La strategia del gambero
Letteratura italiana
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Guerra aperta tra Stato e clan mafiosi.
Piero Colaprico ha indubbiamente scritto un thriller come pochi altri sanno, un thriller che ti coinvolge emotivamente, caratterizzato da un vortice di personaggi volutamente non ben definiti, sempre al limite tra il lecito e l’illecito, con la consapevolezza ben radicata che il fine giustifica i mezzi, e che per il cosiddetto trionfo della giustizia non ci sono limiti invalicabili e neppure certezze assolute. Siamo, più o meno negli anni ’80, a Ranirate, una cittadina tra Milano e Varese (il nome è ovviamente di fantasia), dove spadroneggiano senza problemi due clan mafiosi legati alla ‘ndrangheta del Sud: quello comandato da “Kurt” Spanò (droga e racket), e quello capitanato da un vecchio boss, don Rocco (usura), arroccato in una villa principesca fortificata con annesso ristorante da 250 posti. Il protagonista, Corrado Genito, è un ex agente per la sicurezza dello Stato, in carcere per aver salvato con mezzi illeciti un ostaggio e fatto evadere da Orso, funzionario dei servizi segreti, con uno scopo ben preciso: indagare sui clan e possibilmente ridurli all’impotenza, anche se un ventilato matrimonio tra Kurt e Ada, nipote di don Rocco, sembra sancire una tregua cui potrebbero seguire nuovi loschi traffici. Il compito sembra immane, ma Genito si mette subito all’opera: riesce ad acquisire un bar del posto, lo trasforma in un ritrovo con annesso night sotterraneo, lo rifornisce di ballerine prelevate da un notissimo locale milanese ed assolda personale e buttafuori, aiutato da un amico, un vecchio lestofante che si dimostrerà amico fidato sino alla fine. Non mi dilungherò sull’evoluzione della vicenda: basti sapere che il sindaco del paese è colluso con la mafia e che numerosi sono gli scontri, soprattutto tra Genito e gli Spanò, con pestaggi a sangue ed ammazzamenti. Genito riesce anche a scardinare la cassaforte dei Corallo, introducendosi nella loro villa blindata, incolpando, con uno stratagemma, Kurt del furto, ed impossessandosi di un considerevole malloppo: non ha però fatto i conti con Orso, il suo protettore doppiogiochista, che lo inganna invitandolo ad un incontro addirittura con un potente senatore ed ex ministro, un personaggio viscido, amico di corrotti e corruttori. L’area di Ranirate deve essere sgombrata dalla malavita locale per far posto ad un grandioso malaffare edilizio. Il finale è da mozzafiato, ai limiti dell’inverosimile: Genito riesce a sfuggire ad un agguato, ottiene confessioni rivelatrici, tenta di riemergere da situazioni apparentemente irreversibili riuscendo alla fine a salvarsi e ad ottenere una sua personale vittoria grazie all’intervento inatteso di un potente alleato, una sorta di “deus ex machina”, arrivato nel momento e con le modalità giuste. Insomma, un vero e proprio colpo di scena che stravolge le forze in campo.
Per sommi capi questa è la vicenda, complicata ed intrigante: tralascio l’intervento di Francesco Bagni, un ispettore della Omicidi grande amico di Genito, già protagonista di altri romanzi, ritenuto morto per responsabilità del protagonista ma riapparso alla fine del giallo, e le vicende di vari personaggi femminili, tra i quali la già citata Ada, che Genito tenta di proteggere e mettere in salvo con fortune alterne.
Lo stile è prettamente giornalistico, arrembante, crudo, pieno di riferimenti alla malavita che sembra infiltrarsi dappertutto con metodi persuasivi o crudamente violenti, senza pietà né ripensamenti. A dimostrazione che Tangentopoli (ricordo che il termine è stato coniato dallo stesso autore) non è finita e che infiltrazioni di una nuova e più astuta criminalità sembrano essersi spartiti Milano e il suo territorio. Non a caso, riporta Colaprico, lo stesso Totò Riina sosteneva (in un’intercettazione del 2013) che “Milano è la capitale del crimine”.
Qualche esagerazione nella costruzione del protagonista, il roccioso Genito: sembra inverosimile che da solo sia in grado di opporsi a clan mafiosi capaci di ogni efferatezza, ad amministratori collusi, a politici corrotti, a collaboratori poco fidati e succubi di poteri occulti, ma l’autore ha voluto raffigurare in lui una specie di eroe, nello stesso tempo audace e guardingo, capace di opporre a mali estremi, estremi rimedi, senza porsi troppi problemi morali e con una strategia speciale, quella del gambero : “ vola leggero come una farfalla, pungi forte come un’ape, ma non farti avanti, cammina indietro come i gamberi”.
Il romanzo è comunque avvincente, senza momenti di pausa. Alla fine l’autore, prima dei consueti ringraziamenti, pubblica un breve glossario di alcuni termini malavitosi: scopriamo così che “ciucco” non vuol dire solo ubriaco, ma anche falso, che “diocesi” significa anche luogo sicuro, che “pulla” è una ragazza a volte facile e che “zanza” è sinonimo di truffatore.
Da leggere, riflettendo su nuove realtà che vanno emergendo: una nuova criminalità, più sofisticata e non facile da individuare, abilissima nel mimetizzarsi, rappresentata da abilissimi e insospettabili trafficanti d’alto bordo collusi con politici e politicanti corrotti.
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Una strategia "'ndranghetista"
Piero Colaprico torna negli scaffali delle librerie con La strategia del gambero, un romanzo autonomo dalla serie del commissario Pietro Binda, senza perdere nulla nel confronto in quanto a potenza narrativa e nella capacità di svelare le caratteristiche precipue, spesso molto attuali, della criminalità a Milano.
Un romanzo criminale avvincente, in cui la penna dello scrittore noir si intreccia a quella del grande giornalista per dare vita, in un crescendo di azione e di pericoli, di colpi di scena e di intrecci sotterranei, a una storia di luci ed ombre dal fortissimo sapore di verità.
L’autore è giornalista di cronaca giudiziaria e di nera per La Repubblica, ricordando che proprio lui ha coniato il termine “Tangentopoli”, mostrando così già allora una grande conoscenza per quelli che sono i meccanismi e gli scenari della Milano criminale. A questo aggiungiamo che ha vinto un Premio Scerbanenco, con La trilogia della città di M., e il quadro delle capacità e delle potenzialità di Colaprica sono così ben evidenziate.
E’ sulla presenza nel territorio della ‘ndrangheta che l’autore pugliese, trasferitosi nel capoluogo milanese, ha sempre avuto una conoscenza particolare e brillante, e quest’ultimo libro lo conferma in modo particolare.
Buona parte del romanzo narra le gesta del suo azzeccato protagonista, Corrado Genito, tutore dell’ordine che sa che non esistono Male o Bene, ma solo la fragilità umana e l’umana responsabilità. Infatti lui ha conosciuto entrambi i fronti: è stato capitano del Carabinieri, nonché agente segreto, ma ora si trova in carcere, in mezzo a quelle persone che ha sempre cercato, con ogni mezzo, lecito ed illecito anche, di contrastare. Ma quale è stata la colpa che lo ha portato fin lì? Aver gestito in modo alquanto maldestro un sequestro nel quale era troppo coinvolto, sia da un punto di vista personale che emotivo: una grossa somma di denaro e l’interesse erotico per la moglie del rapito hanno condotto alla morte di Francesco Bagni, che di Genito era non solo collega ed Ispettore della Omicidi, ma anche il suo migliore amico. Per Corrado, quindi, i lunghi anni di prigione che lo attendono sono affollati dai ricordi, dai rimorsi e dai sensi di colpa, ma non avrà molto tempo per crogiolarvisi dentro all’infinito. I servizi segreti lo mettono in libertà con un patto preciso: se saprà fornire un aiuto concreto in una indagine difficile, i suoi crimini saranno dimenticati per sempre. Genito deve infiltrarsi in due clan della ‘ndrangheta che, dopo decenni di guerra spietata, che ha condotto ad inutile spargimento di sangue, sembrano ora avviati verso una pace che non convince nessuno, ma che garantisce spartizioni ed enormi quantità di denaro per tutti. Simbolo di questa pacificazione non può che essere un matrimonio tra due giovani dei due opposti clan, Ada Nirchemi e Kurt Stringoli, due persone che nulla hanno in comune, se non che l’obbedienza cieca e dittatoriale al volere dei rispettivi capoclan. A Genito aspetta un compito rischioso, se non impossibile, in un ambiente ricco solo di spregiudicatezza e di violenza, dove la soluzione, per non morire, sembra essere solo quella di seguire la “strategia del gambero”, per cui:
“Vola leggero come una farfalla, pungi forte come un’ape, ma non farti avanti, cammina all’indietro come i gamberi.”.
Un’avvincente e fascinosa lettura.