L'erede del tempo
Letteratura italiana
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Un altro don Matteo!
“L’erede del tempo” di Franco Scaglia s’incentra sulla figura dell’archeologo francescano Matteo, che a Gerusalemme porta le vesti di “custode di Terra Santa” e che, sul piano investigativo, crede nella teoria degli specchi (“Il gioco può continuare con lo specchio successivo nel quale si riflette il primo specchio e così via… Gli specchi ti stanno ingannando, si prendono gioco di te e sono riusciti ad allontanarti dalla verità…”).
Matteo è deluso dalle vicende umane che in Terra Santa trovano vistose, tormentate manifestazioni. Così “Matteo… dopo aver riunito in refettorio i confratelli, comunicò loro che si dimetteva dall’incarico di Custode di Terra Santa.”
Nella prima parte del romanzo (“Gerusalemme: la cerimonia degli addii”) il francescano saluta gli amici, eterogenei per cultura e religione: tra di loro vi è Tobia, spia del Mossad, grazie al quale conosce l’ambiguo generale Haki. Tra gli amici da congedare, c’è anche il rabbino Shlomo, impegnato nella ricerca di musiche composte dai deportati ebrei. Costui, dapprima subisce un furto (“Il ladro aveva rubato un solo spartito che conteneva una sinfonia incompiuta di Camondo”), poi viene assassinato (“Conosco solo una persona che usa la lama a quel modo, dal basso verso l’alto e con chirurgica precisione”).
Ma Matteo non ritratta la sua decisione di lasciare la Palestina e ripara a Roma, dall’amico Padovani, gestore di teatro, che ha organizzato il concerto delle musiche dell’ebrea deportata Fanny Camondo.
Infine, che ruolo hanno le allusioni al traffico illecito dell’avorio (“Nel Borneo… vidi una scena straziante, un elefantino era rimasto accanto alla madre… incapace di accettarne la morte”)?
Il romanzo appartiene al filone del thriller storico-religioso, ma rispetto alle clonazioni di Dan Brown propone interessanti meditazioni, oltre a ventilare l’ipotesi che Gesù abbia lasciato documenti manoscritti (“Le lettere originali di Gesù al re Abgar di Edessa”), che sarebbero rilevantissimi per una ricostruzione storica della figura del Messia. L’ambientazione palestinese è affascinante e ripropone concetti e termini - come intifadah, sharia e inshallah – divenuti tristemente familiari.
In alcuni punti, il romanzo soffre di macchinosità eccessiva, che talvolta disorienta il lettore, specialmente quello più interessato all’intrigo romanzesco.
Bruno Elpis