L'esistenza di dio
Letteratura italiana
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 2
Invito alla lettura di Bruno Elpis
Penso che Raul Montanari sia un autore “viscerale”. Lo è anche in altri romanzi che ho letto, ma ne “L’esistenza di Dio” lo è in modo squisito. Mi spiego meglio: è “viscerale” perché le immagini che crea ti entrano dentro e perché trasmette emozioni che penetrano nel profondo. Anche per via dello stile, incalzante e inquietante, e per le tonalità narrative da chiaroscuro.
Della storia mi piace scegliere, su tutti, un episodio: quando i personaggi praticano “il gioco dei desideri e delle paure”. Provate a farlo anche voi, questo gioco, ovviamente con altri, ammesso che ne abbiate il coraggio. Farete o riceverete almeno una rivelazione sconvolgente. Come Adriano, il claustrofobo, che esprime un desiderio elementare: “Vorrei che Dio esistesse”. Scatenando una ridda di sentimenti e riflessioni che fanno dimenticare agli altri la seconda parte del gioco. E nessuno più gli chiede quale sia la sua paura più grande.
Il protagonista è uscito di prigione, ha scontato una pena di cinque anni, e la sua nuova vita subisce continue incursioni: non tanto per via dei ricordi della cattività, quanto per le visioni retrospettive della moglie, deceduta di morte violenta (“Portati in casa una pazza e farà impazzire anche te” è l’incipit del romanzo). Un rapporto d’amore, ancora una volta, viscerale, come pure viscerale è il legame d’amicizia con Carlo: l’amico che tutti vorremmo avere e che, ahinoi, forse non abbiamo. Bellissima un’immagine: mentre Adriano è in carcere, Carlo visita la sua auto parcheggiata e ricoperta da un telo, la spolvera, ne paga l’assicurazione, insomma, la tiene in vita.
L’appartamento di Adriano permane ingombrato dagli scatoloni del trasloco, simboli di un passato che stenta a trovare una ragione per fuoriuscire dal suo involucro. Lì si svolge, come in ogni processo di autocoscienza, la rappresentazione dell’ossessivo senso di colpa per la morte della moglie. Lì viene sciolto un terribile dubbio, quello sulla fedeltà dell’amico, che ha minato gli anni della prigionia. Da lì parte un drammatico epilogo, scandito dai ritmi concitati del “noir”. Anche se è riduttivo costringere il tormento esistenziale di Adriano (o di Raul? O di noi lettori?) nello schematismo di un genere letterario.
Indicazioni utili
Top 10 opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Le illusioni e le speranze
In una Milano primaverile Adriano esce dal carcere dopo una reclusione di cinque anni per avere ucciso la moglie. Si riaffaccia alla vita grazie soprattutto all’amicizia con Carlo, un suo vecchio compagno, ma il destino riserva sempre sorprese e così, in un alternarsi di improvvise memorie e di tempo presente, si snoda una vicenda che vede coinvolto il protagonista, suo malgrado, in un dramma che nelle pagine finali raggiunge l’apice della tragedia.
Ma sarebbe riduttivo limitarsi a questi scarni dati se non aggiungessi che nell’intreccio entra anche un particolare personaggio, Bruno, figlio di un boss, conosciuto in carcere e che Adriano ha salvato da una violenza sessuale.
Si snodano così due amicizie apparentemente solo simili, in quanto appartenenti a mondi diversi, perché con Carlo è un rapporto di reciproca riconoscenza, mentre con Bruno obbedisce alle ataviche regole dalla malavita, a un codice d’onore in cui ogni aiuto disinteressato finisce con il creare l’obbligo di ripagarlo.
In questi due mondi antitetici si muove, suo malgrado, Adriano, cercando sempre di restare in quello originario, ma costretto poi a piombare nell’altro nel momento in cui Carlo, mosso dal bisogno, commetterà un’imperdonabile sciocchezza.
Narrata così la storia può sembrare poca cosa, ma data la natura noir del romanzo volutamente non aggiungo altro per non togliere al lettore il piacere della scoperta.
Quindi mi limiterò ad alcune annotazioni di ciò che mi ha particolarmente colpito e che poco ha a che fare con il genere noir, per quanto la scrittura di Raul Montanari mi sia apparsa sicura, lineare, senza sbavature, riuscendo a tenere saldo il ritmo della vicenda che, come ho scritto prima, raggiunge la tragedia nel finale, secondo un copione che un po’ mi ricorda Carlito’s Whay, il bellissimo film di Brian De Palma.
Ci sono alcune righe di introduzione dove si fa un distinguo fra illusioni e speranze, due concetti che si assomigliano, ma non sono uguali. Le prime fanno parte del passato, mentre le speranze guardano al futuro, e i contrari sono rispettivamente le delusioni e le disperazioni, in cui le prime finiscono per essere esperienze amare, ma salutari, mentre le seconde sono la resa totale, o meglio ancora, come dice l’autore, sono l’unico peccato per il quale non c’è perdono, né in terra né in cielo.
Ecco, in questa disquisizione c’è tutto il nocciolo dell’opera e si arriva anche a comprendere il perché dello strano titolo: chi vive di illusioni finisce per le sue disgrazie con il prendersela con Dio (Dio perché mi hai fatto questo?). Ma con le illusioni non si cresce, perché non hanno futuro, a differenza delle speranze, e il gesto finale di Adriano è una speranza, in un mondo migliore, dove tutti i suoi affetti possano vivere, magari anche nel suo ricordo.
La forza del romanzo sta soprattutto negli inevitabili contrasti fra i sentimenti, nella difficile scelta fra ciò che è bene e male, nel desiderio di espiare effettivamente sublimando i concetti di amicizia e di amore con il sacrificio, una tendenza all’assoluto, di fatto un una ricerca dell’esistenza di Dio.
Ma ci sono anche curiosità, parentesi che di fatto sono riflessioni volte a stemperare in alcuni momenti la tensione della trama come per esempio la dissertazione su ciò che sono effettivamente gli psicanalisti, questa fra l’altro per certi versi spassosa.
Nel complesso, L’esistenza di dio finisce con il travalicare i canoni del noir classico, affrontando tematiche che quasi sommergono la trama, ma che riescono a dare al romanzo un’impronta che lo nobilita e che con convinzione mi induce a raccomandarne vivamente la lettura.