Le venti giornate di Torino
Letteratura italiana
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un romanzo sui net-work infausto e previdente
Un romanzo inquietante, profetico e maledetto questo Le venti giornate di Torino di Giorgio De Maria. Pubblicato per la prima volta nel 1977, fu inizialmente ignorato. Ora viene pubblicato da Frassinelli, ma devo dire che la lettura non mi ha entusiasmato, né molto convinto. Giovanni Arduino nella postfazione scrive:
“Le Venti giornate di Torino è l’unico, autentico romanzo maledetto italiano. Non è una boutade a casaccio, ma a stabilirlo sono la trama, atmosfera, vita dell’autore, legami, connessioni, effetti sui lettori.”.
Siamo a Torino, in un caldo afoso mese di luglio. Una strana insonnia coglie gli abitanti della città, che come tanti zombie vagano, barcollanti ed indecisi, per le vie del centro città. Fino a che non ci scappa il morto. Uno degli insonni viene preso e sbattuto con il viso contro gli alberi di un famoso controviale della città. Il suo viso è irriconoscibile, la sua morte imprevedibile. Le statue e i monumenti prendono vita e si animano inquiete, alla Casa della Divina Provvidenza si costituiscono strane biblioteche, con assidui frequentatori che paiono avere tutti qualcosa da nascondere, più che da comunicare. E uno strano avvocato Segre, che parla e non parla, dice e non dice. Il protagonista vuole fare luce su questi “venti giorni” che hanno oscurato Torino, che sono state fonti di non poche leggende metropolitane. Ma tutto conduce all’ineludibilità di un destino che non ci è dato conoscere, contro cui è inutile combattere.
Un romanzo gotico, distotipo, oscuro, misterioso, arcano e irrazionale. Un romanzo raccapricciante, che svela con incredibile anticipo il lato oscuro dei social media con una chiaroveggenza che sa dell’incredibile. Unico aspetto che ho apprezzato, in verità.
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