La vendetta
Letteratura italiana
Editore
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QUANTO SPAZIO?
Quanto spazio occupa la vendetta nel pensiero di un uomo? Quanta parte della vita ti ruba questo pensiero? E il volume occupato da questo pensiero è pari allo spazio che si libera una volta che la vendetta è compiuta? Ha lo stesso peso? Io credo di no.
Vichi racconta una storia senza appellarsi ad alcun dubbio, dando alla vendetta un carattere giustiziere e pacificatore, caldo e confortante. Un ruolo giocato nella vita di un uomo che non ha più niente, senza stimoli né scintille. Quest’uomo è Rocco, la cui esistenza viene trascinata da una fortissima delusione sino all’estrema sponda della disperazione, della povertà e della solitudine. Si ciba di spazzatura, ruba quanto gli è indispensabile e ha smesso di pensare.
Questa apatia si spezza quando improvvisamente si ritrova davanti l’immagine dell’uomo a cui Rocco dà la colpa di tutto ciò che è accaduto e il pensiero della vendetta torna quindi prepotente nella sua vita.
Molto originale è il metodo scelto per portare a compimento questa sua volontà, un metodo che ovviamente non svelo e che se possibile aggiunge ancora più gelo e grigiore alla già infelice esistenza di Rocco.
Mi ha colpito il ragionamento a margine, portato nel racconto da colui di cui Rocco si vuole vendicare. Una tesi che porta al tentativo di dimostrare che il sentimento dell’Amore è contro la legge della natura, che essendo votata all’evoluzione risulta di conseguenza contraria all’accoppiamento irrazionale. Non concordo con tale tesi ma la ritengo frutto di una mente molto affilata.
Purtroppo il finale è debole e scialbo, senza aggancio e senza presa e questo ha inciso notevolmente sul mio giudizio complessivo.
Indicazioni utili
Marco Vichi: “La vendetta”
L’unico romanzo di Vichi letto in precedenza, ‘Morte a Firenze’, non mi aveva del tutto soddisfatto nella costruzione della storia tra giallo e noir, ma si era dimostrato interessante e coinvolgente per gran parte delle sue pagine. Tutto il contrario di questo libro che occupa a fatica duecento facciate, più che bastanti per indispettire anche il lettore meglio disposto. Il commissario Bordelli si prende un turno di riposo: protagonista – fino a un certo punto - è Rocco, un barbone che trascina l’esistenza sotto i ponti e ritrova una scintilla di vitalità imbattendosi per caso nell’uomo che gli ha rovinato la vita decenni prima con una cattiveria a cui non ha trovato la forza di reagire. La parte migliore del volume sta proprio nel racconto di una vita randagia, fatta di stenti, puzza e nessuna concreta prospettiva, con particolare efficacia nell’episodio delle scarpe rubate, ma, quando la storia principale si avvia, compaiono i problemi. Le situazioni iniziano prima a farsi improbabili, mentre la trappola si stringe attorno all’ex amico diventato biotecnlogo di fama internazionale, per poi scivolare lentamente nell’assurdità quando quest’ultimo viene additato come criminale nazista sotto mentite spoglie. In aggiunta, alcuni personaggi sembrano appiccicati al racconto solo per rimpolpare un po’ la trama: difficile da spiegare è, infatti, la presenza di un assassino seriale come l’altro barbone Steppa mentre Marianna, pur rappresentando forse un’altra vittima innocente in parallelo all’Anita da cui tutto è cominciato, è condannata a un’uscita di scena vagamente soft-porno assieme al maniaco suddetto (il tutto dopo una tirata contro il giornalismo scandalistico in parte condivisibile ma del tutto fuori luogo). L’ultimo quarto di libro, in cui Rocco esce di scena sostituito dalle angosce del professor Stonzi (ma che cognome è?), è fuori fuoco senza rimedio, con il cattivo che finisce per confessare a se stesso – durante un autodafé oppiacea – di essere un po’ nazista dentro, regolandosi di conseguenza. Va bene, il mondo è cattivo e solo comportandosi da figli di buona donna si riesce a cavarne qualche soddisfazione: l’argomento non è nuovo, ma altri scrittori l’hanno trattato con ben altro vigore e lucidità mentre Vichi se ne lascia trascinare come se non fosse del tutto convinto della storia che ha per le mani (o non ne fosse l’autore, come maligna qualcuno visto che anche la lingua non risulta all’altezza dei romanzi precedenti dello scrittore fiorentino).