Il vizio della solitudine
Letteratura italiana
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Recensione della Redazione QLibri
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Il noir come metafora della vita
“Il giallo, la detective story è la testimonianza commovente che il mondo sia un posto decente dove vivere. L’ordine del mondo viene rotto da un omicidio? Niente paura, arriva il detective e scopre il colpevole. Al contrario, il vero noir è l’esplorazione del mondo visto come un labirinto caotico al quale il protagonista, che è spesso un criminale, cerca di imporre un ordine parziale. Il noir assomiglia alla vita.” Con queste parole, che delineano un preciso quanto giusto distinguo tra i due generi letterari, il giallo e il noir, Raul Montanari ha introdotto su Il Fatto Quotidiano del 7 maggio 2021 una breve presentazione del suo ultimo romanzo “Il vizio della solitudine”.
Come sempre nelle sue opere Montanari affronta temi tanto attuali quanto problematici, attraverso storie che per la loro dinamicità risultano avvincenti e interessanti.
Qui il tema centrale è sicuramente la discrasia che si rivela fin troppo spesso tra la legge voluta dal legislatore e il concetto di giustizia. Approfondire l’argomento implicherebbe necessariamente valutazioni di tipo politico, poiché nella nostra società non esiste un’univoca opinione sulla materia. Non si può tuttavia negare che troppo spesso la legge si presta a interpretazioni contrastanti o viene applicata con minore o maggiore rigore. È dunque su questa base che si muovono i protagonisti de “Il vizio della solitudine”, i quali rifuggendo dall’idea di lasciare impuniti alcuni tra i più biechi criminali che in qualche modo hanno evitato una giusta pena per i crimini commessi, si ergono essi stessi a giudici arbitrari, con l’illusione di fare giustizia. Ma, ovviamente, è lo stesso concetto di giustizia arbitraria che è inaccettabile in un paese democratico, ed è in fondo questa stessa consapevolezza che rende difficile la vita all’ispettore Ennio Guarnieri, che si ritrova infine impigliato in una rete da cui gli riesce difficile districarsi. Il senso di colpa emerge inevitabilmente e induce l’ispettore a parlarne con un sacerdote, il quale confessa di non sapere cosa Dio pensi dei crimini degli uomini, egli sente che il suo compito è solo quello di riconciliare i peccatori con se stessi.
Siamo dunque di fronte a una storia di solitudine, la stessa solitudine che spesso affligge l’uomo contemporaneo, incapace di scelte coraggiose che aprano il suo animo al mondo esterno con disponibilità e tolleranza.
Temi forti e impegnativi in una trama scorrevole, un romanzo avvincente.
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"La giustizia è una cosa, la legge è un'altra"
Molti sono gli scrittori che hanno affondato gli artigli nelle pieghe della giustizia, mettendone in luce limiti, errori, ossessioni. La vita appare allora come un susseguirsi di eventi beffardi e cause gratuite che conducono implacabilmente a una giustizia ingiusta, il cui nemico può assumere addirittura le sembianze della legge stessa.
È proprio la terra grigia e melmosa che separa legge e giustizia lo spazio narrativo in cui si muove Ennio Guarneri, protagonista di questo splendido noir. Ex ispettore cinquantenne dalla vita solitaria, Ennio in polizia ha imparato a far rispettare la legge ma anche, qualche volta, ad agire contro di essa. Interventi fuori dai binari, per “sistemare” quei delinquenti rimasti impuniti davanti al tribunale e lasciati liberi di continuare i propri comodi. Interventi a protezione delle vittime, sempre in nome della giustizia. Interventi che qualche anno prima gli sono costati il posto di lavoro.
Di fronte ad alcuni macroscopici esempi di giustizia ingiusta, sarebbe facile pensare che chi interviene faccia addirittura bene, ma se si comincia ad ammettere questo diritto, il passo successivo sarebbe accettare un tribunale segreto capace di condannare a morte, accettare la violenza estrema se accompagnata da buona coscienza, accettare l’omicidio. Questi sono gli interrogativi che si pongono sulla strada di Ennio, innescati da una passeggiata solitaria lungo il Ticino dagli effetti feroci e inarrestabili. Questi sono gli interrogativi a cui ciascun lettore è chiamato a rispondere.
A fare da contraltare alla durezza dei dilemmi etici c’è la penna di Montanari, limpida, fluida e magnetica come sempre. Con il suo stile inconfondibile, capace di trascinare con una facilità disarmante nel cuore della storia e dei personaggi, l’autore ci accompagna in un viaggio dalle tinte noir, dove la dimensione esistenziale ha sempre il sopravvento rispetto a quella investigativa. Eppure, terminata l’ultima riga, mi è rimasta sulla pelle una patina di grigiore e malinconia ed è per questo che, a mio gusto, non considero probabilmente questo romanzo tra i più riusciti dell’autore. In ogni caso è una lettura che consiglierei certamente agli amanti nel noir, e non solo.
“E così ora quella che mi rimane è la mia solitudine da coltivare come se fosse un vizio, una scelta. Cos’altro è, in fondo?”
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Legge e giustizia
Ennio Guarnieri ha 50 anni e fa il poliziotto, nel tempo libero, assieme ad un paio di colleghi regola i conti che la giustizia lascia in sospeso per cavilli procedurali o errori vari: va a prendere i colpevoli che l'hanno scampata e applica un suo personale concetto di giustizia a suon di botte, fino a che non picchia la persona sbagliata e questo gli costa l'allontanamento dalla polizia . Separato, senza una famiglia, senza più un lavoro ma anche senza incombenze economiche decide di dedicare del tempo a se stesso andando a lezione dalla vecchia maestra delle elementari come se dovesse prendere di nuovo il diploma elementare, scoprirà cose ormai dimenticate della geografia, della storia ma soprattutto di se stesso. Si diletta a fare passeggiate in campagna e durante una di queste assiste a quella che gli pare un'esecuzione, il suo istinto di poliziotto lo spinge ad intervenire e nel conflitto a fuoco con l'uomo armato lo uccide per difendersi. La potenziale vittima si dilegua rapidamente e Ennio , non volendo più avere contatti con gli ex colleghi della polizia , approfitta dell'assenza di testimoni per dileguarsi a sua volta.
Qualche giorno dopo però riceve la visita di un bizzarro personaggio a metà strada tra un killer e il tenente Colombo , che sa molto di lui e pur non essendo presente ha capito esattamente la dinamica di quanto accaduto nel bosco.
Questo, presentandosi come Ric Velardi, gli spiega che purtroppo l'uomo ucciso è il fratello del capo di un'organizzazione criminale che da la caccia agli scafisti per eliminarli in una sorta di vendetta verso chi sfrutta e illude la povera gente spostandola semplicemente da un inferno ad un altro con la promessa di un domani che non esiste nella realtà.
Ric racconta ad Ennio di aver interceduto presso il capo, che avrebbe voluto eliminarlo , convincendolo ad utilizzare Ennio come loro killer di scafisti in una sorta di riscatto per la vita tolta al fratello, se Ennio rifiuta la sua fine è scontata.
Ennio passa giorni tormentati, nei quali trova il tempo per innamorarsi della giovane che consegna "lotta comunista" porta a porta, quello che gli viene chiesto va contro i suoi valori ma al tempo stesso riaccende le braci del contrasto sempre presente in lui : quello tra legge e giustizia.
Si può fare giustizia senza legge ? E quando la legge non è sinonimo di giustizia è giusto scegliere quale strada prendere senza rimpianti ? La terribile minaccia che pende sul suo capo aiuta Ennio a propendere per accettare l'incarico , dandosi la spiegazione che in fondo uccidere degli scafisti è un atto di giustizia contro gentaglia che sfrutta e uccide della povera gente, saranno le persone intorno a lui , in particolare la giovane Greta inorridita alla scoperta della verità, a portarlo a riconsiderare quanto gli viene chiesto come un atto vile del quale è lui stesso un prigioniero, un prigioniero che non è migliore dei carcerieri.
E allora Ennio dovrà giocare una partita difficile con un alleato insospettabile per uscirne vivo e liberarsi da questo obbligo.
Bel noir con spunti interessanti.
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Ognuno sta solo sul cuor della terra
Questo è un romanzo attuale, moderno, ci parla del comune sentimento della giustizia, un sentimento elementare, innato in ciascuno di noi, e di come ognuno la sente nel proprio animo, quale pensa sarebbe il modo più equo e giusto per applicarla, senza però considerare che la giustizia è tale solo se rispetta la legge. Troppo spesso ci accade davanti ad una palese ingiustizia di sentirci beffati dall’applicazione della legge, che non provvede a rimettere le cose a posto come equità vorrebbe, allora ti senti prudere le mani, vorresti procedere da solo ed in maniera esemplare a ristabilire la correttezza dei fatti, ma non si può, resteresti beffato due volte perché quella stessa legge finirebbe per rivolgerti contro, aggiungendo ingiustizia ad ingiustizia.
Quindi, spesso legge e giustizia non coincidono, ma sono in aperto contrasto tra loro, ma a ben pensarci è la vita stessa che è così, non esiste il Bene ed il Male in assoluto rigorosamente distinti, ma esistono piuttosto infinite sfumature di toni dall’uno all’altro dei due estremi.
Raoul Montanari va però oltre, non ci offre un trattato su queste distinzioni, piuttosto un racconto veloce, rapido, avvincente, ben scritto con uno stile concreto e creativo ad un tempo, che delinea praticamente le differenze di cui sopra, ci fa leggere una storia vera, concreta, pragmatica, ben scritta che enfatizza il paradosso della convivenza civile, dove quello che è equo può non essere lecito, e viceversa, e lo fa riportandoci una certa realtà italiana, nascosta e relegata ai margini, che talora sfugge ai più, o viene poco considerata nel profondo come se ipocritamente fingessimo di non vedere, quasi non appartenesse al nostro tempo.
Perché tutti noi comuni mortali, per indole, siamo portati a pensare alla legge, alla giustizia, alla violenza, agli scontri a fuoco come un evento lontano dalla nostra quotidianità, che non ci riguarda, non ci appartiene e neanche ci compete, tutto quello che sappiamo in proposito ci viene dal cinema e dalla televisione, normalmente non ci tocca se abbiamo la buona sorte di non esserne mai coinvolti.
Raul Montanari ci presenta una vicenda normale, per certi versi, all’apparenza del tutto normale soprattutto per il protagonista coinvolto, l’ex poliziotto Ennio Guarnieri, perché fa parte del suo vissuto, della sua esperienza, Guarnieri è un uomo che sa benissimo che la realtà non è romanzesca, è verosimile, fortemente cruda, conosce come è davvero nei fatti il crimine, con i suoi connotati di violenza, tanto diffusa e facile da usare, quanto assurda e foriera di tragiche complicanze.
Che coinvolgono legge e giustizia in pari e discordante misura.
Fatti i dovuti distinguo, questo è un romanzo hard boiled, come le storie d’oltreoceano che vedono protagonisti personaggi notissimi per gli appassionati del genere, come il Sam Spade di Hammett o il Philip Marlowe di Chandler, gente che va per le spicce, non guardano tanto per il sottile, reagiscono duramente e d’istinto nell’esercizio del loro mestiere, e quindi nelle loro storie non mancano mai violenza e scontri a fuoco.
Il caratteristico detective hard boiled ha, difatti, un atteggiamento da "duro", ed effettivamente lo è, una durezza necessaria per cavarsela in ambienti dove disperazione e sopraffazione vanno di pari passo. Solo che la nostra storia è ambientata in Italia, trattasi di un hard boiled all’italiana, quindi.
In verità, “Il vizio della solitudine” di Raoul Montanari sarà pure un romanzo noir o un hard boiled, ma prima di ogni altra cosa è il racconto della vicenda umana di un comune ex poliziotto, un giovane entrato nelle file delle forze dell’ordine quasi per caso, e nell’esercizio delle sue funzioni si è reso conto di quanto possa essere difficile e paradossale la vita, come possa usualmente ritrovarsi completamente solo un poliziotto che desidera semplicemente fare bene il suo lavoro al servizio della collettività. Ennio Guarneri è entrato in Polizia quasi in punta di piedi, ed è stato un operativo per anni, per le strade, sulle volanti, a contatto con la malavita di ogni livello e con le mille incombenze con cui deve scontrarsi un uomo in divisa al servizio della collettività.
Giunge fino al grado di ispettore, ma già dai primissimi tempi in servizio impara, con amarezza e a sue spese, come spesso accade, che per quanto lui sia un esponente delle forze dell’ordine a cui spetta di far rispettare le leggi, esiste una differenza fondamentale tra legge e giustizia.
Le due cose non coincidono mai, praticamente, rispettare pedissequamente una legge non significa necessariamente essere nel giusto, quasi mai le vittime di una trasgressione giuridica ricevono giustizia, un delinquente abituale può continuare impunemente a delinquere anche se già consegnato alla giustizia, perché la legge stessa gli ha permesso di utilizzare un cavillo giuridico cui appellarsi per essere rilasciato senza che venga fatta giustizia, e via così.
Cose note, è un dilemma antico questo non sovrapporsi perfettamente l’una sull’altra di legge e giustizia, e i primi a saperlo, perché lo vivono a loro spese, sono proprio gli operatori addetti.
I poliziotti sono uomini come tutti, hanno per indole e per etica professionale un’anima onesta, leale, specchiata, sono però loro malgrado testimoni di ingiustizie quotidianamente, a cui le leggi non sanno porre rimedio. È semplicemente umano che questi fatti li scandalizzano, creino frustrazioni, indignano loro per primi, cercano di porvi rimedio in qualche modo, sempre tenendo presente che non ci si può improvvisare giustizieri, è un reato grave farsi giustizia da soli, oltre certi limiti non si può andare, non fosse altro che per la salvaguardia del loro posto di lavoro.
Tuttavia, in certi casi, è altrettanto umano sbottare, i cavalli scappano, la pazienza si esaurisce, la rabbia ha il sopravvento, occorre reagire, ripristinare in qualche modo un minimo di equità dove la legge e la giustizia non arrivano.
Per cui Ennio insieme ai fidatissimi amici e componenti del suo nucleo operativo, si premura di fornire fuori servizio a infimi delinquenti una lezione di buone maniere, a futura memoria.
Niente di drammatico, nessuna esecuzione stile giustiziere della notte, ma una sana scarica di botte che rende edotto il convenuto, per esempio uno spacciatore uso a farsi pagare brutalmente in natura dalle clienti minorenni, spaurite e terrorizzate, che forse è il caso di non reiterare l’insana abitudine. Come dire, fare un tagliando ad una vecchia autovettura, cosicché almeno per un po' di tempo fili diritto. Senonché un giorno Ennio, malgrado il parere contrario dei suoi colleghi di lavoro e di meccanici d’ autofficina fuori servizio, fa un tagliando a chi non doveva fare, il solito pusillanime ma con babbo mammasantissima e inviperito che gode di amicizie altolocate, con le conseguenze del caso che lo portano a dover lasciare il servizio.
Ennio Guarneri si trova così nel mezzo del cammino della sua vita completamente solo, non è riuscito a formarsi una famiglia, non ha più il lavoro che lo teneva occupato e dava un senso alla sua esistenza, trascorre le sue giornate in casa tenendosi splendidamente in forma fino a stordirsi con gli attrezzi ginnici, è affetto da un vizio della solitudine che però non gli pesa oltre una certa misura, vive la sua vita al meglio che gli riesce, con ordine, con disciplina, non a caso la sua abitazione è sempre a posto, pulita, spartana e in ordine come una caserma. Ha compiuto le sue scelte di vita, ne prende atto, non è tipo da crogiolarsi o autocommiserarsi, è un uomo con la sua umanità, la durezza che l’avvolge come un sudario altro non è che l’abito indispensabile per poter giostrare in certe indispensabili situazioni.
Raoul Montanari nella descrizione maniacale del suo personaggio, non ne fa un uomo vittima di solitudine, ma crea un eroe viziato dalla solitudine perché questa è la condizione degli eroi.
Lo scrittore è un maestro di creatività, ha fatto di Ennio Guarnieri come dire il protagonista di una poesia di Camillo Sbarbaro, tanto per intenderci, l’ex ispettore ha vissuto normalmente, conta amici, amori, colleghi, sconta le conseguenze delle sue scelte con dignità, la sua vita rispecchia la rassegnazione per come sono andate le cose, ma non sta a rimuginarci sopra più di tanto, la sera si stende nel suo letto sapendo che poteva andargli peggio e invece del letto ritrovarsi in una bara, riposa senza incubi, gode quanto può godere della vita, anche del semplice piacere di una passeggiata solitaria tra la boscaglia sulle sponde del Ticino.
Proprio durante uno di questi giri, la sua vita cambia radicalmente, e d’improvviso, come sempre succede. Assiste per caso ad una esecuzione tra malavitosi; d’istinto interviene, viene sfiorato da un proiettile, risponde rapido al fuoco per difendersi, e uccide il killer.
Mal gliene incoglie; l’uomo che ha ucciso è certo un malavitoso, ma è soprattutto, per ironia della sorte, una specie di buono, un aggregato ad una setta di giustizieri, manco a farlo apposta. Montanari rende attuale la storia introducendovi una realtà tanto triste quanto attuale, quella della tratta dei migranti. Perché i poveri disgraziati che si avventurano per mare a cercare fortuna altrove, sono come è risaputo vittime prima ancora di essere migranti, sono vessati, derubati, sfruttati, torturati dalla spregevole progenie degli scafisti. Contro costoro è sorta una associazione di vendicatori, persone a loro volta violente e brutali proprio perché sopravvissuti che si premurano di punire con la morte coloro che sono stati i loro primi aguzzini e persecutori. Ennio disgraziatamente ha ucciso, per pura autodifesa, uno di questi vendicatori, tra l’altro fratello di un capo, quindi condannato a sua volta a meno che non accetti di essere arruolato come killer, assai prezioso perché di razza bianca, non esistono infatti migranti ansiosi di vendetta di pelle chiara, per cui non darebbe adito a sospetto mentre avvicina gli scafisti da eleminare. Le cose andranno poi in un certo modo nel proseguo del libro, Raul Montanari ce lo racconta in maniera chiara, fluida, scorrevole, ha uno stile di scrittura cinematografico, le azioni si susseguono sulla carta come fotogrammi di un film, con in sottofondo, per colonna sonora, non il rumore degli spari o l’ululato delle sirene, ma il pensiero del protagonista.
Un pensiero che oscilla tra il giusto ed il lecito, l’iniquo ed il sotterfugio, l’incontro con la sua antica maestra delle elementari, con il ricordo di quando era uno scolaro con i sogni e i desideri di un qualsiasi bambino, il riscoprire l’amore ed il desiderio con una giovane simpatizzante della sinistra, il tutto al confronto della realtà attuale che sta vivendo, tra sangue, violenze e vendette, quasi un confronto tra Bene e Male, tra quello che era e che voleva diventare e quello che è.
L’ex ispettore Ennio Guarnieri si sente questa volta sperduto, stavolta non per vizio ma per scelta forse errata ma oramai effettuata, si trova spalle al muro, in piena solitudine, si rende conto davvero, magari chissà ispirato dalla sua antica maestra, che ognuno sta solo sul cuor della terra, a rischio di essere trafitto da ingiusto proiettile.
Niente di più errato: per ognuno c’è qualcuno sempre.
A salvarci tutti dal vizio della solitudine c’è un altro vizio, una vera ossessione nella vita, un vizio assurdo: l’amore. Ogni specie di amore: quello della tua vecchia maestra, quello di una ragazza che vende un giornale di sinistra, quello di uno strano tipo di sicario in impermeabile bianco, quello di ex colleghi e amici per la pelle. L’amore richiede l’altro, non la solitudine; non è un vizio, non è una scelta, non puoi sfuggirgli, l’amore c’è per tutti, è una legge di natura, un istinto naturale, arriva d’improvviso, ti prende e ti porta via, ti salva.
Nessuno sta solo sul cuor della terra.