Il trio dell'arciduca
Letteratura italiana
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La prima indagine di Nero Wolfe
Trieste, giugno 1914, un mercante turco è rinvenuto cadavere nelle acque del porto. Apparentemente sembrerebbe un incidente, forse causato dall'ubriachezza dell’uomo. Tuttavia ci vuol assai poco a comprendere che è stato avvelenato. La cosa non avrebbe un rilievo così grande se il mercante non fosse stato anche un informatore dei servizi segreti imperialregi. Sono coinvolti agenti serbi nell'omicidio? E cosa aveva scoperto la spia di così segreto da costringerli a sopprimerlo? Parte così una concitata indagine contro il tempo dell’agente Neron Vukcic, di nazionalità montenegrina, ma al servizio dell’Impero austroungarico. L’indagine lo porterà, tra Sarajevo e Costantinopoli, a scoprire in anticipo di qualche giorno, ma, ahimè inutilmente, quel fatidico complotto che cambierà la geografia europea con la morte dell’erede al trono Francesco Ferdinando.
L’ambientazione, il periodo storico, il personaggio principale (Neron Vukcic, altri non è se non un giovanissimo Nero Wolfe), tutto in questo romanzo di Hans Tuzzi sembrerebbe congiurare per ottenere un’opera avvincente e di grande interesse.
Tuttavia, personalmente non sono riuscito mai ad entrare in sintonia con questo libro che ho trovato faticoso da terminare, nonostante la sua brevità.
In realtà non ne ho neppure compreso appieno il senso. Non può essere certo definito un romanzo poliziesco: per quanto ci sia un omicidio e il protagonista ne dovrebbe scoprirne autori e moventi. Entrambi sono, sostanzialmente, rivelati al lettore sin dalle prime pagine. Quindi manca l’indispensabile suspense e tutto si riduce a capire se ed in che modo Vukcic riuscirà a trovare il bandolo della matassa; un po’ poco.
Non è un romanzo di spionaggio, sebbene si agitino al suo interno servizi segreti austroungarici, serbi, russi, italiani, turchi e di chissà quante altre Nazioni. Infatti, non solo manca quasi totalmente la tipica azione presente nei romanzi del genere, ma, appunto, non ci sono misteri da scoprire se non per Vukcic e solo per lui, infatti c’è il sospetto che tutti gli altri protagonisti (servizi segreti austriaci in primis) sappiano già tutto.
Non è un romanzo storico: i personaggi agiscono nella storia ed alcuni sono realmente esistiti, ma l’autore glissa sulle mere questioni storiche pretendendo che il lettore le conosca già tutte; lasciandolo, però, così con un appetito stuzzicato, ma insoddisfatto.
È un discreto romanzo d’ambiente, ma l’autore spesso dà solo alcune frettolose pennellate descrittive dell’atmosfera del periodo. Il resto viene dato per scontato e conosciuto, quindi è sottaciuto.
E forse questa la cosa che più indispone: lo stile e la tecnica usati nel romanzo.
Dal punto di vista meramente letterario si è voluto usare uno stile sin troppo ricercato, talvolta involuto, che in alcuni passaggi pecca anche di un certo snobismo letterario. Ma poi si lasciano incisi aperti; si usano frasi faticosamente lunghe e prive di una idonea punteggiatura; si fa scialo di reiterazioni che dovrebbero avere un intento poetico, ma spesso rendono solo tediosa la lettura. Inoltre sono frequentissime le espressioni in lingue straniere (tra cui il serbo, il turco ed il russo!) prive di tradizioni, quasi si pretendesse che siano (tutte?) ben comprese dal lettore.
La pecca principale, però, sta nei troppi obiter dicta. Le circostanze, pure quelle che sarebbero utili o, addirittura, indispensabili, per comprendere bene la storia o entrare in sintonia con le situazioni, vengono solo accennate. Spesso pare di intravedere una sorta di strizzatina d’occhi dell’autore quasi volesse dire al lettore: “se sai di cosa sto parlando, ben comprenderai i risvolti della questione”. Tuttavia, non è detto che il lettore sappia. In ogni caso chi legge lo fa per conoscere e capire, non per essere sottoposto ad un fuoco di fila di cenni d’intesa. Tra l’altro, visto che la trama dovrebbe avere i contenuti del romanzo poliziesco/spionistico, ciò porta il lettore a sospettare che dietro ogni frase ambigua si nascondano trappole: un detto e non detto per confondere le acque.
Inoltre, ho notato un certo arruffamento nella narrazione. Non di rado sono stato costretto a ritornare indietro per rileggere pagine già scorse, al fine di verificare o comprendere a chi o a che cosa ci si stia riferendo.
In definitiva si è trattato di una lettura abbastanza deludente. Peccato, perché, come dicevo, c’erano tutti gli elementi giusti per ottenere qualcosa di davvero buono.
Indicazioni utili
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Guerra di spie
È il mese di giugno del 1914 e tutta l’Europa è in ebollizione; anche se la vita sembra scorrere tranquilla nei fasti della Belle Epoque soffiano venti di guerra sempre più forti. Dal mare di Trieste viene ripescato il corpo esanime di Celik Yilmaz, un mercante levantino che è anche l’informatore di un giovante agente segreto imperialregio. Si potrebbe pensare a una disgrazia, ma un segno inequivocabile sul capo della vittima è la prova che si tratta di un omicidio.
Perché uccidere un pesce così piccolo? Che cosa aveva di così importante da riferire e che si è voluto che non arrivasse alle orecchie dei servizi segreti austriaci? Sono queste le domande che si pone Neron Vukcic, montenegrino, giovane, ma molto intraprendente, dotato di un finissimo intuito, insomma in breve uno dei migliori agenti di cui disponga l’Austria. Inizia così una spy story che pagina dopo pagina si tinge sempre più di giallo, in un gioco di spie che vede coinvolti anche altri stati, in una corsa tesa a evitare, o a realizzare a seconda di una delle parti contrapposte, l’evento scatenante di quella che sarà chiamata la Grande Guerra. È forse superfluo che dica che Neron riuscirà a giungere alla soluzione, ma senza che il suo paese ne tragga vantaggio, perché la ragion di stato dei politici a volte è di una sottigliezza che cela perfidi interessi. Questo è il primo libro di Hans Tuzzi, che leggo e posso dire che è stata una gradevole sorpresa. Quest’autore, che nonostante il nome è italianissimo (si tratta in effetti di Adriano Bon, nato a Milano nel 1952 e docente universitario) è quel che si suol dire una buona penna. La sua è una scrittura fluida, scorrevole, uno stile fresco che, comunque, riesce a mettere in risalto capacità di ricreare atmosfere veramente encomiabile e poi si ha sempre l’impressione che per questo narratore lo scrivere un libro sia un gioco appassionante, volto sì a coinvolgere il lettore, ma a rendere anche gioioso partecipe lui stesso. E se qualche sospetto ho avuto in ordine al personaggio dell’agente imperialregio (giovane, ma di buona stazza, misogino, appassionato di orchidee) puntualmente alla fine ha trovato conferma, perché l’abile spia, messa in disparte con il pretesto di seguire un’indagine di nessuna rilevanza, matura l’idea di emigrare, di andare in America, dove già in prospettiva si vede sempre chiuso in casa, a coltivare orchidee, a santificare i pasti, a inglesizzare il suo nome, che tradotto sarebbe Nero Woolf.
Posso quindi confermare che Il Trio dell’arcidica è un prodotto di ottima fattura che si legge con vero piacere, tanto che mi sono ripromesso di mettere in agenda altri libri di questo autore.