Nel più bel sogno Nel più bel sogno

Nel più bel sogno

Letteratura italiana

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E' la fine di aprile del 1968. Firenze, come il resto dell'Italia, è scossa dalle manifestazioni studentesche. I figli sono contro i padri, senza mediazioni né compromessi, ed è difficile capire dove stiano ragioni e torti, dove sia il male. Università occupate, scontri con le forze dell'ordine, battaglie tra studenti di destra e di sinistra, slogan impregnati di ideali: un vortice di sogni cozza contro una società ormai sorpassata che aveva creduto di durare in eterno. Nonostante un certo disorientamento per il mondo che sta cambiando, Bordelli vive una sua primavera interiore. Il peso del passato sembra finalmente attenuarsi, e lui sente di poter affrontare le cose con più leggerezza. Anche la sua vita amorosa sta forse andando incontro a un mutamento inatteso... Ma una giornata drammatica, una giornata di morte, costringe il commissario a confrontarsi con non pochi misteri. E quando tutto pare avviarsi verso la soluzione, in un paese vicino a Firenze un altro omicidio terribile getta il commissario nello sconforto. Non sa davvero se questa volta riuscirà a scoprire lo spietato assassino, che forse si cela dietro un macabro messaggio.



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Nel più bel sogno 2020-04-07 13:02:30 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    07 Aprile, 2020
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Canzone

Franco Bordelli è un commissario di Pubblica Sicurezza, così come si chiamavano una volta, nei bei tempi andati i funzionari della Polizia di Stato.
In questo “Nel più bel sogno” lo ritroviamo in servizio presso la Questura di Firenze sul finire degli anni 60, il 1968 per intenderci, l’anno passato alla storia come quello della contestazione giovanile; è il protagonista seriale di molti dei romanzi dello scrittore fiorentino Marco Vichi.
Come per tutti i personaggi seriali, che per essere pubblicati in vari volumi sequenziali devono necessariamente aver conseguito un buon successo di pubblico, conta su un folto gruppo di lettori affezionato e fidelizzato.
S’intende quindi che per apprezzarlo al meglio andrebbero letti i volumi precedenti, in ordine cronologico di pubblicazione, giusto per farsene una prima impressione e prendere gradualmente confidenza con luoghi, caratteri e comprimari.
In questo caso, non lo ritengo però necessario, a mio modesto parere, perché Marco Vichi, sebbene il commissario Bordelli diriga la squadra omicidi, e quindi è necessariamente coinvolto a indagare su gravi delitti, non scrive gialli in senso stretto, credo sarebbe oltremodo limitativo etichettare Marco Vichi come un autore di mystery.
Tutt’altro: se argomento predominante nella scrittura di Vichi c’è, ed è la costante in questi libri, non è l’indagine poliziesca in sé, ma la fiorentinità dell’intera storia.
Attraverso le avventure di Bordelli, Marco Vichi ci parla di Firenze, direi che faccia addirittura di più, declama l’amore per la sua città.
Ne decanta i luoghi, le vie, i quartieri, specialmente quello storico, antico e caratteristico di San Frediano, lo stesso delle “Ragazze” di Vasco Pratolini, i monumenti, anche quelli meno conosciuti e fuori dai consueti giri turistici, le botteghe e i luoghi insoliti e curiosi, magari noti solo ai nativi.
Ne ricorda gli eventi storici, quali la disastrosa alluvione, anzi l’Alluvione, con la maiuscola, del 1966, che vide convergere sulla città giovani dai posti più disparati a salvare e porre in riparo strappandole alla furie del grande fiume straripato le ricchissime, uniche e inestimabili opere d’arte della città del Giglio, guadagnandosi così, questa meglio gioventù dell’epoca, direttamente sul campo, anzi sull’acqua, il titolo grandemente onorifico di Angeli del Fango.
Descrive i fermenti successivi di quel tempo, gli scontri nel 1968 tra studenti di vario censo sociale e politico e la polizia, la Celere, le squadre antisommossa dell’epoca.
Bordelli, poliziotto tutto di un pezzo o quasi, ligio più alla Giustizia che alla Legge, pur dovendo doverosamente parteggiare per i ragazzi altrettanto giovani ma in divisa, malgrado sia già avanti con gli anni non per questo risulta preconcetto nei suoi giudizi sugli scontri o scevro di genuina curiosità nell’approfondire i motivi del contendere, con fiorentino buon senso.
Ammira con discrezione ma con sincerità la contestazione dapprima goliardica e poi progressivamente virulenta di questi giovani, magari gli stessi che pochi mesi prima s’inzaccheravano a salvare i tesori dell’Umanità intera e non della sola Firenze.
Ne apprezza l’entusiasmo, gli ardori, la voglia di cambiare e migliorare, se possibile, una società troppo a lungo fossilizzatasi in canoni e limiti non più accettabili.
È attratto giovanilmente dalle nuove richieste e aspirazioni di giovani nella cui vitalità e voglia di fare e di cambiare si riconosce; è stato a suo tempo anche lui se vogliamo un contestatore, arruolandosi in guerra nel glorioso Battaglione san Marco e combattendo contro i tedeschi proprio nelle sue amate colline nei dintorni della città.
Ama la convivialità schietta e tutta fiorentina, e perciò Vichi lo descrive spesso ai tavoli del suo ristoratore preferito, Totò, che gli sciorina ogni volta i pezzi forti, buonissimi ma letteralmente laboriosi da digerire, della gastronomia fiorentina.
Non solo, ma spesso e volentieri raduna nella cascina, dove vive, gli amici storici, quelli incontrati durante e protagonisti di una vita di indagini, avventure, scorci insoliti e frammenti intensi di vita vissuta.
Una strana e variegata umanità, variamente assortita, sì, questo gruppo di amici di Bordelli, ma un tutt’uno nobile, magnifico, aristocratico, coeso con l’ arguta fiorentinità che pervade l’intero romanzo. Un’umanità usa a raccontare storie dopo la cena, Bordelli stesso è un appassionato cultore della lettura, colti e profondi sono alcuni dei suoi amici, non a caso siamo a casa del padre nobile della nostra letteratura. Marco Vichi trova così tempo e modo di elogiare titoli e autori a lui cari. Ecco allora i suoi amici con cui condivide l’esistenza, il medico legale Diotivede, il questurino Piras, il vecchio Dante, la prostituta Rosa, il delinquente Bottarini detto Botta, chef ufficiale delle serate culinarie a casa Bordelli, avendo acquisito pratica di alta cucina come addetto al vitto nelle patrie galere, finanche un nobile decaduto, e poi, ma non è una novità nei romanzi di Vichi, una vera ospitata per il misterioso Colonnello Bruno Arcieri, ex carabiniere ed ex agente segreto. Diciamo “ospitata” non a caso, perché per chi non lo sapesse, Bruno Arcieri è il protagonista seriale dei romanzi dello scrittore fiorentino Leonardo Gori, amicissimo di Vichi.
Come dire, una prova evidente del valore che Marco Vichi, da buon fiorentino, attribuisce all’amicizia e alla solidarietà umana, rinsaldata nell’unico modo consono al luogo, davanti a un bicchiere di buon Chianti.
E di converso, Bordelli indaga anche su una serie diversissima di omicidi, una catena di sangue, assassinii slegati tra di loro per movente, ambientazione, presunti colpevoli coinvolti nelle indagini; non si tratta di gialli, perché la soluzione è quasi banale, ma appunto per questo sono cronache reali, verosimili, direi comuni. Quelli che accadono normalmente in qualsiasi città.
A riprova che la professione di Bordelli è un di più: il commissario è il pretesto di Vichi per parlare di altro, anche di emozioni, anche di primavera, e naturalmente anche di amore.
Perciò è una buona lettura, consigliata, che si apprezza piacevolmente: Marco Vichi scrive bene, offre compagnia, fa trascorrere ore liete al lettore, quasi come cullandolo in un bel sogno, come recita una vecchia canzone di Don Backy, che si intitola…”Canzone”. Uno sberleffo da bischero!
Come dire, fai bei sogni, all’ombra della Signoria.

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Marco Vichi, in particolare i suoi romanzi con il personaggio del commissario Franco Bordelli.
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Nel più bel sogno 2020-01-13 22:16:07 Pelizzari
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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    14 Gennaio, 2020
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Non c'è due senza tre

Triplice indagine del commissario Bordelli, personaggio davvero piacevole, con una naturale tendenza alla solitudine. Una bella storia multipla ambientata in una Firenze degli anni ’60, non così lontana dalla realtà politica e sociale odierna. La città è reduce da una forte alluvione, e questo ricorda tanto i disastri idrogeologici ancora così attuali; le piazze sono invase dai giovani, e il pensiero non può che andare alle freschissime sardine. L’insieme è un bellissimo racconto, dove le indagini passano anche un po’ in secondo piano, perché prevalgono l’italianità, in ogni sua forma, le serate di chiacchiere intelligenti con gli amici, che alleggeriscono l’animo. Il tutto nel fremito della primavera, che alleggerisce l’umore, con una feroce ironia irriguardosa verso la città, con grammofoni e cablogrammi come strumenti di comunicazione che riportano quasi quasi ad un’era da Flingstones. E se è sempre vero che leggere porta in un altro mondo, e ci accompagna a vivere un’altra vita, in questa lettura per me è stato proprio così: l’ho affrontata lentamente, mi sono lasciata prendere dall’atmosfera, dall’ambientazione, sono stata trasportata in una città che non conosco bene, ma che adoro, in anni in cui non c’ero ma che tante volte ho immaginato. E se è spesso vero che il genio è l’assoluto disagio esistenziale che si trasforma in bellezza, questo commissario Bordelli, così solitario e un po’ sognatore, mi ha un po’ conquistato. Peccato solo per il finale…un po’ perché la quarta imprevista indagine rimane sospesa a mezz’aria, un po’ perché viene dato spazio a storie che hanno sviato troppo l’attenzione di un lettore che voleva comunque trovare una chiusura. La copertina è un piacevole schizzo, con colori tendenti al violetto, tratti neri che ritagliano profili architettonici fiorentini.

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