La squillo e il delitto di Lambrate
Letteratura italiana
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1951: una investigatrice "speciale"
Dario Crapanzano, dopo aver narrato per molte volte le avventure del commissario Arrigoni nella Milano degli anni Cinquanta, ora muta personaggio e immette nel vasto panorama letterario una nuova investigatrice, anche se un po’ sui generis: Margherita Grande. Protagonista assoluta de La squillo e il delitto di Lambrate.
Siamo nella Milano del 1951, il ricordo drammatico della guerra, la fatica della ricostruzione è ancora ben presente in tutto il Paese. E Margherita è orfana, con una nonna anziana e due fratellini, vive in una casa di ringhiera, barcamenandosi alla meno peggio con il suo salario da cameriera in una trattoria. Ma:
“aveva un viso dai lineamenti fini, illuminato da due intensi occhi castani e incorniciato da lunghi capelli dello stesso colore, faceva pendant un corpo alto e slanciato dalle forme provocanti, che nemmeno il più modesto dei vestiti, come un grembiule da cameriera, riusciva a mortificare. Una voce dal timbro profondo dava il tocco finale al fascino della giovane. Che era dotata di una vivace intelligenza, di una spontanea carica di simpatia e di un carattere deciso e volitivo.”.
Ed ecco che l’occasione della sua vita si presenta con una strana, quanto affascinante, contessa Giulia Vergani. Lei la nota e le propone di lavorare nella sua raffinata casa di appuntamenti. Il cambiamento è radicale, e la ragazza vende, anche ad un ottimo prezzo, la sua verginità. Diventa una squillo di alto bordo, che affronta il mestiere con candido cinismo, ed approfitta della situazione per elevarsi anche culturalmente: legge il Corriere della Sera, libri come Anna Karenina, Guerra e pace, e si gode il benessere trovato. Fino a quando viene a sapere dell’accoltellamento di Valerio Bongiovanni,
“il capo di una banda di fuorilegge. Un bellissimo ragazzo e un inguaribile dongiovanni.”.
Dell’assassinio viene accusata l’amica Ines, nonché fidanzata ufficiale della vittima. Così la bella Rita, seguendo gli insegnamenti tratti dalla lettura di Maigret, inizia a:
“Secondo Maigret quando si inizia l’inchiesta su un omicidio, bisogna prima di tutto mettere sotto la lente di ingrandimento la vittima, scavare a fondo nella sua personalità e ripercorrerne vita morte e miracoli. Certo, poi ce n’è ancora di strada da fare per arrivare a formulare le prime ipotesi sulle cause dell’omicidio e sull’identità dell’assassino. (…) C’è un’altra abitudine del buon vecchio Maigret che dà sempre ottimi frutti: una chiacchierata con la portinaia! Quella ne sa una più del diavolo, non gli sfugge niente!”.
Un giallo insolito, sia per i personaggi che per l’ambientazione. Qui ci sono i ladri di quartiere, che paiono quasi dei gentiluomini, detti la “ligera”, ovvero:
“erano nate formazioni banditesche composte da giovani, poco più che ragazzi, senza troppa voglia di sgobbare tutta la giornata per quattro soldi come i loro padri o i loro nonni: preferivano campare con i ricchi introiti provenienti dai furti in appartamenti privati, o dalle rapine in strada, in banca o in alberghi e negozi dalla cassa ben fornita, lasciando alla malavita di basso livello i borseggi sui tram e i furti di biciclette.”.
Si parla di Lambrate, oggi quartiere di Milano, all’epoca un quartiere molto antico delle cui discendenze si arriva fino ai tempi dei romani e che ispirò il nome della famosa “Lambretta”.
Tra peripezie e stratagemmi investigativi il bandolo della matassa si scioglie, e il libro diventa un giallo dei tempi andati, che non ci sono più. Un testo raffinato, di facile e frizzante ma curiosa lettura.