La giostra degli scambi
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
A tavola si invecchia meglio
Il commissario Salvo Montalbano è al suo 37esimo appuntamento con i lettori (comprese le raccolte di racconti e le collaborazioni del suo ottuagenario autore con altri scrittori). La formula è quella – ampiamente sperimentata con successo – delle due vicende che originano in modo indipendente: nel corso del racconto il lettore può scoprirle riunite in un'unica pista criminosa, oppure vederne “diminuita” una a ruolo di contorno dell'altra, senza che esse si incrocino.
Ne “La giostra degli scambi”, il commissariato di Vigata si trova di fronte a misteriosi sequestri-lampo di donne che vengono narcotizzate, ma alle quali non viene torto un capello, e contemporaneamente dinanzi all'incendio doloso del negozio di un certo Marcello Di Carlo, di cui viene per giunta accertata la misteriosa sparizione.
Dopo aver scoperto che le donne sequestrate hanno in comune l'essere impiegate di banca e che il Di Carlo, inveterato “fimminaro”, sembrava star mettendo finalmente la testa a posto, toccherà al lettore addentrarsi nella storia e sincerarsi dell'appartenenza delle vicende all'uno o all'altro dei due schemi delineati.
Sino ad un finale che, pur non scontato, ha la pecca di “accelerare” troppo rispetto alla gradualità con cui la vicenda viene ricostruita nel corso del romanzo.
Sarà che Camilleri scrive le sue storie a somiglianza di sceneggiature cinematografiche. O che Sironi (il regista della serie televisiva) si mantiene fedele al testo in maniera impressionante. Fatto sta che è diventato quasi impossibile – per chi frequenta il personaggio televisivo Montalbano – sfogliare le pagine senza che si materializzino le espressioni dei vari Mimì Augello, Catarella, Livia, Fazio, e via dicendo: nella testa del lettore, la consueta puntata va in onda prima che sia effettivamente girata.
Anche questo è indizio di un successo incontestabile, dovuto a una caratterizzazione dei personaggi e ad un'originalità che forse Montalbano non ha più nei confronti di se stesso (a volte la sensazione di dejavu è dietro l'angolo) ma sicuramente conserva rispetto a tutti gli altri famosi commissari/marescialli/detective privati della pagina scritta.
Per ottenere questo risultato, Andrea Camilleri non ha nemmeno più da faticare tanto, riproponendo le storie del suo investigatore in quella lingua che prende forza dal dialetto della Sicilia centrale (non dal palermitano, dunque, né dal catanese), e che all'orecchio del lettore ha ormai un marchio tutto suo, proprio come il personaggio Montalbano.
Niente di anormale, insomma, se leggendo del buon Salvo seduto tra i tavoli del ristorante di Enzo – cosa che capita piuttosto di frequente ne “La giostra degli scambi” –, si ha la sensazione di vedere Luca Zingaretti che sistema il tovagliolo e si sincera del religioso silenzio attorno, condizione necessaria per gustarsi il pranzo. Lasciatevi portare: c'è il caso che, tra un gamberone e un cannolicchio, arrivi l'intuizione giusta.
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Recensione Utenti
Opinioni inserite: 6
Non male
Se molti fra gli ultimi Montalbano si sono rivelati deludenti soprattutto a livello di costruzione della trama, questo, che dovrebbe essere il numero ventitre ed è uscito nel 2015, costituisce una piacevole eccezione. Camilleri assembla una storia breve, ma estremamente coesa che ha il pregio di vivere solo dello svolgersi dell’investigazione sfruttando con abilità il gioco di scambi evocati dal titolo: niente tempi morti e divagazioni socio-politiche quasi azzerate consentono al lettore di sprofondare nello svolgimento giallo senza venire distratto o condotto in giro a vuoto. Ne beneficia pure la ripresa dei leit-motiv che caratterizzano la serie: l’incipit tra il comico e il surreale (il commissario prova a far da paciere in una scazzottata e finisce fermato dai carabinieri), la consueta caratterizzazione del commissariato con Fazio che si prende sempre più spazio, le mangiate pantagrueliche (visto che non è obeso, Montalbano deve avere un metabolismo fulminante): in più, Livia e Bonetti-Alderighi fanno capolino solo per un pugno di righe e si tratta di un altro punto a favore. E’ vero che non si può definire impossibile indovinare lo scioglimento prima che venga rivelato, ma, dopo così tanti volumi, giunge in soccorso la conoscenza ormai assodata del modo di procedere dell’autore: in fondo, più che la soluzione stessa ciò che è importante è il percorso che vi perviene. Come spesso accade, ci sono due filoni all’apparenza scollegati le cui vicende si avvicinano e poi intrecciano: da una parte, il rapimento incruento di due donne seguito da un terzo più brutale, dall’altra la sparizione di uno sciupafemmine locale, tanto fortunato con il gentil sesso quanto scialacquatore delle proprie sostanze. Gli bruciano il negozio, ma la mafia fa sapere di non entrarci: quando riesce ad avere un quadro d’insieme che riunisca i due percorsi, Montalbano è vittima dello scambio finale, fissandosi su di un colpevole che non si rivela tale e riuscendo a rimediare in extremis trovando il coraggio di ripensare tutta la faccenda. L’indecisione è l’unico accenno alla vecchiaia, assieme agli sfottò di Pasquano, il che consente al protagonista di non piangersi addosso per gli acciacchi come gli capita altrove.
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Discreto
Un discreto giallo deduttivo. Come al solito il vernacolo dona al romanzo un fascino particolare ma al contempo perde di eleganza. Il racconto è basato molto sugli equivoci e su alcune deduzioni errate di Montalbano che servono a deviare i sospetti su una pista che, a parer mio, si cominciava ad intravedere già verso metà libro. Inoltre le informazioni che ottiene sono spesso dovute a confessioni più o meno spontanee più che prove schiaccianti ed incontrovertibili. Il commissario è invecchiato e forse per questo perde un po' di colpi, ma in compenso il personaggio è maturato e consolidato.
Impossibile non immaginare i personaggi televisivi che da anni danno forma ai soggetti di Camilleri. Lo scrittore e il registra sembrano rincorrersi e c'è da domandarsi se la serie è fedele al romanzo oppure il contrario. Ad ogni modo considerando il periodo di uscita del romanzo, la considero una buona lettura estiva. Nulla che mi abbia impegnato o che mi abbia lasciato un'emozione particolare.
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Le sviste
La giostra è un gioco divertente, salirci è un'avventura, s'inizia a girare e ben presto gli sguardi si confondono, le rapide occhiate a ciò che è fuori ingarbugliano le idee. Correre in tondo modifica la percezione, abbaglia e con facilità più non si distingue un insetto con l'altro, due litiganti avvinghiati nella lotta, un testimone da un ladro, uno scherzo di cattivo gusto da un rapimento. Il senso di stordimento assale, l'atmosfera giocosa s'incupisce e la voglia di scendere dalla giostra si fortifica.
La discesa è transitorio, è stordimento nello stordimento, è inganno nella truffa, ogni scelta, ogni movimento è pantanoso, limaccioso, ma quando l'azione finisce gli occhi vedono chiaro e il pensiero si fa trasparente, finalmente si riesce a capire, i pezzi si compongono e il caso si risolve.
La giostra è la vita di Montalbano, sempre più vecchio, sempre più stanco, sofferente in questa nuova corsa contro il “male” e sempre più scoraggiato malgrado raggiunga la corretta soluzione.
Non ci dobbiamo stupire più di questa evoluzione, Montalbano è una persona, non un personaggio e la sua vecchiaia inarrestabile, ma il suo declino non è ancora arrivato, è acuto e furbo come sempre. Gli anni gli appannano l'anima, non la perspicacia e la coscienza, permettendo alla giustizia, riletta da sempre in maniera personale senza ottusità, di trionfare.
Se ci si aspettano i fuochi di artificio si rimarrà delusi, la certezza è quella di trovare un vecchio amico, i luoghi di sempre i fedeli compagni di ogni avventura ben caratterizzati e credibilmente strutturati, ma nulla più.
Infondo, questo basta, giusto?
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Un meccanismo collaudato
Inizia male il più recente romanzo dedicato al commissario Montalbano: un primo capitolo in cui il beneamato poliziotto si trova infilato in situazioni poco credibili e comunque poco lusinghiere per la sua professionalità: una sequenza di piccoli episodi che ci si rende conto che hanno solo la funzione di giustificare il titolo del libro. Poi il romanzo riparte con il consueto cast di attori: Fazio, Mimì Augello, Catarella, il questore e, sempre più defilata ed evanescente, Livia. Lo stile riprende vigorosamente il lessico siculo – italiano, copyright di Camilleri, accentuando la componente siciliana che in alcuni recenti romanzi sembrava più sfumata.
Montalbano teme di perdere colpi, di sentire il peso degli anni, ma poi il suo scatto intuitivo arriva, anche se un po’ in ritardo e come al solito vince la sua ennesima battaglia.
L’impianto è così collaudato da non creare apprensioni: come sottolineava Camilleri in una recente intervista i suoi romanzi con Montalbano hanno un numero di capitoli (da 17 a 19) e un numero di pagine (250-260) pressoché fissi.
Capisco chi lo critica perché trova ripetitivo lo schema o non digerisce il suo linguaggio, ma per chi lo ama Camilleri è come una rada che offre un approdo sicuro e tranquillo. Un suo nuovo romanzo è l’attesa occasione per mettersi in poltrona, con la sicurezza di trovare qualche ora di distensione; così come per la versione televisiva che si vede e si rivede e ogni volta ci si accorge che i nervi si rilassano.
Qualche cenno sulla trama? No, è un poliziesco e non sarebbe corretto. Poi stasera c’è Montalbano in televisione e non voglio fare tardi.
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Due finti sequestri e una "camera della morte".
Un bel romanzo di Camilleri, che rimette in gioco il commissario Montalbano, ora con qualche filo grigio nei capelli e sempre più stanco della consueta routine burocratica e degli abboccamenti con l’altezzoso questore Bonetti-Alderighi. E’ in pace solo seduto nella sua verandina in riva al mare, o nelle rilassanti passeggiate al molo, a fumarsi beatamente una sigaretta dopo i pranzi che gli prepara il vecchio amico Enzo. Questa volta però a movimentare la routine giornaliera ci sono due sequestri di giovani donne, sequestri singolari, senza conseguenze, come se fossero una messa in scena a preludio di ben più fosche vicende. Inizia così una complessa indagine per capire i perché e i come, indagine che vede in prima linea lo stesso Montalbano, con le sue brillanti intuizioni, ben coadiuvato dal suo vice, il buon Mimì Augello, più impegnato del solito, il fedele collaboratore Fazio, ed i consueti sottoposti Gallo, sempre più spericolato nella guida, e l’immancabile spassoso Catarella, i cui interventi meriterebbero uno spazio più ampio. L’indagine coinvolge numerosi personaggi, ma il famoso “cherchez la femme” si rivela qui quanto mai risolutivo. E la soluzione arriva, dopo il ritrovamento di due morti ammazzati, in un cupo e gelido finale, singolare in Camilleri, che ci descrive con maestria una camera della morte dove efferati delitti hanno avuto il loro lugubre scenario. Il colpevole ? Un colpo di scena finale ce lo rivelerà, grazie ad uno stratagemma messo in atto da un abilissimo Montalbano. Il romanzo é molto ben costruito, la tensione è sempre molto alta. Ci sono anche le solite telefonate all’eterna fidanzata Livia, telefonate tranquille, senza “sciarratine”: un bel passo in avanti per l’irrequieto commissario ! Un’ultima nota : per i pochissimi che non lo sapessero e avessero difficoltà con certe espressioni gergali di Camilleri o con il suo dialetto siciliano, esiste on-line (www. Vigata.org) un Dizionario Camilleri-linguaggio, che riserva interessanti sorprese linguistiche.
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Scetticismo mi assale
Salvo, ah caro Salvo Montalbano, perdiamo un po' di colpi?
Gli anni continuano ad avanzare ed il tuo autore non fa nulla per metterlo in risalto, facendoti sentire il fiato sul collo anche dei più fedelissimi colleghi ma per fortuna il Commissario Montalbano non perde, lui vince.
Ormai i romanzi con protagonista Salvo Montalbano ed il commissariato di Vigata non si contano, per fortuna quando un lettore on vuole correre rischi si può tranquillamente riparare tra le pagine di un libro di Andrea Camilleri come in questo caso.
Lo stile è sempre identico, capitoli non molto lunghi, la cui trama è caratterizzata da una prima parte in cui la storia è buia e confusionaria ed una seconda parte in cui si accendono i fari del Commissario Montalbano e si rientra tranquilli in un porto dalle acque placide.
Mmmh si lo so ho detto tutt e niente ma la storia la potete leggere in quarta di copertina, io invece volevo farvi denotare il mio scetticismo.
Mi spiego meglio, Camilleri non si discute ed è anche vero che in natura nulla si crea nulla si distrugge ma tutto si trasforma, così come è pur vero che la gente tende ad assumere anche alcune variazioni sul tema di se stessi, ma il sottoscritto è scettico, sono un grande estimatore di Camilleri ma in questo romanzo come in alcuni dei suoi ultimi scritti non ritrovo il suo marchio di fabbrica ben definito, non so come dire, anche il suo modo di scrivere in dialetto, il celebre camilleresco non mi pare più tanto uguale a quello a cui sono abituato. Sono impressioni personali ma vi invito tutti ad entrare nel merito ed a fare molta attenzione a quanto da me scritto per cercare di smentirmi (spero) o a confermare le mie impressioni (voglio essere smentito).
Buona lettura a tutti.
Il Syd