La provvidenza rossa La provvidenza rossa

La provvidenza rossa

Letteratura italiana

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Questo romanzo è un mistery, sono inventati il crimine che scatena la vicenda, la trama, e la soluzione finale, e sono fittizi i protagonisti; ma è pure un pezzo importante di memoria, come forse sarebbe difficile riportare con la stessa evidenza in un saggio di storia. La memoria di cosa fu un grande partito, di come funzionava la mente di dirigenti e militanti, di come si muoveva l’invisibile macchina del potere e del contropotere in una grande metropoli negli anni fine Settanta, poco prima che l’omicidio Moro scompigliasse la storia d’Italia. Milano, autunno 1977, zona Sempione. Una sventagliata di mitra ha ucciso una giovane fioraia. Accanto al corpo, nel chiosco di via Procaccini, una copia dell’«Unità», perché Bruna Calchi, la vittima, era un’iscritta al Pci, dirigente della sezione e del circolo Arci, dove si occupava di teatro e di diritti gay; bella ragazza, molto conosciuta anche per la sua spigliata esuberanza. L’inchiesta poliziesca parte con tutta la prudenza del caso delicato, affidata a un giovane funzionario, moderno e progressista ma capace di stare al mondo; e subito incorre in un primo mistero: l’arma del crimine, una Maschinenpistole, i famosi Mp 40 in uso alla Wehrmacht, riemersa chissà come dalla Seconda guerra mondiale. Contemporaneamente, «per evitare eventuali provocazioni e trappole», muove la controinchiesta del Pci. Se ne occupa il vecchio Peppe Dondi con il suo vice ingegner Cavenaghi. Peppe, un ferreo partigiano di quelli che hanno attraversato guerre civili, guerra e clandestinità, ingaggia con la polizia una corsa volta a scoprire prima la verità per occultarne un’altra.



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La provvidenza rossa 2017-06-25 06:21:11 pierpaolo valfrè
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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    25 Giugno, 2017
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Botteghe Oscure

Viaggio molto interessante nel Partito Comunista Italiano nel periodo della sua massima forza elettorale e della sua capacità di influenza nella società italiana.
Un “mistery”, una storia a cui partecipano personaggi fittizi e reali e che incrocia fatti realmente accaduti a vicende totalmente inventate.
Lodovico Festa, ex dirigente del PCI milanese e successivamente co-fondatore de “il Foglio”, ci mostra dall’interno il funzionamento di un sistema che, molto prima di trasformarsi in una “giocosa macchina da guerra” e perciò affondare e disperdersi mestamente in tanti rivoli, fu un caso impressionante di stato nello Stato, una struttura di potere efficientissima e capillarmente ramificata, proiettata verso obiettivi politici forti, e in grado di interloquire alla pari e riservatamente con altre strutture di potere del nostro Paese come la Chiesa Cattolica, le forze dell’ordine, i giornali, e di condizionare interi settori della società civile come la scuola, le università, la cultura.
Con il pretesto di narrare l’indagine parallela (della polizia e del partito) sull’omicidio di una militante alla fine del 1977 (pochi mesi prima che con il caso Moro in Italia cambiassero molte cose) l’autore ci accompagna nel suo vecchio mondo, permettendoci di osservare in presa diretta ciò che finora potevamo soltanto immaginare. Vengono mostrate, tra le altre cose, la complessità e l’ambiguità, l’idealismo e la doppiezza, la potenza e i germi del successivo decadimento, la disciplina e la passione, il culto per l’efficienza e la riservatezza, la precisione e il tatticismo e soprattutto la fitta rete di relazioni, che permetteva di dialogare senza chiasso con tutti e su tutto. Una grande storia indubbiamente, che merita rispetto e che suscita inquietudine.
Avesse scritto un saggio, sarebbe stata probabilmente una mattonata che ti dovevi fermare a metà del titolo. Invece Festa ci porta dentro le cose, e ce le fa vivere attraverso i funzionari, i sindacalisti, gli intellettuali, i giornalisti, gli imprenditori, le cooperative, gli ex-partigiani, gli infiltrati, i faccendieri, le spie, i pensionati, i circoli Arci, i semplici militanti. Si concede anche qualche consapevole anacronismo perché, come spiega nella nota finale, è “interessato a ricordare più le atmosfere, gli ambienti, le sequenze, le connessioni psicologiche (forse non inverosimili) che la precisa scansione degli avvenimenti”.
In questo modo riesci a digerire le oltre cinquecento pagine del romanzo (forse con qualche ripetitività di troppo verso la fine) impari parecchio e ti diverti pure.

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
Consigliato a chi è interessato alla storia italiana tra il secondo dopoguerra e la fine degli anni 70 del secolo scorso e in particolare a chi vuole concedersi una visita nella sala macchine, o nella cucina, ormai diventati pezzi da museo, di un vecchio, glorioso, controverso e potente partito.
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