La seconda vita di Annibale Canessa
Letteratura italiana
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Il fascino critico degli Anni di Piombo
Annibale. Napoleone. Due fratelli, figlio dello stesso padre, ma con differenze abnormi. Il padre, un ufficiale integerrimo, che dà ai suoi figli il nome di due grandi condottieri, di”due abili strateghi mirabili in battaglia, perdenti sì, ma nessuno ha vinto delle battaglie come loro. I nomi di Annibale e Napoleone sono noti a tutti. Quelli di chi li ha sconfitti, no”. Un’eredità paterna che li stravolge nella vita: Napoleone, dopo essere stato arrestato per attività terroristica e subito rilasciato con molte scuse, diventa bibliotecario, si crea una famiglia, ha una dolce bambina. L’altro, Annibale, segue le orme paterne, diventa un Carabiniere, “uso ad obbedir tacendo”, ma è “un uomo che mette paura” , “un uomo in navigazione su un oceano di misteri”, non segue le regole né rispetta i ranghi, ha un obiettivo e lo raggiunge a qualunque costo, perché “la giustizia non c’entra. Era una cosa che andava fatta.” Ottimo stratega, tombeur de femme, un panzer-detective all’epoca del terrorismo.
Dopo una storiaccia decide di lasciare l’arma e si rifugia in Liguria a fare il ristoratore con la zia. Ma la tregua non dura a lungo. In anticipo sui tempi, “la rete Canessa”, mai smantellata e attiva, lo informa che a Milano è stato ucciso suo fratello Napoleone, con cui non aveva più rapporti da anni, e il pluripregiudicato Pino Petri. Il passato ritorna, prepotente. Non si può sfuggire. Ci sono misteri irrisolti, l’ombra occulta dei Servizi Segreti, la camorra con i suoi tentacoli.
Scrivere degli Anni di Piombo in Italia è tutt’ora un’opera ardua. Lo scrittore qui ci riesce benissimo: con un’abile potenza di fuoco dipinge e narra la vita di personaggi, che diventano indimenticabili; con una perfetta padronanza dei meccanismi narrativi costruisce un romanzo profondo e significativo. Due particolarità mi hanno colpito: la visione del Palazzo di Giustizia di Milano, visto dallo scrivente come un luogo buio, oscuro, teatro di ordite trame, istruite e messe in atto da magistrati corrotti, Procuratori della Repubblica onesti, annichiliti da quanto li circonda. E poi l’attività giornalistica del “Corriere della Sera”: giornale storico, che ha molta pregnanza all’interno del testo. In definitiva: questo non è un romanzo cupo, triste, anzi è brioso e frizzante, alcune scene risentono un po’ dell’influenza di James Boond, e ha un taglio molto cinematografico, anche se le scene di sesso sono un po’ troppe. Tanti sono i temi trattati: l’inimicizia tra fratelli, il lutto, la gelosia, il pentimento, la fede, il perdono. Ma uno su tutti predomina: è il sentimento della vendetta, che, come ci insegna Dumas, stravolge, è attesa perenne e paziente,che, prima o poi, giunge inaspettata. Una lettura pregnante, da ricordare.