Nel nome dello zio
Letteratura italiana
Editore
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44 Magnum con vizzietto
Alberto ‘o Malamente, Germano Spic e Span, Sandruccio la Zitella, Pasquale Bruciulì, e Biagio ‘o Femminiello.
Letti così sembrerebbero i bizzarri personaggi di qualche scanzonata storia, invece è vero tutto il contrario. Sono i “cinque mostri”, i fedelissimi di un potente boss dei Quartieri Spagnoli a Napoli lo Zio, il quale, dopo un’inaspettata soffiata, è costretto ad una frettolosa fuga. E latitanza fu. E ora dove sarà mai? Nessuno lo sa, la polizia e l’ispettore che segue il caso, soprannominato beffardamente Woody Alien, brancolano nel buio e nemmeno i mostri sanno dov’è. Come fare allora per rivelare allo Zio il nome del traditore? E qui arriva il “colpo di genio”. Tramite la spasmodica mania dello Zio. Il Grande Fratello del quale, cascasse il mondo, non se ne perde neanche una puntata. E così entra in scena l’unico personaggio davvero buffo del racconto, il pusher Anthony, magrissimo, abbronzatissimo, alla moda e frizzantino il quale, dopo un addestramento condotto con maniere non proprio ortodosse, diventa un gieffino, unico scopo comunicare con lo Zio e salvarlo. Il dado è tratto ma, come spesso accade, rotola dove vuole.
Non lasciatevi ingannare dalla trama però, questo non è solo un romanzo che offre divertenti episodi su cui ridere.
Piedimonte trova un modo del tutto alternativo ed originale per denunciare una realtà che a Napoli è tristemente nota, la camorra, e lo fa “giocando” sui vizi e le manie che anche i più pericolosi camorristi hanno, in quanto comuni persone, e che li possono rendere vulnerabili e ridicoli. A poco serve girare con una 44 magnum e picchiare i pugni sul tavolo se poi ti fai fregare da un vizzietto, sei un “ominicchio” qualunque. Il romanzo si legge velocemente, grazie alla brevità dei capitoli ed alla vivacità linguistica con cui viene narrata la storia. La penna di Piedimonte è divertente e creativa, scivola veloce come un’aranciata fresca, ma che lascia un retrogusto amaro in bocca. La spensieratezza è solo una componente superficiale, Piedimonte fa divertire il lettore ma non tralascia la crudità di fondo della malavita napoletana. I personaggi vengono ridicolizzati ma non vengono resi simpatici e bonari. I cinque mostri, ad esempio, non sono personaggi ben delineati, come nella realtà tutti non vedono non sentono e non parlano ma sanno perfettamente chi sono, anche qui l’autore lascia aleggiare la loro presenza, la loro pericolosità. Il lettore non li conosce eppure sente la loro continua presenza come un’incombenza nefasta.
Sorprendente il finale che nel giro di una decina di pagine mi ha fatto provare sensazioni differenti, dalla perplessità, allo stupore, all’atto finale che mi ha fatto esclamare “Bravo Stefano”.
Da leggere perché passerete delle ore piacevoli, da leggere perché offre spunti di riflessione, da leggere per l’originalità con cui viene denunciata un’ineluttabile realtà, da leggere perche l’autore, da buon napoletano, ha trovato un modo alternativo per dire “io non ci sto”.
Buona lettura