Le streghe bruciano al rogo
Letteratura italiana
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Un inquisitore nel XXI secolo
La signora Eugenia Ortesi è una scrittrice di mezza età che ha raggiunto una certa notorietà con la recente pubblicazione di un suo romanzo. Rimasta da poco vedova – il marito, stimato medico, ha avuto un infarto mesi prima, appena dopo la separazione da lei – ha ricevuto per posta una cartolina inquietante: uno scorcio del suo paese d’origine, Ripalta Irpina, con una scritta minacciosa in stampatello “LE STREGHE BRUCIANO AL ROGO”. Non sapendo come interpretare quella frase oscura, ma non certo benevola, si rivolge alla polizia di Firenze, dove vive.
La commissaria Valeria Bardi, capo della Squadra mobile, non sminuisce l’intimidazione rappresentata da quelle poche parole. Infatti la sua memoria ricollega la frase a un truce fatto avvenuto pochi mesi prima: una donna è stata arsa viva dalle parti di Ferrara. Dopo una breve conversazione con il collega della questura locale che si occupò del caso, la Bardi scopre che anche questa donna avrebbe ricevuto una cartolina identica, con la medesima frase. Che ci sia in azione un serial killer di presunte “streghe”?
La sua squadra è occupata a risolvere un oscuro omicidio di un farmacista bolognese, trovato cadavere in una palazzina della periferia fiorentina, ma la Bardi delega ai sottoposti le indagini e si concentra su questo caso che la inquieta e le infonde un senso indefinito d’angoscia. Nel frattempo cerca di restaurare i rapporti conflittuali con la figlia studentessa a Bologna e, ormai, difficilmente contattabile; comprendere i suoi sentimenti nei confronti del suo vice, l’ispettore Manuele Belgrandi, da sempre innamorato di lei, e, insomma, di vivere la sua vita in modo sereno o, quantomeno, non tormentoso come al solito.
Le indagini la porteranno a investigare nei paesini irpini di cui sono originarie sia lei che la scrittrice minacciata la quale, insensibile agli avvertimenti della poliziotta, proprio a Ripalta Irpina ha deciso di andare a passare alcuni giorni di ferie. Il passato lentamente tornerà a galla, con tutti i suoi strascichi di odi e meschinità.
Il personaggio della commissaria Baldi “la più abile profiler italiana”, che s’è posta come missione quella di ramazzar via più sporcizia possibile dalle strade in cui opera, mi era risultato simpatico sin dal primo romanzo scritto dalla Grossi (“L’ordine imperfetto”) che ne tratteggiava garbatamente le caratteristiche di donna comune, ma tenacemente dedita alla sua professione.
In questa secondo episodio la scena si sposta dalle strade fiorentine su e giù per l’Italia, da Bologna a Ferrara, per scendere, poi, in Irpinia, negli immaginari paesini di Ripalta e Torre Vipera, terre che, oltre a essere quelle d’origine delle protagoniste, lo sono pure dell’A.
L’azione, però, è assai più diluita e confusa. Gran parte della narrazione è dedicata alla ricostruzione della storia familiare della Ortesi e di una ragazzina, Eva, che a Ripalta e dintorni era considerata una strega: ricercata quando si trattava di alleviare qualche malanno o, addirittura, salvare la vita a un moribondo, ma odiata per il resto del tempo. In sé queste digressioni non sarebbero neppure spiacevoli, perché raccontano vicende affascinanti, di donne forti che si ribellavano alla società maschilista che le avrebbe volute sottomesse e subordinate agli uomini. Tuttavia, alla lunga subentra un po’ di noia e stanchezza, unita al desiderio che la vicenda principale trovi una sua evoluzione.
Onestamente non comprendo neppure cosa ci stia a fare il secondo filone investigativo, quello del farmacista ucciso: anche nel precedente romanzo c’erano due storie parallele da seguire, ma, almeno, erano più integrate e amalgamate. Qui il doppio filone appare solo un pretesto per distrarre dal flusso principale della storia che già di suo si perde nei meandri delle varie testimonianze rese dalle poche memorie storiche dei vari paesini.
Piuttosto stereotipate le figure maschili, di individui bruti, violenti e ignoranti, capaci solo di ubriacarsi o di schiavizzare le mogli o le figlie (anche l’ex marito della Bardi e quello, defunto, della Ortesi non fanno eccezione) in una continua replica del solito cliché del marito-padrone. Al contrario, tutti (o quasi) i personaggi femminili sono descritti come coraggiosi, intraprendenti e autonomi, anche in epoche nelle quali era assai difficile trovare donne che potessero emanciparsi dal tutoraggio maritale. Insomma l’A., con la precisione d’un colpo d’ascia, opera una divisione manichea tra “le due metà del cielo”.
Per gran parte del libro lo stile è quello di una relazione (anche un po’ piatta) piuttosto che quello di una narrazione che coinvolga il lettore. Solo nei capitoli finali la storia si rianima e prende ritmo. Peccato che la conclusione lasci parecchi punti irrisolti o, per lo meno, risolti in modo un po’ troppo sbrigativo, con spiegazioni che non sempre soddisfano e che appaiono, in alcuni casi, tirate per i capelli quando non frutto di un eccessivo concatenarsi di casualità, a volte pure poco credibili.
Insomma, questo secondo libro sulle indagini della Commissaria Bardi appare al di sotto del precedente e sembra più un desiderio (quasi autobiografico) di narrare vicende care all’A. ma non necessariamente coinvolgenti.