Mal'aria
Letteratura italiana
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La mal'aria uccide molto di più della malaria!
...Dove si vive con difficoltà, si muore con molta facilità.
...Ed è necessario che qualcuno muoia, affinché gli altri vivano.
...Perché la "mal'aria" uccide molto di più della malaria.
Ho appena girato l'ultima pagina del romanzo e non so davvero quali parole usare per dire quanto questo libro mi abbia fatto male e lasciato addosso una rabbia e un furore senza fine.
Una storia crudele, nera, piena di malvagità...
Ma il finale, il finale è ciò che veramente ti uccide dentro.
Siamo in Italia, nel 1925, e Carlo Rambelli, ispettore del Ministero della Sanità di Roma, riceve l'incarico di indagare su una sospetta ed eccessiva mortalità infantile nella provincia di Ravenna...perché "LUI in persona" vuole vederci chiaro.
Qui ci imbattiamo in risaie, zone paludose, nebbia, zanzare, febbre, malaria, fattucchiere, bambini che parlano con i morti...interi paesini abitati da uomini, donne e bambini costretti a vivere e lavorare in condizioni indecenti (anche per l'epoca).
Ma soprattutto ci imbattiamo nelle superstizioni che si tramandano di generezione in generazione, nell'ignoranza, nella paura della povera gente che non ha i mezzi per combattere i soprusi di chi esercita il potere.
Per chi ci credeva c'era la "borda", entità, presenza malvagia della palude che si cibava di anime innocenti ed era pronta a contagiare tutto e tutti con il suo alito infetto...per chi non ci credeva, invece, c'era solo l'arroganza, la cattiveria e la crudeltà di pochi uomini con l'anima sporca, sudicia, nera...come il colore della camicia che portavano addosso con tanta fierezza.
Non sono una sostenitrice dell' "happy ending" per carità, ma questo romanzo noir, gotico rurale, ti toglie davvero ogni speranza.
Non conoscevo Eraldo Baldini...
Adesso so quanto sia capace di farmi soffrire e continuerò a leggerlo (eccome se lo farò), ma con la consapevolezza di ricevere pugni nello stomaco di una certa portata.
Stavolta ero indifesa...
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Non solo malaria
Intorno agli anni Venti del secolo scorso, nelle terre comprese tra il ravennate ed il ferrarese si moriva di malaria e di febbri terzane, si viveva infradiciandosi le ossa nelle risaie e raccogliendo negli stagni canne, giunchi e canapa.
Si viveva in umili bicocche o in capanne, ci si accoccolava su un pagliericcio fradicio di umidità, si divideva un pugno di polenta tra tante bocche.
Una natura ostile, un paesaggio che in inverno si avvolge nelle nebbie e nei vapori dei canali, un'aria densa che ti entra nella viscere.
Un paesaggio animato da spiriti, una terra con cui gli abitanti hanno imparato a convivere, percependone i battiti.
Eraldo Baldini tratteggia in poche pagine un quadro splendido, rappresentando un territorio difficile ed una schiera di uomini e donne incatenati alle radici di un mondo scandito dai suoi ritmi, dalle sue tradizioni, dalle sue usanze e credenze.
Sono povere anime quelle fotografate dall'autore, persone veraci intrappolate in una vita di estrema durezza, flagellati nel corpo e oppressi dai soprusi dei potenti, siano essi proprietari terrieri o squadristi che possiedono poteri di vita e di morte nell'epoca di cui si narra.
Un lavoro magistrale per l'accuratezza della ricostruzione grazie alla quale quel disagio e quella sofferenza bloccano il respiro anche al lettore; un panorama grigio e fumoso, dove sembrano materializzarsi gli spiriti maligni dipinti dalla tradizione popolare, pronti a chiamare a sé chiunque calpesti quelle terre melmose.
Eppoi, come se non bastasse, alla natura infausta si associa la crudeltà umana, l'egoismo ed il cinismo.
Una lettura forte, di ottimo spessore per ricordare luoghi e tempi passati.
Una scrittura nitida a cui non servono artifizi letterari per far esplodere tutto il suo contenuto.
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Non entrate in quella palude
Tra Ravenna e Ferrara, a sud del Delta del Po, c'è un luogo in cui la mortalità infantile è elevatissima. E' il 1925, ad indagare viene inviato Carlo Rambelli, un ispettore della sanità originario di quei luoghi in cui la vita è ancora scandita dai ritmi inalterati di una natura dal fascino ambiguo, complice di oscuri segreti che la gente del posto è determinata a tenere celati.
L'orrore è seppellito dalla fitta nebbia, oppure nell'acqua stagnante degli acquitrini dove le zanzare pullulano, confuso tra i versi di vecchie e paurose filastrocche che mettono in guardia riguardo la "Borda", un essere del quale è saggio aver timore.
L'ambientazione è incisiva in un romanzo che non lascia tregua, in cui la leggenda tenebrosa, la storiella tramandata di generazione in generazione, si mescolano con un presente sempre più coercitivo, in cui il potere del regime comincia a far sentire il suo peso attraverso uomini indottrinati a dovere e cresciuti nella più becera ignoranza. I luoghi sono palesemente ostili, pervasi da un sentore malsano (la mal'aria del titolo, non solo quindi da intendersi come la nota malattia); la situazione è sin da subito minacciosa, quasi claustrofobica, mentre ostacoli di problematico abbattimento rendono faticosa la ricerca della verità. Il livello ansiogeno si innalza col procedere della lettura sino ad un epilogo indimenticabile, crudele e di una durezza ostica da digerire.
Semplici ma ben delineati i personaggi disposti come un puzzle macabro intorno al protagonista: su tutti spiccano l'avvenente contadina Elsa e il cane del padrone, ovvero la camicia nera Bellenghi, elementi distanti ma inequivocabili simboli di un microcosmo chiuso e retrogrado.
In poco più di 150 pagine Baldini crea una realtà atavica e spaventosa, commuove e avvince, spaventa con atmosfere soffocanti immerse in un paesaggio di intenzionale isolamento, naturale sepolcro di non detti che debbono restare tali.