La donna della Domenica
Letteratura italiana
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La Torino che non ti aspetti
Il romanzo è ambientato a Torino, in una calda settimana di giugno, negli Anni Settanta.
Martedì. Anna Carla Dosio, moglie d’un ricco industriale, scrive una risentita lettera all’amico Massimo Campi, con cui aveva discusso la sera prima. Poi, licenzia i due domestici, che le sottraggono la lettera di nascosto. La sera, l'ambiguo architetto Garrone viene trovato ucciso nel suo ufficio, colpito da un grosso fallo di pietra.
Mercoledì. Il commissario Santamaria, incaricato delle indagini, trova subito un indizio: gli ex domestici della Dosio gli portano la lettera in cui la donna chiedeva all’amico Massimo di "far fuori" il Garrone. Subito, Santamaria convoca Campi e la Dosio per un bizzarro interrogatorio, senza cavare un ragno dal buco: Anna Carla aveva solo proposto a Massimo di "eliminarlo" dalla loro cerchia di conoscenze. Il geom. Bauchiero, vicino di Garrone, racconta a Santamaria d’aver visto uscire dal suo palazzo, martedì sera, una bionda con l’impermeabile, una borsa rossa e un grosso tubo. Campi racconta tutto al suo compagno, l’impiegato comunale Lello Riviera: Lello teme per la fine della loro storia e inizia a indagare per riguadagnare credito agli occhi di Massimo. Interrogando la famiglia e i conoscenti del Garrone, Santamaria scopre come egli fosse un incorreggibile perditempo, che, dichiarando di volersi occupare di pietre, era sicuro d’un prossimo grosso guadagno.
Giovedì. Dal parrucchiere, Anna Carla ascolta il veemente discorso di una vedova, Ines Tabusso, esasperata dalla continua presenza di prostitute nel giardino della sua tenuta di collina. Lello, intanto, nei polverosi archivi comunali, scopre che Garrone, ritenuto un architetto fallito, s’era rassegnato a elemosinare lavori all’Ufficio Tecnico per cappelle cimiteriali. Le indagini proseguono tra il rude marmista Zavattaro e la sofisticata galleria d’arte di Vollero, i cui vernissages erano frequentati dal Garrone. In una retata notturna nel giardino della Tabusso, si trovano, oltre a numerose prostitute con i clienti, un impermeabile e una borsa rossa nascosti in un cespuglio. Dal movente economico si passa quindi a quello sessuale, con l’ipotesi del Garrone ucciso da una prostituta dopo una lite.
Venerdì. Santamaria e Lello proseguono le loro indagini parallele. Nel complesso, però, si brancola ancora nel buio!
Sabato. All’affollato mercatino del Balùn, si ritrovano casualmente tutti i sospettati: Anna Carla per comprare un regalo a Santamaria, Massimo Campi per rivedere Lello e troncare la loro stanca relazione, il Vollero per acquistare delle “croste”… e tanti altri ! Proprio nei magazzini del Balùn, un nuovo inaspettato delitto darà modo al commissario Santamaria di trovare gli indizi giusti per venire a capo della vicenda.
Libro divertente, che mi ha stupito per la semplicità della scrittura, la scorrevolezza, la tagliente ironia. L’ho letto tempo fa, ma il ricordo mi lascia ancora una piacevole sensazione. Il finale è parzialmente intuibile, ma solo se siete particolarmente acuti e/o avete preso degli appunti durante la lettura. Ritratto, forse sottovalutato ma certamente da rivalutare, di una Torino-bene che, descritta in modo ironico e volte caustico, prosegue sempre imperturbata la sua vita indifferente, fredda ed elitaria, col suo microcosmo di figure che cercano di trarne, in qualche modo, profitto.
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La cattiva lavandaia non trova mai la buona pietra
Eccola la vera protagonista di questo romanzo, una Torino 'da bere' direi, echeggiando il più famoso slogan milanese, ma a piccoli sorsi, come se fosse un caffè, nero, caldo, intenso, assaporato e gustato con aristocratica eleganza, 'col mignolo alzato'.
Non siamo troppo lontani dalla Milano alla moda degli anni '80, dalla voracità arrivista dei nuovi ceti emergenti, i nuovi ricchi, alimentati dal senso di ottimismo e benessere diffuso che non esclude nessuno, che non è un privilegio per pochi.
Siamo nei primi anni '70, Torino capitale industriale d'Italia, la ricchezza passa dalle case e dalle proprietà dei nobili di un tempo, eredi della gloria sabauda, nelle tasche dei grandi imprenditori Fiat e Olivetti conferendo loro anche quella patina di austera e distaccata sontuosità.
Ma quanto stride, quanto è forte il contrasto tra questa nuova nobiltà e la secolare, immutabile, regale imponenza della città; sembrano invasori, spuntati dal nulla, che incancreniscono ogni palazzo, i portici millenari, le colline, ogni singola arteria della città con le loro contraddizioni, ipocrisie, la vacuità morale ed intellettuale.
Non c'è da meravigliarsi, quindi, se la ricca signora Anna Carla Dosio (moglie poco appagata e molto annoiata di un famoso industriale) ed il suo altrettanto ricco amico di salotto e di chiacchiere Massimo Campi (omosessuale naturalmente) si ritrovano sospettati per l'omicidio del losco architetto Garrone solo perchè costui avrebbe potuto confermare la corretta pronuncia della parola Boston.
Sì, proprio la capitale del Massachusetts, sulla cui pronuncia Anna Carla e Massimo hanno discusso animatamente, litigando persino.
Anzi, ad essere più preciso, la motivazione del diverbio è molto più profonda (...si fa per dire) perchè non si mette in dubbio la corretta pronuncia del termine quanto piuttosto l'atteggiamento intollerabile di chi non lo pronuncia all'italiana, 'Boston', bensì “Baaast’n”:
“Qualsiasi commesso d’abbigliamento, qualsiasi annunciatore della Rai, sa che si dice “Baaast’n”, è fiero di saperlo e lo sfoggia tutte le volte che può” ma “In italiano si dice Boston con tutt’e due gli o, ben rotondi. Fare lo sforzo di mettere insieme il suono “Baaast’n” è un’affettazione ridicola e tu lo sai benissimo”.
E rimane quasi incredulo il commissario Santamaria di fronte a tanta 'frivolezza', persino lui scelto volutamente dai superiori per la sua esperienza nell'ambiente della Torino 'bene', per la conoscenza acquisita negli anni dei loro vizi e stranezze, oltre che ovviamente per la sua riservatezza, fondamentale per evitare uno scandalo.
Ma non mi sembra il caso di aggiungere ulteriori riferimenti alla trama: come già detto, questo romanzo va assaporato come un buon caffè, a piccoli sorsi.
E' un gioiellino, un vero bijou, un capolavoro della narrativa giallistica italiana, sia per l'impostazione 'classica' in cui la trama, seppur rimanendo molto lineare, si ramifica progressivamente con l'introduzione di nuovi personaggi ed indizi che fanno tremare l'indice accusatore del lettore rendendo dubbia l'identità del possibile colpevole, sia per l'impeccabile caratterizzazione dei singoli personaggi.
E definirlo un giallo è estremamente riduttivo, tanto più che alcuni (compreso me) potrebbero anche considerare troppo azzardata la scelta di abbinare la chiave di svolta nelle indagini ad un proverbio in dialetto torinese.
Ma è un dettaglio di poco conto, perchè non è l'assassino che lascia il segno in questo romanzo, non è l'indagine poliziesca, è il mondo che fa da sottofondo, la stupenda carrellata di uomini e donne che vengono ritratti sin nei minimi dettagli, con grande arguzia ed ironia ma soprattutto con stretta aderenza alla realtà di quegli anni; questo romanzo è uno spaccato veritiero e fedele della società torinese a cavallo degli anni 70, peraltro esposto con una scrittura elegante, pulita, mai pomposa o ridondante: di meglio solo il teatro avrebbe potuto fare, o il cinema con la fedele trasposizione diretta dal grande Comencini, il cui successo è stato pari a quello del romanzo.
Da non perdere, assolutamente.
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La donna della domenica.
"La cattiva lavandaia, non trova mai la buona pietra."
Un ottimo giallo che pagina dopo pagina mi ha catturato sempre più.
I due autori sono formidabili nella descrizione "dell'ambiente" bene torinese, nella caratterizzazione dei vari personaggi che costellano la storia calandoci nei loro pensieri e stati d'animo, nella stesura dei dialoghi che appassionano il lettore e facendoci innamorare del bel commissiario Santamaria che grazie al suo colpo di genio risolverà brillantemente il caso.