Narrativa italiana Gialli, Thriller, Horror Il talento del cappellano
 

Il talento del cappellano Il talento del cappellano

Il talento del cappellano

Letteratura italiana

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Comincia tutto in una notte di neve, sull'Etna. Il custode di un vecchio albergo in ristrutturazione chiama la Mobile di Catania: nel salone c'è una donna morta. Quando però i poliziotti arrivano sul posto, del corpo non vi è più traccia. Ventiquattr'ore dopo viene ritrovato nel cimitero di Santo Stefano, proprio il paese dove abita la Guarrasi. Al suo fianco è disteso un uomo, un sacerdote, anzi un monsignore, assai conosciuto e stimato; entrambi sono stati uccisi. Intorno a loro qualcuno ha disposto fiori, lumini, addobbi. Il mistero si dimostra parecchio complesso, oltre che delicato, perché i conti, in questa storia, non vogliono mai tornare, un po' come nella vita di Vanina. L'aiuto del commissario in pensione Biagio Patanè può risultare al solito determinante. Quell'uomo possiede un intuito davvero speciale, ma ha il vizio di non riguardarsi. Una cattiva abitudine che, alla sua età, rischia di essere pericolosa.



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Il talento del cappellano 2023-03-01 18:01:35 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    01 Marzo, 2023
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La pediatra e il cappellano di Sua Santità.

Il vicequestore aggiunto Giovanna Guarrasi, detta Vanina, mi è proprio entrata nel cuore e nel cervello. Questo è il quinto thriller con lei protagonista, e posso solo confermare un giudizio letto non ricordo dove: formidabile. Merito naturalmente di una mia collega, la dottoressa Cristina Cassar Scalia, che riesce (quanto la invidio!) a confezionare storie che, quando cominci, non le lasci più, restando agganciato a trame che t’avviluppano e che non vanno mai a finire come ti aspetti. Vanina scava, scava, perché, come lei stessa ne è convinta, “le cose non sono mai come sembrano”.
Questa volta la prima sorpresa è il ritrovamento di un cadavere, si saprà poi che è quello di una pediatra dell’Ospedale, in una sala del Grand Hotel della Montagna, sull’Etna, la “muntagna” di Catania: abiti scomposti, ecchimosi, segni di strangolamento. All’arrivo dei poliziotti, il cadavere non c’è più: la seconda sorpresa è che ne vengono trovati due nella cappella di un cimitero, lo stesso dell’hotel più quello del titolare della cappella, pure lui strangolato, un famoso monsignore, addirittura cappellano di Sua Santità. I due cadaveri accostati, uniti da un fiocco rosso, e circondati da lumini, a formare una macabra messinscena.
Entrano in azione Vanina e la sua impareggiabile squadra: dal capo supremo, il mastodontico Tito Macchia, che non nasconde più il suo legame con la morosa Marta Bonazzoli, all’ispettore Spanò ed ai vari “carusi” e “picciotti”, fino ad un ex commissario in pensione, l’onnipresente Biagio Patanè, che non sopporta la vita casalinga (ha una moglie impicciona e possessiva!) e riesce a dare sempre un parere non scontato. Li ho voluti citare quasi tutti, perché formano un tutt’uno solidale e compatto, fedelissimi (pure la figura apicale) a Vanina, che ha (finalmente!) concesso ai sottoposti di chiamarla cameratescamente “capo”.
Naturalmente partono le indagini a tutto campo: interrogatori e riscontri a familiari, conoscenti, colleghi, ispezioni in chiese e Ospedale. Proprio nel nosocomio salta fuori un caso di anni prima: la morte di una bambina, inevitabile, che aveva scatenato l’ira dei parenti, una ben nota famiglia mafiosa, con insulti e minacce di morte alla stessa pediatra. L’uccisione della dottoressa e del prete (che era stato cappellano anche in Ospedale) era forse un’atroce vendetta mafiosa? Un’allusione ad un accertato legame sentimentale tra i due?
Così pare ma, come ci ha abituati l’autrice in quasi tutti i suoi gialli, Vanina scava nel passato con pazienza certosina, ben consapevole che, come al solito, non tutto è come sembra: il colpevole viene alla fine incastrato, e non è, classico colpo di scena, quello che il lettore si aspetta.
Il romanzo è scorrevole, ben costruito, Vanina comanda e decide con un intuito infallibile, alternando il lavoro con le solite golose pause culinarie e le numerose Gauloises: c’è un pensiero che la turba nei momenti di tregua, il ricordo del padre ucciso dalla mafia e la difficoltà di scovare l’ultimo colpevole ancora libero. E poi un altro pensiero: il suo amato Paolo Amalfitano, sostituto procuratore alla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, che riemerge sempre e che le riserva un’ultima sorpresa nel capitolo finale.
Sullo sfondo, naturalmente, una Catania invernale e soprattutto “a muntagna”, l’Etna dalla cui sommità innevata inizia il racconto: una maestosa, splendida realtà, “in contrasto con il sole di Catania a due passi dal mare, ma con la neve a portata di mano”.
Chiudo con un’illuminante convinzione del commissario in pensione Biagio Patanè, che condivido in pieno: “… non c’è niente da fare. A 83 anni crogiolarsi nei propri acciacchi è severamente vietato. Perché uno tanto fa che alla fine se li peggiora da solo. L’unica è ignorarli”.
Da memorizzare!



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Altri thriller di Cristina Cassar Scalia.
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Il talento del cappellano 2022-02-23 08:24:49 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    23 Febbraio, 2022
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Per Vanina: due morti travolti da insolito destino

26 dicembre 2016: il vice-questore Vanina Guarrasi è raggiunta da una telefonata dell’ispettore Marta Bonazzoli mentre si trova a Palermo, a festeggiare con la famiglia. Sembra che, in un albergo sulle pendici dell’Etna, sia stato rinvenuto il cadavere di una donna. L’edificio è abbandonato da decenni, ma il custode, salito durante una nevicata notturna per un sopralluogo, avrebbe visto il corpo in una delle sale buie. Il condizionale è d’obbligo perché, all’arrivo delle forze dell’ordine non viene rinvenuto alcunché. Perciò Vanina potrebbe pure continuare le sue meritate ferie, ma, forsanche per schivare gli eventi mondani in cui sua madre vorrebbe coinvolgerla, torna rapidamente a Catania, perché il suo sesto senso le dice che il morto, prima o poi, salterà fuori.
Infatti, solo due giorni dopo, nel cimitero di Santo Stefano, a poca distanza da casa sua, non solo viene ritrovata la salma della dottoressa Azzurra Leonardo, stimato pediatra cittadino, ma assieme a lei c’è pure monsignor Nino Musco, strangolato. Entrambi sono sistemati, in un macabro teatrino “natalizio”, all’interno della cappella di famiglia del sacerdote. La faccenda diventa subito spinosa, un po’ perché è coinvolta la Curia, un po’ perché non ci si spiega il motivo per il quale i due corpi siano stati messi assieme addobbati con tanto di nastri rossi. Pare che neppure si conoscessero: eppure... Poi si dice che fossero entrambe degnissime persone: chi può aver avuto un movente concreto per gli omicidi?

I romanzi della Cassar Scalia sono sempre godibili e divertenti, scritti con uno stile garbato e fluido che ci accompagna lungo i binari non di un giallo classico, inteso come un enigma proposto al lettore, quanto, piuttosto, del racconto di un’indagine poliziesca con i ritmi di una investigazione del mondo reale. Le storie, mai troppo arzigogolate e il cui esito, magari, uno può intuirlo abbastanza in fretta, hanno il sapore della credibilità, con la sola eccezione, forse, della presenza ossessiva e (diciamocelo) pesantemente indiscreta, del commissario in pensione Patanè, la cui assillante frequentazione dei locali della Squadra mobile sarebbe assai meno tollerata pur essendo, talvolta, risolutiva. Nel romanzo, invece, risulta spiritosa, quando non proprio comica. Per il resto tutti i personaggi, ormai ben collaudati e rodati nel sedimentarsi delle storie, sono simpatici e ben costruiti, sì da risultare familiari e gradevoli, con le loro piccole manie e peculiarità. La loro vita personale fa sommessamente capolino tra le righe dedicate all’indagine rendendoceli più umani e vicini.
Certo si fa davvero fatica a non considerare Vanina Guarrasi una Salvo Montalbano al femminile. La Catania di Vanina assomiglia tanto alla Vigàta del personaggio di Camilleri e la stessa squadra investigativa, pur con le diverse personalità coinvolte, ci spinge a una automatica associazione con la premiata ditta “Augello, Fazio &Co.”. È pur vero che il catanese della Cassar Scalia è meno pervasivo e invadente del vigatese di Camilleri; l’A. concede più spazio anche ai comprimari; la mafia non è solo una lontana quinta della scenografia, ma qualcosa in cui, purtroppo, di riffa o di raffa si va sempre a sbattere. Tuttavia i punti di contatto sono tanti ed è difficile ignorarli.
In definitiva, però, quelle assonanze non disturbano e il romanzo si fa leggere con piacere. Catania, puntigliosamente descritta, risulta ben presto familiare, anche per chi non è mai stato nella città etnea, e si è presto preda delle sue atmosfere affascinanti e di quel suo essere schiacciata tra un mare splendido e ‘a muntagna sempre impennacchiata di fumo e minacciosamente incombente.
Infine le immancabili incursioni nella cucina locale strappano un amabile sorriso e un languorino. Insomma non un’opera superlativa, ma un buon libro per qualche ora di piacevole compagnia.

____________
Un ultima osservazione: onestamente, anche al termine del romanzo, non ho compreso il senso del titolo, ma vabbè...

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... gli altri romanzi dedicati a Vanina Guarrasi, anche perché sono frequenti i richiami alle storie che precedono e alle vicende personali del vice-questore che fanno da fli-rouge della narrazione.
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