Il testimone chiave Il testimone chiave

Il testimone chiave

Letteratura italiana

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Anna, Cantoni e Tonino vengono ingaggiati dai figli di un anziano suicida, Luigi Barani, per investigare su una possibile truffa testamentaria. Barani, industriale vedovo molto benvoluto, ha disposto infatti un lascito in denaro a favore della collaboratrice domestica e i due figli sono convinti che la donna abbia manipolato il padre a suo favore. Grazie al suo talento molto speciale, Anna trova ben presto il modo di interrogare il cane di Barani – un carlino con l'idea fissa del sesso –, scoprendo che la domestica è innocente, ma soprattutto che qualcosa di ben più grave si annida in quella morte. La sera del presunto suicidio il vecchio industriale non era solo in casa: una persona lo ha raggiunto e i due hanno avuto una breve conversazione – poche parole, dopo le quali Barani si è impiccato come eseguendo un ordine. La polizia, però, decide di non riaprire il caso: Cantoni non può certo dire che il suo testimone chiave è un cane, in fondo il suicidio di un anziano solo non stupisce nessuno…



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Il testimone chiave 2022-08-21 17:27:04 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    21 Agosto, 2022
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Carl, il mio nome è Carl

«Questa è la situazione, Anna. Che degli altri non sappiamo mai abbastanza, però attacchiamo le nostre etichette comunque [...], comprendere ci aiuta ad affrontare il mondo in maniera più costruttiva, non pensi?»

Anna Melissari è una detective molto molto particolare. L’abbiamo conosciuta ne “Gli insospettabili”, opera prima a firma Sarah Savioli di cui ne rappresenta l’esordio in libreria per Feltrinelli.
In questo secondo appuntamento con Anna Melissari, detective che a seguito di una malattia ha iniziato a comprendere il linguaggio animale, la protagonista e il suo capo, Giovanni Cantoni, si ritrovano a dover investigare su un caso che riguarda, appunto, un testimone chiave.

«Ma c'è quello che vogliamo e c'è quello che riusciamo, fra loro c'è tutto quello che non possiamo.»

Oggetto dell’indagine è la morte di Luigi Barani, uomo che prima di passare a miglior vita, avrebbe fatto una ingente donazione alla badante ucraina, Oxana. Il dubbio è sul se questa lo abbia o meno spinto e indotto a porre in essere siffatto atto di liberalità o se, al contrario, questo sia stato spontaneo. È lei stessa a ritrovarne il corpo privo di vita. L’uomo, industriale in pensione, pare essersi impiccato nel suo studio. Andrea, il figlio, è convinto che la stessa abbia agito al fine di mutarne la volontà e vuole vederci chiaro.
Ad assistere all’omicidio è Carl, il Carlino. Quest’ultimo confessa ad Anna che forse non è stato un suicidio proprio proprio volontario. Racconterà il resto solo dopo aver trascorso una notte sfrenata con un Alano. Non stupisce la reazione di Otto, l’alano arlecchino di Cantoni, terrorizzato all’idea. Le indagini vanno avanti tra gag esilaranti e un quadro che prende forma mostrando in Oxana l’unica figura onesta. Pare proprio questa l’unica ad aver veramente tenuto un comportamento integerrimo con il defunto. Sembra proprio che tutti i coinvolti abbiamo qualcosa da nascondere, un qualcosa che in alcun modo vogliono che torni – o venga – alla luce.

«Si nasce, si cresce, si impara e si è chi si è. E noi genitori dovremmo semplicemente accettare, gestire il nostro stupore e capire che, con i nostri figli, il percorso che facciamo si arricchisce di molte più finestre sul mondo.»

Tra le situazioni familiari che coinvolgono la protagonista e un giallo da scoprire e risolvere ha luogo e svolgimento “Il testimone chiave”. Lo stile di Sarah Savioli resta il medesimo. Ancora una volta è fluido, rapido, cattura il lettore e lo accarezza anche nei sentimenti. Si tratta di uno scritto leggero che coinvolge e conquista con la sua semplicità e, ancora una volta, genuinità e purezza. A colpire in maggior modo, però, non è tanto il giallo quanto l’evoluzione dei personaggi. Rispetto a “Gli insospettabili” scopriamo dei cavilli e dettagli in più sulla protagonista ma anche sugli affetti che la circondano. Mentre il marito è preoccupato dell’attività della moglie, il padre è malato e la sorella Lavinia richiede sempre più attenzioni.
Se da un lato il giallo si presenta più debole, molto più stratificato è l’aspetto invece inerente alla vita dei protagonisti e soprattutto l’aspetto morale ed emozionale.
In conclusione, “Il testimone chiave” si presenta come uno scritto piacevole, rapido, di facile lettura, con cui staccare la spina ed emozionarsi. Un titolo ottimo non soltanto per le calde serate estive ma anche per quelle autunnali in cui il clima lascia sempre più posto a nuovi colori e nuovi scenari naturali.

«La mia vita mai come ora mi sembra essere un giardino incolto intervallato dalle bolle a loro modo ordinate dei momenti lavorativi e io sono un'Anna rotta in pezzi che porge parti differenti a momenti differenti e non si sente mai completa o anche soltanto sufficiente.»

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Il testimone chiave 2021-08-23 15:26:45 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    23 Agosto, 2021
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Un carlino reticente e tanti pipistrelli drogati

Secondo appuntamento investigativo con Anna Melissari, la strana detective che parla ad animali e piante. Questa volta l’incarico che ha ricevuto il suo capo, Giovanni Cantoni, è quello di scoprire se Oxana, la badante ucraina del neo-defunto Luigi Barani, abbia in qualche modo plagiato il vecchio per ottenere la cospicua donazione disposta col testamento. L’industriale, da anni in pensione, è stato trovato impiccato nel suo studio, proprio dalla donna che gli faceva da governante. Il figlio Andrea pensa che questa lo abbia influenzato in qualche modo, per ottenere il lascito. Se paragonato all’eredità, plurimilionaria, è una goccia, ma il figlio vuole vederci chiaro.
Durante il sopralluogo nella villa dove s’è verificato il fattaccio, mentre il suo capo e Tonino, il fido assistente, parlano col figlio, Anna si apparta col cane di casa e scopre qualcosa di potenzialmente sconvolgente: quel suicidio potrebbe non essere stato del tutto volontario. Carl, il carlino del vecchio Luigi, ha assistito al gesto e le comunica che era presente pure una seconda persona, la quale non solo non ha fatto nulla per impedirlo, ma, anzi, potrebbe averlo istigato. Tuttavia il cagnetto è un perverso sessuomane e pone una condizione: per raccontare come sono andati realmente tutti i fatti, pretende che gli si concedano due giorni d’amore con un alano (non si formalizza neppure sul sesso). Otto, l’arlecchino di Cantoni, quasi sviene a sentirsi avanzare quella proposta.
Mentre i tre investigatori cercano di risolvere la “questione alano”, le indagini procedono con l’interrogatorio di conoscenti ed ex dipendenti dell’industriale. Tassello dopo tassello viene fuori il quadro abbastanza completo della situazione, ma assai poco edificante. L’unica ad apparire onesta e integerrima è proprio Oxana; gli altri, tutti gli altri, hanno qualcosa di sporco da nascondere. Nel frattempo si addensano cupe ombre fatte di corruzione, truffe, meschinità, invidie e tradimenti. Ma alla fine com’è morto Barani?
Anna, però, è pure madre, moglie, figlia e sorella. Così, giacché la vita non è fatta solo di indagini, lei, ansimante, deve cercare di districarsi tra i mille insidiosi rivoli in cui si ramifica l’esistenza quotidiana: faccende giornaliere, dissidi con il coniuge, brutte notizie sul fronte sanitario paterno, cura del bimbo e assistenza alla sorella nuovamente perdutamente innamorata. E, ogni tanto, una ramanzina psicologica da parte dell’animale di turno aggiunge un “carico” alla situazione già di per sé complicata e la fa deragliare in una depressione profonda.

Sarah Savioli ha l’abilità di saper coniugare l’indiscutibile stravaganza (e fantasiosa leggerezza) dell’idea di base, quella dei dialoghi uomo-animale, con la quotidianità, fatta di pensieri spiccioli, di paranoie terra-terra, di corvée ordinarie, della non sempre facile gestone dei rapporti umani, anche con le persone che ci stanno più a cuore, ma che, talvolta, sembrano pianificare un assalto coordinato alle nostre fragili stabilità. In mezzo a tutto ciò, quasi a tradimento, ci offre l’opportunità di pensieri profondi, riflessioni sui grandi temi dell’esistenza di noi bipedi, che ci stimiamo come i più intelligenti tra i viventi, ma non sempre ci comportiamo da esseri realmente raziocinanti.
Il cocktail che ne esce è godibilissimo. Così siamo spinti a divorare con gli occhi le pagine del romanzo, tra indagini poliziesche su una vicenda tragicamente normale, risate causate dai colloqui surreali con pipistrelli strafatti di insetticidi o tartarughe ipocondriache, riflessioni su questioni importanti e serie, quell’attimo di commozione ed empatia, suscitato dalle vicende familiari che, forse, vanno pure a stuzzicare ferite del nostro passato,.
Lo stile è sempre fresco e frizzante; adorabili sono i frequentissimi, strampalati neologismi con cui è infarcita la prosa; belle le descrizioni di una normalità che è familiare a ciascuno di noi, ma che, attraverso gli occhi di Anna ci appare nuova e tutta da riscoprire; forse un po’ troppo umanizzate e clownesche alcune battute delle controparti non-umane, ma se è un difetto è sicuramente perdonabile e veniale, soprattutto perché consente di osservarci da fuori, cambiando la nostra usuale prospettiva così da consentirci di giudicare il nostro mondo con una mentalità diversa e, forse, più obiettiva.
Insomma, quando si giunge alle ultime battute del testo c’è il rimpianto di dover abbandonare una lettura che dona momenti di assoluta spensieratezza pur cercando di ammonirci con saggi insegnamenti.

________________________
Per l’angolo del pignolo mi permetto solo di fare una tiratina d’orecchi all’editor e al correttore di bozze: i troppi refusi in cui ci si imbatte mortificano la lettura che non merita alcun intoppo.

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... "Gli insospettabili", il volume d'esordio della Savioli.
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Il testimone chiave 2021-08-11 09:18:10 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    11 Agosto, 2021
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Pet therapy

Ogni bravo poliziotto, o investigatore come si deve, per svolgere al meglio le proprie indagini, si avvale spesso di una rete di collaboratori non dichiarati, un campionario di varia umanità, che nell’insieme costituisce la categoria degli informatori.
Sono persone dedite ad un’attività di ascolto clandestino, e di raccolta e cessione di informazioni, utile se non benemerita per i poliziotti a cui sono destinate, che si procurano così senza colpo ferire particolari rivelatori per il loro lavoro.
Risulta però rischiosa per gli addetti, in genere essi stessi dei veri e propri delinquenti abituali, o che vivono ai margini della società. Proprio perché adusi a circolarvi liberamente, si mimetizzano perfettamente nel sottobosco delinquenziale, dopotutto ne sono membri di diritto onorario, quindi in grado di raccogliere senza parere, senza destare normali sospetti o un minimo di diffidenza, una messe di informazioni, pettegolezzi, sottintesi, confidenze varie raccolte quasi senza sforzo, che nell’insieme, una volta riportati al detective interessato, gli forniscono un aiuto non indifferente per il disbrigo dei fatti inerenti alla professione. Va da sé che non sono informazioni gratuite, chi le raccoglie e le riporta a proprio rischio con gran segretezza non lo fa per mestiere dichiarato di spione, lo fa più spesso, se non sempre, per bisogno. Cede informazioni sui fatti delittuosi, e presunti coinvolti negli stessi, in cambio di una vera e propria ricompensa, commisurata all’informazione fornita, talora nemmeno retribuita in denaro, ma in natura. Come dire, uno scambio, un do ut des, io delinquente ti metto sulla strada giusta spifferando un “si dice” raccolto negli ambienti malavitosi, e tu poliziotto chiudi un occhio, fingi di non vedere, mi lasci in pace se mi becchi nei miei traffici, beninteso se certi reati non superano determinati limiti. Fatto sta che chi spia rischia, e rischia di brutto, sulla propria pelle, a qualsiasi livello le spie non piacciono a nessuno, ci si sente ingannati, traditi, feriti nel profondo quando si viene spiati, figuriamoci negli ambienti della malavita dove non si va troppo per il sottile nel punire severamente chi tradisce le regole di omertà tipiche di certe dinamiche.
Ma tant’è, per sopravvivere talora bisogna giocoforza correre qualche rischio.
Quella degli informatori su cui contare è una prassi reale nella pratica poliziesca, e come tale perciò anche usuale nei gialli, nei mystery e nella letteratura del genere.
Perfino datata, basti pensare che già Conan Doyle aveva fornito al suo Sherlock Holmes una rete di “ragazzini di strada”, gli scugnizzi dell’epoca, prezzolati dal detective perché lo tenessero informato di quanto di rilevante avvenisse nei bassifondi londinesi.
Anna Melissari, detective privata, il fortunato personaggio che ha recato notorietà alla scrittrice di origini sarde Sarah Savioli, non fa eccezione alla regola, nell’esercizio delle sue funzioni può contare su una rete di informatori quanto mai vasta, veramente ampia e soprattutto ubiquitaria, mille occhi e mille orecchie che tutto vedono e tutto sentono, che odorano finanche le tracce e gli indizi.
Nessuno sano di mente potrebbe mai credere a chi il fiore all’occhiello in servizio presso la rinomata Agenzia Investigativa Cantoni si rivolga per ottenere informazioni, da chi Anna raccolga indizi e informazioni, chi mette sotto torchio, con gentilezza e cortesia tra l’altro, ma minuziosamente, per capire come si sono svolti effettivamente i fatti delittuosi.
Perché la nostra eroina può contare sempre su informatori di “alta” qualità, immagine non solo metaforica ma indicativa di una visione a livello simil drone di certi suoi alati collaboratori, elementi forse improbabili, ma concreti e reali, affidabili, equi, imparziali, insospettabili e inoppugnabili testimoni chiave delle sue indagini.
“Gli insospettabili” pubblicato per prima, da un paio d’anni, e “Il testimone chiave” in libreria più di recente, sono i due straordinari romanzi che hanno consacrato Sarah Savioli come una delle voci più creative, interessanti, originali e stupendamente gradevoli della narrativa degli ultimi anni.
Romanzi ambientati ai giorni nostri, dove una comunissima donna dei nostri giorni dialoga con semplicità, cortesia e naturalezza con gli animali e, in misura minore, con le piante.
Con chiarezza, umiltà, credulità, con assoluta verosimiglianza, soprattutto con il rispetto che difficilmente, consapevoli o meno, raramente tributiamo agli altri conviventi del nostro habitat.
Ma non è tanto questo che attrae, che avvince, che ti prende, è proprio la scrittura della Savioli che è incantevole, la scrittrice non favoleggia, non allestisce parodie, forse il suo racconto è sottilmente divertente, ma sopra ogni altra cosa, è intelligente.
Una scrittura intelligente, e insieme colta, profonda, accessibile a chiunque, le sue idee sono del tutto nuove, non si riscontrano in altri modelli, la scrittrice ci offre un racconto amabile, accogliente, delizioso, ci sentiamo avvolti e coccolati dalle sue storie, ci sembra di stare in un ambiente idilliaco finanche nel mentre si dilunga su fatti delittuosi, su omicidi e suicidi.
Sarah Savioli sa ben scrivere, e ce lo dimostra facendoci stare molto bene con quello che scrive.
Opera su di noi lettori lo stesso effetto benefico di una comune pet therapy, ci fa stare bene, lieti, in armonia con il vissuto. Ci fa amare i viventi, ci fa sentire amati da loro.
Descrive la Natura, ci fa sentire parte integrante di quella, e di tutti i viventi con cui la conviviamo, non è un caso o una coincidenza che l’autrice vanti studi di scienze naturali.
Attrae il suo stile di scrittura, quasi autobiografico, un modo di narrare a voce sola che sembra di ascoltare una vecchia amica, ma di quelle di lungo corso, datata dall’infanzia, fidatissima e dalla vita usuale ma incasinatissima tra casa, lavoro, famiglia, affetti, amori e parentado malconcio in salute, esattamente come quella di tutti noi, una vera amica che si sfoga a cuore aperto con noi lettori.
Raccontandoci il suo vissuto, dove comune e straordinario si intrecciano in modo verosimile, dove il suo quotidiano è corrente, usuale, e però strepitoso, tanto eclatante quanto esemplificativo del nostro correre ed affannarci, un narrare ad un tempo stesso formidabile, inaudito e impareggiabile.
“…degli altri non sappiamo mai abbastanza, però attacchiamo le nostre etichette comunque.”
La scrittrice rende eccezionale la vita comune, e rende usuale la comunità dei viventi, tutti insieme appassionatamente. Il merito è da ascrivere soprattutto alla creazione del suo personaggio principe, protagonista di ambedue i libri citati. La protagonista, Anna Melissari appunto, è un personaggio riuscitissimo, che non ha uguali; è una donna comunissima, direi anche fin troppo normale, senonché si differenzia per una dote non voluta, che almeno all’inizio del suo comparire le ha creato non pochi spaventi, terrori e poi difficoltà di vario genere, innanzitutto ha dovuto farci i conti lei stessa per prima, prima di renderne edotti giocoforza almeno i suoi familiari e le persone a lei più care.
A causa di una piccola neoformazione encefalica, probabilmente lo sviluppo simil tumorale di una pregressa e misconosciuta capacità anatomica innata, ma regreditasi funzionalmente nel corso dell’evoluzione umana, Anna è in grado di parlare, comprendere, comunicare perfettamente con il mondo animale e vegetale. Intendo esattamente quello che ho detto: non possiede poteri paranormali, non ha sviluppato forme particolari di empatia o telepatia per comprendersi con piante e animali, Anna sul serio può dialogare correntemente con cani, gatti, uccellini, tartarughe, pipistrelli e con ficus, fiori, piante d’appartamento, platani dei viali cittadini, alberi, cespugli ed erbacce, come noi facciamo comunemente con i nostri simili. Certo non un talento da sbandierare, però, a rischio di farsi rinchiudere. Va da sé che è qualcosa di unico, e proprio per questo spaventa prima, e preoccupa dopo, è una dote che finanche la psicologa da cui è seguita Anna ritiene essere come minimo una fisima della psiche sua, per non dire una vera patologia mentale, figuriamoci quindi la fatica, lo scetticismo e infine un che di diffidenza di fondo con cui è accettato con molta difficoltà, da chiunque altro, lettori compresi, questo suo non voluto superpotere. Non la rende un’eroina, Anna non lo è né vuole esserlo, la Savioli non ha scritto di un superpotere che facilita una investigatrice nelle indagini, sarebbe davvero sciocco e banale solo pensarlo, perché in casi come questi gli svantaggi superano i possibili benefici, è inevitabile quando si tratta di qualcosa che non è solo raro, assai peggio, è unico e inspiegabile, a maggior ragione foriero di diffidenza. Finanche Superman si porta dietro un che di irrisolto, deve nascondersi dietro i panni di un borghesuccio, e tanto felice la sua esistenza non è.
A salvare Anna, invece, a restituirle la sua umanità malgrado la sua capacità, è la comunicazione stessa, è l’eccellenza di poter comunicare con diversi parimenti viventi. Come spesso accade, sono proprio i puri di cuore, e cioè le piante e gli animali con cui interagisce, sono per prima loro stessi, anziché la razza umana eletta, evoluta e superiore a preoccuparsi di meno della comparsa di questo fenomeno, anzi appaiono ben lieti di comunicare chiaramente, e direttamente, per una volta almeno! con un essere umano. Sono ragionevoli, accoglienti, schietti, dicono le cose come stanno, e per questo rasserenano, forniscono il loro meglio, la loro insuperabile panacea inclusa in qualsiasi pet and plants therapy. Così come accolgono perfettamente il fenomeno nella norma, nell’ordine naturale delle cose, le persone a lei più legate, il proprio bambino Luca, che ritiene del tutto lecito, normale, naturale, la capacità materna di dialogare ad esempio con Banzai, il gatto di casa, o con l’alano in servizio permanente effettivo presso l’agenzia investigativa. Così come il marito, così come i fedeli colleghi di investigazione: accettano Anna così com’è esclusivamente le persone che tengono a lei perché è esattamente così, poteri particolari o meno. Così come deve essere l’amore, senza condizioni, piante e animali lo insegnano.
“…provo ad imparare l’arte difficile dell’aspettare chi si ama…”.
Quanto Sarah Savioli racconta con semplicità, eleganza e incisività di pensiero, è estremamente semplice: l’autrice non ha rivisitato le favole di Esopo, i suoi non sono animali parlanti che esplicano un comportamento ideale, affatto, sono animali, e piante, con cui si parla, si dialoga, ci si confronta alla pari, ci si scambiano punti di vista differenti sugli stessi fenomeni.
Una bella idea: in questo modo l’autrice ci offre angolazioni diverse con cui valutare comportamenti dai duplici significati, impedisce che il solo pensiero personale diventi l’unico considerevole, e come tale facilmente fallace mancando di contraddittorio, come dovrebbe essere. Meno che mai gli animali nei libri della Savioli sono antropomorfi come nei film disneyani. Sono fauna e flora esattamente come sono in Natura, indifferenti e semmai diffidenti nei confronti della razza eletta.
Eletta da altri, ma non da loro, piante e animali considerano piuttosto la razza umana la più dannosa e fastidiosa, incoerente, illogica, e pericolosa del pianeta. Ma tant’è, la accettano con pazienza, tolleranza, umiltà e intelligenza, sanno che con questa bisogna pur convivere, anche se gli umani non hanno un’indole cattiva ma cattivi possono divenirlo con troppa facilità, e il male si diffonde purtroppo con altrettanta facilità, gli uomini riescono finanche ad influenzare negativamente gli animali più fragili. Tant’è che per esempio Carl, un cane carlino testimone oculare di un presunto delitto, si rivela un bieco ricattatore, restio a confessare a quanto ha assistito se non dietro pagamento di un laido compenso. Ma appunto, questo accade a pochi animali perché sono gli umani ad essere deleteri, non il contrario. Gli altri esseri viventi, e non solo pet, utilizzano un solo metro di valutazione: l’affetto, l’empatia, l’amore. Efficace evidentemente, visto che esiste una terapia ad hoc., la pet therapy. Che può sintetizzarsi in un breve bugiardino: le persone che amano accettano il soggetto del loro amore, sempre e comunque, senza sforzo, esattamente com’è, senza se e senza ma.
“…voi umani pensate all’affetto come se fosse un regalo inaspettato da parte di alcuni, qualcosa invece di preteso e dovuto da parte di altri…ma l’affetto è una cosa complicata nel quale c’entra di più chi lo dà che non chi lo riceve…Io, per esempio, ti voglio molto bene anche se tu non sei niente di straordinario.”
Sarah Savioli non ha creato solo un personaggio particolare, una detective dagli insoliti poteri, tutt’altro; ha creato un modo di raccontare le cose, scevro dalla banalità degli esseri umani, che tendono a rivestire i fatti filtrati dai loro interessi personali. Piante e animali non mentono, perché non appartengono al nostro modo di vedere le cose, hanno logiche diverse, diremmo naturali, e quindi più concrete e consone alla successione degli eventi. La scrittrice non ha scritto perciò un romanzo utopistico, ci ha semplicemente sottolineato in modo incantevole, ci ha porto ancora una volta con eleganza, umiltà, a tratti con commozione, la chiave per testimoniare la nostra convivenza con tutti i viventi: l’intelligenza. L’intelligenza che è alla base della comunicazione di genere, con tutti i generi.
La Natura sa perfettamente quanto bisogno di intelligenza è richiesto per comunicare, per fidarsi per esempio di una badante straniera a cui è stata devoluto un lascito testamentario.
La Natura, gli umani no.

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