
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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    31 Marzo, 2016
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Chisti su mali iurnati, ascuta a mia...

Portella della Ginestra è una località in provincia di Palermo; poche anime ancora la popolano, suddivise nei paesi di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello. Gente povera, in gran parte contadini, gente che ama la propria terra e la lavora, dieci, dodici ore al giorno, dall'alba al tramonto, perché la terra offre loro il minimo indispensabile per vivere e crescere una famiglia, dignitosamente.
"Non ho memoria di aver vissuto bene. Né l'aveva mio padre e, prima, suo padre e il padre di suo padre. Per mangiare abbiamo rubato erba a pecore non nostre; per bere, raccolto, pagato e trasportato acqua da sorgenti che, chissà per quale volontà o potere, non ci appartenevano. Sempre abbiamo vissuto con dignità, anche se il poco pane l'abbiamo strappato ai sassi e dovevamo condividerlo coi padroni dei sassi."
Il libro di Loriano Macchiavelli è anzitutto un encomio a questa gente che è la parte sana e nobile della Sicilia ma è anche il racconto di un tremendo atto di violenza perpetrato nei loro confronti, un vero e proprio eccidio, che fu consumato in questa zona il Primo maggio del 1947: una carneficina talmente efferata ed implacabile da essere considerata la prima tragica strage della Repubblica, inaugurando la cosiddetta strategia della tensione degli 'anni di piombo'.
Su questo episodio tante sono state le ipotesi, i depistaggi, le testimonianze ma i veri responsabili, i veri mandanti che ordinarono il massacro al bandito Salvatore Giuliano restano tuttora impuniti e la strage di Portella della Ginestra rimane ancora un segreto di Stato.
L'opera di Macchiavelli non vuole indicare un colpevole o incriminare qualcuno, sia esso lo Stato o la mafia, o entrambi visto che un accordo segreto, un compromesso tra mafia e Stato che avrebbe salvaguardato gli interessi di ambo le parti è del tutto plausibile in quel periodo storico.
Questo romanzo vuole solo smuovere la memoria affinché il ricordo di quel giorno non si perda nel tempo, non si dissolva al vento.
Perché le undici persone falcidiate dal mitra di Salvatore Giuliano e dei suoi compari erano tutti innocenti, uomini, donne e bambini che si erano riuniti con tanti altri paesani nella vallata circoscritta dai monti Kumeta e Maja per un giorno di festa, l'unico in cui era consentito loro sollevare la schiena dai campi per onorare quello stesso lavoro con cui dignitosamente vivevano; ed era un giorno di festa non solo per i lavoratori ma anche per le loro famiglie, che a quel lavoro e a quella terra dovevano tutto.
Per loro, soprattutto per loro, non bisogna dimenticare; perché sono ancora lì che gridano, che urlano il loro dolore per essere stati strappati alla vita in un modo così ingiusto, così vigliacco, colpiti alle spalle da assassini nascosti tra i massi di Portella.
Quegli stessi massi su cui tutto il sangue versato non dovrà mai essere cancellato:
"Hanno fiori rossi le nostre ginestre e rossa è la ferita che le raffiche della mitraglia hanno scavato nella terra di Portella. Vedi lassù quelle rocce? Di là è partito il piombo rovente che si è conficcato nella carne dei nostri bambini."
Sono pagine molto toccanti quelle in cui l'anziano Omero rievoca al suo interlocutore gli eventi di quel drammatico Primo maggio; straziante il ricordo della gioia e dell'entusiasmo nei cuori dei ragazzi mentre salivano il monte, trepidanti per quel giorno di festa tanto atteso, e subito oscurato dal ricordo della pioggia di proiettili, del rumore assordante delle raffiche di fuoco che per quindici lunghissimi minuti portarono morte e sangue ovunque.
Altrettanto efficaci e degne di menzione sono le descrizioni del paesaggio siciliano, veri e propri affreschi dipinti tra le pagine del libro:
"Cattedrali di roccia dai pinnacoli aguzzi e figure, pure di roccia, che vento e pioggia e sole hanno modellato con lo scalpello del tempo. Qua e là, e improvviso, il mare chiuso da gole e montagne e infinito. Nuvole immobili impigliate nelle cime di monti aridi, e fra le nuvole brandelli di cielo."
Ad onor del vero, il libro intreccia gli eventi purtroppo reali di Portella della Ginestra con una storia dai connotati tipicamente polizieschi, un intrigo che vede coinvolti personaggi immaginari della mafia e della politica italiana.
Ma per quanto Loriano Macchiavelli sia un autore di spicco del 'giallo' italiano, e quest'opera non ne sminuisce certo la sua reputazione rispetto ai romanzi precedenti, ciò che rimane impresso nel lettore è altro.
E' la Sicilia, e la gente di Portella, i morti di Portella, il cui pianto dolente ancora risuona tra quei sassi in cerca di giustizia, solo giustizia:
'A 'ddu jornu, fu a Portedda,
cu ci va doppu tant'anni,
vidi morti 'n carni e ossa,
testa, facci, corpa e jammi,
vivi ancora, ancora vivi
e 'na vuci 'n celu e 'n terra:
O justizia, quannu arrivi?
O giustizia, quannu arrivi?

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