Intrigo italiano
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
De Luca.
Bologna. Il corpo di Mantovani Stefania in Cresca, classe 23 agosto 1922, viene rinvenuto privo di vita nell’appartamento usato dal marito, Mario, per le serate da scorribande con amici e “amiche”. Del caso viene investito l’ex commissario De Luca, il quale partito da Roma, si ritrova a lavorare per i servizi e a dirimere un mistero molto più oscuro ed intricato di quel che potevasi pensare ab initio.
Di fatto, il poliziotto, si riscopre di fronte un delitto non isolato, un omicidio – e non un suicidio come potevasi pensare – cioè, collegato ad altri decessi le cui indagini sono state archiviate con inspiegabile rapidità. Ma chi aveva interesse a far cadere nell’oblio dette morti? Qual è inoltre il ruolo di quella voce tanto suadente quanto roca e profonda di Claudia/Franca, personaggio femminile tanto affascinante quanto enigmatico? E quello del Fiorentino Giannino? Può davvero fidarsi, De Luca, di questo ragazzone-ragazzino, manipolato e sfruttato dai servizi eppure furbo e con gli scrupoli morali e l’allegria di un bambino che frigge di fronte ad un giocattolo nuovo?
Con “Intrigo italiano. Il ritorno del Commissario De Luca”, Carlo Lucarelli dà vita ad un giallo sottile, lineare privo di particolari colpi di scena e dall’epilogo intuibile, ma al tempo stesso accattivante e fluente. L’autore, infatti, ben mixa le componenti storiche con quelle del caso che, snodandosi negli anni ’50, è munito di tutte le caratteristiche necessarie per rendere concrete le vicende e permettere al lettore di sentirsi parte integrante di quella fase. Sulla scia del periodo Fascista, giunto a conclusione ma non ancora dimenticato e per questo oggetto di reminescenze su chi per ragioni di sopravvivenza non aveva potuto sottrarsi dal farne parte, De Luca in primis, e sulla scia della guerra Fredda, ove spie russe si connubiano perfettamente con quelle americane ed italiane, i fatti si faranno sempre più incalzanti per risolversi ,infine, in quello che è un vero e proprio intrigo tutto italiano.
Stilisticamente la penna di Lucarelli non delude risultando essere munita di quella verve magnetica che gli è propria. Lo scrittore riesce inoltre a dar vita ad un testo che è perfettamente leggibile da tutti, tanto da chi conosce dell’ex commissario, quanto da chi vi viene in contatto per la prima volta
In conclusione, non indimenticabile ma certamente da leggere. Una buona prova.
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Le ambiguità di un particolare momento storico.
Il bravo commissario De Luca ritorna in questo giallo di Carlo Lucarelli: colpevole di aver militato nella polizia politica fascista e di aver indagato troppo sulla morte di un noto Onorevole democristiano dopo la fine della guerra mondiale (vedi “La via delle Oche” dello stesso autore), è ricattato, processato e sospeso dal servizio. Riprenderà dopo alcuni anni, confinato, sotto falso nome, ai Servizi segreti per la sua abilità investigativa. Deve trovare l’assassino della moglie di un famosissimo scienziato, il professor Mario Cresca, eliminato dagli stessi Servizi in un “combinato” incidente d’auto contro un camion, per timore che passasse ai russi dati riservati. Ma Stefania, la moglie, affogata in una vasca da bagno, chi l’ha fatta fuori? Questo deve ad ogni costo scoprire De Luca, da bravo “cane da tartufo”, come viene definito dai suoi superiori (“… vedi De Luca, per fare lo sbirro ci vuole un cuore di cane, ma di razza diversa. Ci sono i questurini comuni che hanno un cuore di cane da guardia, ci sono quelli della Mobile che ne hanno uno di cane da caccia. Tu sei cane da tartufo, ragazzo mio …”).
E De Luca indaga, in una Bologna invernale, resa vivibile da osterie accoglienti e da locali dove le canzonette dell’epoca si fondono con i primi ritmi jazz, sempre controllato e sorvegliato con discrezione, in ambienti nei quali non sai mai distinguere chi ti è amico da chi ti è ostile e segue ogni tuo movimento. E’ veramente un intrigo, molto intricato ma nel contempo intrigante: suscita la curiosità di chi legge, ma talvolta si perde il filo del racconto, navigando tra certezze e sospetti. I Servizi segreti vanno per le spicce: in nome del “bene supremo dello Stato” e nel timore di pericolose invadenze dei sovietici, sempre con un occhio nostalgico al passato, hanno assoldato un ex SS per i lavori sporchi e le soluzioni terminali. C’è anche spazio per una delicata storia d’amore tra De Luca ed una cantante di musica jazz, un’italiana nata all’Asmara, che ha fatto la lotta partigiana e che ricorda molto la bell’abissina di “Via delle Oche” dello stesso autore. Il povero De Luca rischia anche di essere eliminato, in un incidente d’auto combinato, perché sa troppe cose: ma sembra essere un errore, forse un avvertimento, sembrano scusarsi i Servizi segreti, perché non tutto può filare sempre in modo perfetto. Durante il ricovero ospedaliero, lo assiste un vecchio collega, Pugliese, allontanato dalle indagini romane sul famoso caso Wilma Montesi, forse per essersi avvicinato pericolosamente ad una verità imbarazzante. Ma, tornando all’indagine affidata a De Luca, la signora Stefania chi l’ha ammazzata? Questo caso doveva risolvere De Luca e questo caso, a modo suo, riesce a risolvere: il colpevole ovviamente c’è, ma non è mai stato neppure lontanamente sospettato. Solo un abile “cane da tartufo” come De Luca scopre un’imprevedibile verità: un colpo di scena veramente magistrale di Lucarelli, che mette però nei guai De Luca. Il nostro ex commissario è venuto a conoscenza di troppi segreti e teme per la propria incolumità: alla fine, promette di tacere, ma vorrebbe, in cambio, essere reintegrato nella Mobile.
E’ solo una traccia dell’intrigo, che ha molte sfaccettature e, come sfondo, una Bologna fredda ed innevata: siamo tra dicembre 1953 e gennaio 1954, l’Italia si sta risollevando dalle rovine della guerra, tra il boom economico e le incertezze di una guerra fredda sempre più evidenti, complicate da un calo notevole di consensi per il partito dominante, la Democrazia Cristiana. Lucarelli sa cogliere il momento particolare del Paese, interpreta le ambiguità di un’Italia divisa tra fazioni opposte e narra vicende che sottolineano bene le incertezze e le storture del particolare momento storico.
Lo stile è come di consueto scarno, essenziale, senza inutili fronzoli e divagazioni. Il giudizio non ottimale sul contenuto e la piacevolezza risente della difficoltà per il lettore di seguire una trama complessa, costellata da eventi a volte forzati ai limiti della credibilità. Interessante l’idea di far precedere i vari capitoli da titoli e notizie dei giornali e dei periodici più popolari dell’epoca.
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L'imperfezione gestibile
Giallo italiano, ambientato nella Bologna degli anni ’50, con un’ampia prima parte che descrive i fatti prima di un certo incidente ed una più ridotta seconda parte, a mio avviso ancora migliore, con il racconto dei fatti post-incidente, nonché con la conclusione dell’indagine. Storia vivace nell’esposizione e molto originale nei contenuti. Con un personaggio protagonista che riveste un ruolo enigmatico, fino all’ultima pagina, direi parola, e che si rivela essere un vero cane da caccia. Con personaggi minori che sono altrettanto delle vere sagome, perché due persone fanno sempre più sbirro di una e perché l’accoppiata poliziotto buono e poliziotto cattivo non è solo un cliché americano. Con uno stile spontaneo e fluido, arricchito in diversi punti, nei dialoghi, di simpatiche espressioni ed esternazioni, anche dialettali. Con una spiegazione dei fatti che fa davvero capire che, con un delitto imperfetto, è comunque possibile costruire un’indagine perfetta, anche scegliendo il colpevole. Colpevole o meno che sia. E fra rane fritte, rane in umido, pesce gatto e bomboloni, un finale che davvero non ti aspetti.
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Delitto imperfetto in una indagine perfetta
Carlo Lucarelli, dopo Carta bianca del 1990, L’estate torbida del 1991 e Via delle Oche del 1996, torna in libreria con Intrigo italiano, il cui protagonista è uno dei poliziotti più amati dai lettori: il commissario De Luca. Chi è costui? Da un funzionario dei Servizi viene definito così: “Vedi, De Luca, per fare lo sbirro ci vuole un cuore di cane, ma di razza diversa. Ci sono i questurini comuni che hanno un cuore di cane che hanno un cuore di cane da guardia e ci sono quelli della Mobile che ne hanno uno di cane da caccia. Tu sei un cane da tartufo, ragazzo mio. Ecco, per quelli come noi, invece, ci vuole un cuore di cane bastardo.” Come giustificare simili parole? Siamo a Bologna, nel periodo tra la fine del ’53 e l’inizio del ’54, ed è stata trovata uccisa la signora Fresca, moglie di un professore universitario, anche lui deceduto qualche mese prima, in uno “strano ed ambiguo”incidente. Il comm. De Luca è chiamato a dipanare la fitta nebbia che avvolge le indagini, pur essendo sotto copertura, perché è stato ligio al dovere ed attivo in periodo fascista, ed ora è in prestito ai Servizi. Ma qualcosa non torna. Troppo. Apparentemente sembra un giallo dal taglio classico, con indizi, tracce, impronte, orari. Così l’indagine poliziesca diviene strumento indispensabile per comprendere e per svelare gli enigmi del passato, remoto o recente che sia. Ecco allora “l’imperfezione gestibile. Se gestiti bene tutti quei dettagli che non tornano trasformano un delitto imperfetto in una indagine perfetta.”
Essendo De Luca un “poliziotto”, un poliziotto deve cercare “la verità” ad ogni costo, scontrandosi certamente con gli orientamenti politici che detengono il potere in quel momento. Che per Lucarelli sono i fascisti in Carta bianca, i comunisti in Estate torbida, i democristiani in Intrigo italiano e Via delle Oche. Nessuno è pulito: il potere è in ogni caso corrotto, qualunque sia il colore dietro cui si nasconde. Logica conseguenza: i depistaggi, le inevitabili morti, necessarie, come afferma sempre lo stesso funzionario, “al bene supremo dello Stato.” E pazienza se ci va di mezzo, addirittura, un innocente come il nipotino del professore universitario. E’ una denuncia palese dei complotti politici e delle lotte di potere, mascherata con l’ausilio delle indagini.
La trama poliziesca dona vita e Sangue alla Storia, mentre quest’ultima offre lo sfondo perfetto per il palcoscenico su cui recitano gli attori del dramma. Non dimentichiamo che siamo nel periodo della Guerra Fredda, in cui “cane mangia cane”, in cui la vita spesso dipende da quanto si può servire, “perché si è scelti perché si è utili.” E la sopravvivenza umana dipende da ciò.
Una scrittura pacata, a tratti malinconica.
Un bellissimo libro, fine indagatore dei misteri irrisolti della Storia italiana
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Una nuova identità per il commissario De Luca
Siamo a Bologna. L’anno è il 1953, quello della morte di Stalin, del maccartismo negli Usa e del governo di Giuseppe Pella. La guerra è finita e l’Italia ha da poco intrapreso il cammino della democrazia. In questo mondo profondamente trasformato la società italiana cerca di ricostruire la propria identità, dandosi magari un’aria più spensierata, in sintonia con un consumismo che il boom economico sta facendo scoprire. Ma dietro i sorrisi delle reclame sulle riviste patinate e tra le canzoni del festival di Sanremo si annidano i fantasmi di un’altra guerra, “fredda” sì, ma non meno spietata.
Anche il commissario De Luca sembra faticare nel ritrovare la propria identità. Tanto che si fa chiamare anche con un altro nome. Perché ora si è messo a fare la “barba finta”, la spia, in quel proliferare di servizi segreti deviati che segnò il miracolo economico italiano. Non ha capito bene neanche il nome dell’ufficio per il quale indaga sotto copertura, «ma quando gli proposero di collaborare con loro, in incognito, senza credenziali ufficiali e sotto copertura, per risolvere un caso di omicidio, De Luca disse Sì, e lo ripeté, Sì, con la testa e con la voce ».
Una donna della borghesia bolognese, fresca vedova di un brillante professore di fisica, viene trovata affogata nella vasca del pied-a-terre del suo defunto marito. Sullo sfondo la Bologna delle jazz band di universitari esistenzialisti figli di papà, ma anche quella delle orchestrine che suonano la filuzzi nei dopolavori ferroviari. E accanto a questo, un altro enigma consuma il protagonista: una giovane donna, un po’ italiana, un po’ abissina, che canta il jazz ma anche Bella ciao, che alcuni chiamano Franca, ma lei si presenta come Claudia.
Certo a De Luca qualche scrupolo viene, soprattutto quando scopre di che cosa siano capaci i suoi nuovi colleghi; ma nonostante tutto ha una certezza: «Faceva soltanto il suo mestiere. Un altro ufficio, altra gente, altri compiti, altre mansioni, lui no, lui faceva solo il suo mestiere. Neanche dovere, che comporta comunque un’adesione, il suo mestiere […] Sarebbe andato in giro per Bologna, anche di notte, a fiutare le strade come un cane da caccia».