L'ultima corsa
Letteratura italiana
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
Top 50 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Cronache di omicidi annunciati
Damiano Dettori è un uomo di successo, titolare di una florida impresa e ricchissimo. Nonostante i suoi sessantacinque anni si mantiene in forma fisica perfetta, ma durante la quotidiana seduta di jogging si sente male e muore sulla strada. Si scoprirà che è stato avvelenato dai tossici semi di tasso, proditoriamente aggiunti alla zuppa di farro che consuma ogni sera a cena.
La polizia sospetta della giovane moglie Ambra che lo ha sposato solo per interesse. La donna, anche per scagionarsi, assume l’investigatore Riccardo Conte perché indaghi sulla vicenda.
Riccardo, con l’aiuto delle amiche Stella, psichiatra, e Margherita, insegnante, comincerà a interrogare familiari e domestici. Scoprirà così che Damiano era un despota che imponeva duramente la sua volontà a tutti e che considerava i suoi tre figli di primo letto proprietà personale su cui esercitare la sua indiscussa potestà. Nessuno, tra parenti e dipendenti, era privo di moventi per volerlo vedere morto, ma chi di loro ha effettivamente commesso il delitto?
“L’ultima corsa” vorrebbe essere un giallo in stile tradizionale, tutto incentrato sulle indagini e sull’esame psicologico dei sospetti. Si rivela, però, una storia piuttosto piatta e banale. Non mi attarderò sulla sua credibilità o sulla possibilità che in Italia un investigatore privato possa impicciarsi di un’indagine giudiziaria allo stile di Nero Wolfe. Basti dire che l’ho trovata priva di veri colpi di scena: si regge solo su interminabili dialoghi nei quali i personaggi coinvolti non fanno che ripetere tutti i medesimi concetti, come se si fossero messi d’accordo per fare solo le stesse dichiarazioni o facessero parte di un unico tedioso tormentone. Pirandello ci ha insegnato che ognuno ha il proprio punto di vista e che una medesima vicenda può assumere caratteristiche totalmente diverse a seconda dell’osservatore. Qui invece cambiano le voci, ma la recita non muta.
I caratteri dei singoli, poi, son appena accennati e, spesso, indistinguibili gli uni dagli altri, tanto che, a volte, diviene necessario retrocedere di qualche pagina per rammentarsi chi è che ci parla. Inoltre viene da chiedersi come sia possibile che un giardiniere o una cuoca parlino con lo stesso linguaggio forbito e del medico dermatologo o della psicologa e che nessuno denunci alcuna caratteristica di quell’anima sarda che avrebbe conferito freschezza al racconto.
Anche lo stile, spiace dirlo, è piuttosto acerbo; corretto e fluido sì, ma stenta a catturare l’attenzione del lettore. Gli splendidi luoghi che fanno da sfondo alla vicenda sono appena delineati, mentre ci si attarda in modo pedante sulla descrizione minuziosa dell’aspetto fisico dei personaggi, degli abiti che indossano o degli ambienti in cui si muovono, senza che ciò, purtroppo, conferisca tridimensionalità al contesto.
In definitiva si tratta di un romanzo piuttosto convenzionale che può essere idoneo a un pubblico giovanile, ma che, alla lunga, non diverte, ma, al contrario annoia. Evitabile.