La forma del buio
Letteratura italiana
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Lo scultore dagli occhi di cielo
Lo Scultore è il serial killer protagonista di questo thriller al cardiopalma, secondo libro di una serie davvero speciale, tutta ambientata in una Roma anomala, fredda, sotterranea, nascosta, umida, pericolosa. E’ un uomo che insegue le sue paure, uccide i suoi fantasmi, i suoi mostri ed i suoi mostri sono collegati agli antichi miti, tanto che delle sue vittime fa sculture mitologiche, dove nulla è lasciato al caso. Il senso di colpa permea molte parti della storia, sia di quella dell’assassino sia di quella del suo cacciatore e la ricerca del senso dell’equilibrio è un filone intimo, molto interessante da seguire, perché collega anche i libri della serie, permettendoci di entrare molto in armonia con il sentire dei personaggi principali. Indubbiamente di grande rilievo le capacità stilistiche dell’autore.
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L'uomo delle sculture
«Ci sono persone per cui il passato è una dimensione esistenziale. Anzi, l’unica. Non parlo degli anziani come me che hanno più passato che futuro, che hanno più strada dietro che spalle da percorrere. No, mi riferisco a chi riesce a frequentare una sola realtà: quella del tempo trascorso. Per loro vivere vuol dire essenzialmente aggiornare il proprio passato.»
Enrico Mancini non potrà mai dimenticare la sua Marisa, la donna che da sempre ama, colei che gli è stata strappata via da una forza più grande e di cui sempre si porterà il rimpianto di non essere riuscito a salutare. Tuttavia il tempo è passato inesorabile e implacabile con il suo decorrere rapido, imprevedibile e improcrastinabile e, per quanto il commissario ci provi, non può sottrarsi a quello che sta sempre più diventando un ricordo lontano appartenente a un trascorso sempre più remoto.
Vorrebbe poterlo trattenere, Mancini. Ma non può. E così, per quanto sia restio, per quanto si opponga, è chiamato a vivere, è chiamato a svolgere il suo lavoro di profiler, è chiamato a fermare “Lo scultore”. A pochi mesi di distanza dalla risoluzione del caso dell’uomo soprannominato “L’ombra”, indagine che lo ha visto tornare sul campo dopo il lutto, adesso lui e la sua squadra sono chiamati a far luce su una serie di morti macabre e misteriose che vedono l’artefice delle medesime allestire una sorta di teatrino nei luoghi del ritrovamento: tutte le vittime sono disposte in una pièce specifica così come le loro membra sono caratterizzate da determinati riferimenti; un mix che riporta ai miti, alla letteratura, all’arte ma anche all’animo dell’individuo che sa essere tanto umano quanto capace di trasformarsi in bestia.
«Un rispetto che sfiorava il timore, perché chi perde la testa in un dolore come quello, in un modo o nell’altro smette di avere paura.»
E come riuscire a fermare un omicida che non agisce per vendetta quanto per sconfiggere i propri mostri? E come riuscire ad anticiparne le mosse, come riuscire a fermare quello che sembra essere un disegno mosso da una volontà inarrestabile?
È da questi brevi assunti che ha inizio “La forma del buio” secondo capitolo dedicato alle avventure del celebre commissario nato dalla penna di Mirko Zilahy e caratterizzato non solo da un aspetto thrilleristico che avvince e trattiene ma anche da un aspetto più propriamente introspettivo che si propone al lettore per mezzo di una penna fluida, rapida, magnetica.
Mancini, in particolare, si evolve in questo nuovo elaborato. Acquisisce un nuovo e rinnovato spessore, si mostra al suo pubblico con le sue fragilità ma anche con aspetti che ne delineano una maggiore caratterizzazione psicologica tanto da renderlo ancora più complesso e stratificato. Il lettore, nello scorrere delle pagine, è preda quanto artefice quanto indagatore. Le sue vesti mutano a seconda della scena, assumano voce a seconda dell’io narrante, si dilatano e contraggono innanzi alle molteplici piste seguite. Al tutto si somma un aspetto criminologico perfettamente elaborato e più che soddisfacente tanto per i palati più esperti che non.
“La forma del buio” è un sequel di tutto rispetto che conquista ancor più che del primo elaborato e che non delude le aspettative del lettore più esigente, anzi. È un titolo che suscita empatia trasmutando chi legge in quello che non è soltanto un thriller.
Un autore che entra nella psiche del suo pubblico, che merita di essere letto, che si confà tanto agli amanti del genere che non, un autore che non ti stanchi mai di leggere. Un autore che se non avete ancora avuto modo di scoprire, è giunta l’ora di conoscere.
«Si dice che le persone scomparse restino con noi, che vivano in una dimensione continua alla nostra, invisibili ma presenti. In questo posto inutile io ho avuto la possibilità di scoprire che non è così. La verità è che quando qualcuno se ne va, quando lo perdiamo per sempre, che sia la peggiore delle morti o il più banale degli incidenti a portarcelo via, qui dentro», posò il pugno sullo sterno, «si forma un vuoto. E man mano che andiamo avanti quello spazio sì dilata ed è come se si riempisse. Di fantasmi. Fantasmi che ci abitano. E che ci parlano, commissario, da un passato in cui erano fatti di carne. Ci parlano e le loro parole producono echi che restano in sospensione dentro di noi.»
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Lo scultore
Un buon thriller dai tanti punti positivi. Ritmo sempre alto e ottima l'idea di base, anche se la ritengo inverosimile (o almeno lo spero). L'ambientazione dark di Roma è ben costruita. La scrittura è tecnicamente ben fatta anche se in alcuni passaggi cambia registro in modo repentino, in altri si adagia in passaggi ripetitivi.
La caratterizzazione dei personaggi l'ho trovata prevedibile, al limite del banale. Investigatori, profiler, coroner, chi più chi meno cela un lato nascosto, un trauma che si protrae sul lavoro e da cui non riesce a liberarsi.
Tutto sommato un buon noir metropolitano che mi ha accompagnato per una breve trasferta proprio a... Roma
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Un serial killer "ordinato"
Dopo il successo di E’ così che si uccide, Longanesi pubblica La forma del buio, secondo volume che Mirko Zilahy incentra sul suo protagonista, il commissario Enrico Mancini di Roma, tanto riluttante ad affrontare il serial killer di turno, quanto poi abile nell’immedesimarsi con il mostro e riuscire a scovarne le tracce.
Il romanzo è la naturale continuazione del capitolo precedente, ci vengono quindi nuovamente narrate la vita e il lavoro del nostro commissario e della sua squadra. Un romanzo assai coinvolgente.
Mancini si trova nella sua casa di montagna, luogo dove si isola per togliersi il male di dosso al termine di un caso, e per potersi abbandonare al senso di vuoto che lo opprime dopo la morte della moglie Marisa, quando viene raggiunto da una telefonata che lo richiama in servizio per un nuovo caso. I corpi di tre persone vengono ritrovati alla Galleria Borghese, a Mancini basta uno sguardo alla scena del crimine e all’opera di scultura plastica creata dall’assassino per rendersi conto che si trova per le mani un nuovo serial killer e che spetta a lui, il “cacciatore di mostri”, stanarlo. Vi sono tre personaggi principali in questo romanzo: il commissario Mancini è un profiler che si è specializzato a Quantico sui crimini seriali, in lutto per la recente morte della moglie, un personaggio complesso ed intrigante, del quale ci vengono mostrate a poco a poco tutte le debolezze umane e le paure. Mancini ha un modo di operare e di procedere piuttosto singolare:
“Enrico aveva bisogno di calpestare la terra, annusare l’aria sulla scena del crimine, di toccarla. Era quello il suo primo contatto con l’assassino. Un tramite indiretto che gli serviva per sintonizzarsi, per ascoltare la voce del delitto, percepire i passi del killer, finchè la presenza fantomatica si manifestava nella sua mente”.
Questa empatia profonda che il profiler sperimenta sulla scena del crimine lo mette in contatto diretto con il mostro, quasi come se potesse vedere la realtà con i suoi occhi. Mancini appare convincente sia come investigatore che come persona, attorno a lui si stringe tutta la squadra fatta da uomini e donne con una vita personale, che viene narrata con dovizia di particolari, oltre che professionale. Con una lenta introduzione della scena del crimine e parallelamente, di Mancini stesso, siamo condotti al cospetto dell’opera del killer, ribattezzato subito dalla stampa come “Lo Scultore”, infatti il nome appare subito appropriato visto la messa in posa dei cadaveri, le espressioni quasi vive e il tocco artistico, seppur macabro, del suo lavoro. Lui uccide ispirandosi alla mitologia classica, come il Laocoonte, la Medusa, il Minotauro, il Ciclope…. Il punto di vista del serial killer viene narrato sotto differenti punti di vista, con un ritorno al passato, attraverso flashback che pian piano introducono il suo mondo e ci raccontano la nascita di un mostro e del suo folle piano
“di mettere ordine al caos”.
L’autore conduce sapientemente il lettore all’interno della sua mente delirante e delle sue allucinazioni, dove la realtà si mescola con il mondo mitologico nel quale è intrappolata. Lo Scultore, come un animale, si muove sottoterra silenzioso e letale, anche nell’efferatezza delle sue gesta e nella totale follia, da cui, senza ombra di dubbio è pervaso, è possibile trovare un non so che di poetico, umano e meritevole di compassione.
Il terzo personaggio indiscusso è Roma, la città eterna con le sue bellezze artistiche e naturali che fanno da location per i macabri ritrovamenti (Galleria Borghese, il giardino zoologico, Villa Torlonia) e un lato oscuro e spaventoso dove è difficile sentirsi al sicuro. Lo stile dell’autore è molto particolare, usa un linguaggio elegante e ricercato per descrivere minuziosamente ogni scena, dalla più macabra e sanguinolenta alla più domestica, rendendo pienamente comprensibili sia l’umanità e “normalità” di alcuni personaggi, sia la follia e il buio che contraddistingue il serial killer. I piani narrativi si incrociano tra passato e presente, i continui riferimenti alla mitologia classica e il linguaggio evocativo rendono la lettura impegnativa. Ma un ottimo esercizio di stile e di narrazione.
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La forma del buio a Roma
"Perché il caos genera la paura. E l'ordine è l'unica cura."
Dopo il successo internazionale di È così che si uccide, MIRKO ZILAHY ha scritto il secondo thriller della serie con il commissario Enrico Mancini, il miglior profiler di Roma. La capitale non è mai stata tanto avvolta da una nebbia di morte. L'oscurità e la morte sono ovunque. Il Male, fatto persona, incarna uno spietato killer che non intende smettere di dare la caccia alle sue ignare vittime.
È un thriller davvero molto coinvolgente, anche più del primo che già mi aveva conquistata. LA FORMA DEL BUIO è il giallo psicologico che avevo bisogno di leggere per rimanere coinvolta da una storia oscura e tormentata resa ancora più efficace da uno stile narrativo avvincente e ricco di colpi di scena.
"Riconosce l'eccitazione della caccia. La sproporzione tra la violenza del predatore e l'inerzia della preda. Le pupille si dilatano come quelle di un felino dentro le tenebre. La moquette blu oltremare è dappertutto e soffoca la musica dei suoi passi di morte."