La giostra dei criceti
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Fango
Periferia romana. Un concentrato di persone, odori, immagini. Decine di zone industriali e palazzi grigi dove a storie di dignità, sopravvivenza e riscatto fanno da contraltare degrado e abbandono.
Una banda di quattro modesti criminali ha deciso di rapinare una banca per fare il colpo grosso. Per svoltare.
Sembra un colpo facile, tutto è stato preparato nei minimi dettagli. Ma qualcosa va storto e le sirene dei carabinieri arrivano più in fretta del previsto.
Nel frattempo un ingegnere, un onorevole, un generale dell’ esercito e il direttore generale di un ente pensionistico si accordano per risolvere a modo loro un problema che affligge il paese.
Ovvero il problema delle pensioni. O meglio, dei pensionati. Ce ne sono talmente tanti da aver superato di gran lunga il numero dei lavoratori e da rappresentare un freno all’ economia. Serve un taglio netto, una scrematura. Qualcuno in grado di selezionarli in base a specifici requisiti, e qualcun altro in grado di eliminarli.
Antonio Manzini, celebre per la serie del vicequestore Rocco Schiavone, mescola noir, tragedia e comicità in questo interessante e concitato romanzo datato 2007.
Il linguaggio mi ha in parte ricordato Ammaniti, mentre i personaggi principali mi hanno fatto tornare in mente il personaggio de “ Lo Zingaro “ del celebre ed emozionante film “ Lo chiamavano Jeeg Robot “, un altro delinquente di periferia alla costante ricerca del botto, del colpo grosso.
Le tematiche affrontate con ironia tragica da Manzini sono molto più profonde di quanto lo stile vagamente splatter e grottesco potrebbe lasciar supporre.
Emerge un curioso scontro tra generazioni. Tra quella dei lavoratori, di età compresa tra i 30 e i 50 anni, e quella degli anziani pensionati descritti nel libro come beati egocentrici, approfittatori.
Come se i giovani non perdonassero alla generazione precedente di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità e di aver contribuito a creare una situazione di crisi economica scaricando tutto sulle spalle degli attuali lavoratori e contribuenti.
Non mancano riflessioni ciniche su una certa categoria di politici preoccupati a mantenere le proprie posizioni di potere, sul fenomeno dei falsi certificati di invalidità, delle pensioni anticipate o eccessivamente onerose.
I protagonisti però non sono la politica, né l’ Inps, né lo scontro generazionale. Sono gli emarginati, quelli a cui la vita non ha mai regalato niente e che oscillano tra rassegnazione e desiderio di scappare. Piccole marionette prive di senso di comunità, criceti che corrono attorno ad una giostra.
E se guardi solo davanti la giostra non ha vie di fuga, e torna sempre al punto di partenza.
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Opinioni inserite: 4
Noir a tinte forti
Periferia romana, tre vicende diverse e apparentemente lontane finiscono per intersecarsi perché è comune il destino dei protagonisti, quello dei criceti intorno alla giostra , a correre, lottare, cercare di infilarsi in un pertugio per ritrovarsi sempre senza via d'uscita.
Il romanzo inizia con una rapina in banca che va malissimo e uno dei rapinatori si ritrova in caserma dai Carabinieri a chiedersi se è stata solo sfortuna o imperizia o peggio se qualcuno ha tradito. Lo stesso dubbio che anima il rabbioso rancore di uno dei quattro che è riuscito a fuggire alla cattura.
Nel frattempo nei palazzi del potere ambigue ed inquietanti figure, ma sarebbe meglio dire "macchiette" hanno pensato ad una tremenda soluzione per risolvere in maniera rapida e definitiva il problema dell'indebitamento dell'INPS, con la collaborazione di impiegati adeguatamente motivati economicamente e moralmente.
Salvo poi accorgersi che forse qualcuno ha sbagliato i calcoli in modo talmente grossolano da fare quasi rabbia.
Figure tristi di personaggi in cui arde la rabbia dell'insoddisfazione per una vita che sta sfuggendo via senza aver lasciato traccia, tutti alla ricerca del colpo che faccia svoltare e per questo disposti a tutto. Piccoli uomini senza ideali che non esitano a fregare il prossimo, a farla alle spalle di chi gli sta accanto incurante dei rapporti persino degli affetti perché non c'è stima, non c'è onore non c'è affetto ma solo disperati bisogni.
Uno spaccato tremendo di una parte della nostra società.
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Carne da cannone
Cinica, irriverente e insieme amarissima, questa commedia noir scritta da Antonio Manzini dieci anni fa e riproposta oggi da Sellerio. Una rappresentazione impietosa e satirica della società che, possiamo tristemente dire, non sente affatto il peso degli anni, a dimostrazione di quanto poco siano cambiate le cose nel frattempo.
René, Cencio, Franco e Cinese sono piccoli malviventi senza speranza della degradata periferia romana, che si arrabattano tra truffe e rapine. Diego invece è un impiegato deluso, che tira avanti con il suo lavoro noioso all’INPS e le sue lamentele, guardando con invidia la casa di proprietà e la pensione sicura della vecchia nonna. La vita ha davvero poco da offrire alla gioventù. Per tutti lo stesso sogno, il colpaccio, quello capace di trasformare il proprio grigiore quotidiano in una sfavillante e nullafacente ricchezza. Magari su qualche isola tropicale, come nelle migliori fantasie.
Ma cosa si è disposti a fare e chi si è disposti a calpestare per poter ricominciare una nuova vita? Quello che si presenta al lettore è un mondo marcio, svuotato di valori e moralità, dove non c’è spazio per la compassione o i sentimenti. I vecchi sono capricciosi rompiscatole da mantenere. Gli onesti, stupidi da fregare. E tutti corrono, cercando di fare la pelle agli altri in una lotta a chi si crede più furbo. Corrono, combattendo una guerra di miseria, senza rendersi conto di essere mera carne da cannone nelle mani di un potere senza volto e senza nome. Criceti in una giostra.
“Siamo carne da cannone. Gente che muore senza un senso, senza un'utilità. Che ha vissuto senza sapere, e senza sapere se ne va”.
La giostra gira, dando il via a una ridda di avventure, tutte giocate tra tragedia e comicità. Raffazzonate rapine dagli esiti fallimentari, una folle e immorale operazione ideata dalle alte sfere per risolvere il problema del costo delle pensioni, i feroci e a tratti ridicoli retroscena della criminalità organizzata. L’occhio spietato e ironico di Manzini non risparmia proprio nessuno.
Nonostante la scrittura asciutta, ritmata e umoristica garantisca una certa piacevolezza, devo ammettere che a volte il lettore finisce per perdersi un po’ nel labirinto di personaggi e sotto-trame che affollano questo romanzo. Nel complesso, comunque, un buon prodotto, originale e intelligente, che mostra un paese arido e pieno di risentimento, in cui non soffia alcun vento di speranza. E fa riflettere.
“Si sforzava, cercava un giorno, un minuto da ricordare, che rendesse quella sua vita un po' più degna. Niente, non gliene veniva in mente uno. Era vissuto come un granello di sabbia. Niente da ricordare. Niente da dire in sua memoria. Nel momento in cui avesse chiuso gli occhi, nessuno se lo sarebbe più ricordato”.
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Disincanto
Roma, periferia. Un gioco da ragazzi, una “cosetta” facile facile doveva essere quella rapina in cui René si è trovato coinvolto. Non doveva essere altro che il colpo risolutivo, il colpo che avrebbe cambiato le sorti sue e dei tre compagni di avventura. Chi avrebbe mai detto che la macchina si sarebbe incagliata, chi avrebbe mai previsto quelle conseguenze. Eppure si sa, nella vita, le cose non sono mai così semplici come ci vengono proposte. Diego, dal suo canto, una mattina come tante inizia ad accorgersi di quella irregolarità di una cartella, poi di quell’altra, e poi di quell’altra ancora, e da lì ha avvio quella sequela interminabile di giudizi di non conformità che lo trascineranno in un vortice ancora più grande. Sullo sfondo un ingegnere, un onorevole, un generale dell’ esercito e il direttore generale di un ente pensionistico, che, credendosi Dio, ritengono di aver risolto uno dei problemi che maggiormente affliggono l’Italia: LE PENSIONI, o meglio ancora, I PENSIONATI. Sono troppi. C’è poco da fare. Il loro numero ha ampiamente superato quello dei lavoratori, come negare dunque, che sono diventati un problema? Come non ritenere necessario un taglio, come non ritenere necessaria una scrematura? Vanno selezionati e quelli che non sono conformi ai requisiti previsti, devono semplicemente essere eliminati. Così è e così deve essere. Punto.
Romanzo d’esordio di Antonio Manzini, “La giostra dei criceti” classe 2007, è un testo capace di connubiare in un colpo solo tragicità, comicità, noir lasciando il lettore preda di riflessione e – in taluni casi – sgomento.
A tratti grottesco, l’elaborato affronta tematiche di vario genere che vanno del degrado, dall’abbandono, dalla voglia di riscatto, dall’inesorabilità dell’esistenza, allo scontro tra generazioni. L’autore, riesce dunque a fotografare con acume e dovizia quella che è la realtà attuale concentrandosi, in particolare, sulle classi di lavoratori, e più precisamente soffermandosi, da un lato, su coloro che sono ancora in forze, presumibilmente tra i 30 e i 50 anni di età, e dall’altro, su chi invece è giunto al traguardo tanto ambito di porre la parola fine agli anni di onorato servizio.
Non mancano critiche ai sistemi legislativi in materia di diritto del lavoro del passato così come non mancano quelle riservate alle classi governanti, focalizzate, senza troppi mezzi termini, sul mantenimento delle proprie pretese e posizioni di potere più che su quelle dei ceti meno abbienti, e come ancora non mancano quelle relative agli sciacalli che, con falsi certificati, ottengono, immeritatamente, pensioni anticipate, assegni di invalidità, ed ogni altra agevolazione possibile, a danno di chi invece veramente avrebbe diritto di usufruirne.
Ma i protagonisti non sono soltanto questi “criceti” alla ricerca della loro occasione, non sono soltanto i politici, non sono soltanto gli approfittatori, e non è soltanto lo scontro generazionale con ogni conseguente recriminazione al seguito; protagonisti sono anche e non di meno gli emarginati, coloro che vivono tra il desiderio di scappare e lasciarsi tutto alle spalle e la rassegnazione di non poterlo fare, coloro che corrono attorno a quella giostra manovrata da mani altrui che gira e rigira per tornare sempre al punto di partenza..
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Il crollo delle illusioni in Antonio Manzini
La casa editrice Sellerio pubblica quello che è stato il romanzo d’esordio di Antonio Manzini, La giostra dei criceti.
L’autore ci narra la corsa disperata di “quattro criceti”, ovvero di quattro balordi di periferia che organizzano una rapina, che dovrebbe segnare il mutamento definitivo della loro vita. Svolta che crede di trovare anche un altro personaggio quando si imbatte casualmente in una grossa cifra di denaro. Svolta che contemporaneamente credono di aver ideato nei palazzi del potere per risolvere il problema dei costi delle pensioni.
Sono storie che si incroceranno in un vortice di avventure che si muovono tra il tragico, il comico e il grottesco. Non mancano i morti e tanto sangue a ricoprire una lotta impari, dove tutti cercano di ingannare gli altri. Tutti i personaggi sono eterogenei, in questo testo che unisce l’umorismo nero all’azione, e che getta uno sguardo impietoso su una realtà che unisce i quartieri periferici di Roma con i grandi e potenti palazzi del Ministero. Sono tutti alla ricerca spasmodica del colpo grosso, quello che sistema per sempre. Ma qualcosa andrà storto: una talpa nel gruppo farà saltare il colpo in banca, e di conseguenza all’interno della stessa scoppia una faida tesa alla scoperta dello “sporco doppio giochista”. L’impiegato rampante rimane, invece, invischiato nella palude olezzante del proprio passato. E’ un gioco al massacro che ricorda un po’ i libri di Lansdale. Un noir duro, scritto, però, con la solita giusta dose di ironia e di cinismo. La facciata di perbenismo e di finta compassione è frantumata con decisione, senza inutili filtri. Bellissimo il tratteggio spietato dei politici e dei carrieristi e delizioso il discorso che ad un certo punto mette in bocca ad prete: ragionamento strepitoso nella sua assurda e delirante logica.
Una lettura che nella sua drammaticità strappa sorrisi al lettore, inducendo alla riflessione. Uno spaccato di umanità tragicamente reale.