Il purgatorio dell'angelo
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
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Io confesso! Ti confesso!
Tempo di confessioni per il barone Luigi Alfredo Ricciardi di Malomonte, Commissario presso la Regia Questura di Napoli. Non solo perché il delitto di cui si deve occupare questa volta è quello relativo all'uccisione di padre Angelo, un gesuita da tutti ritenuto uomo di solidissima fede, di vasta cultura teologica ed un angelo in terra, che dedicava l’esistenza a confortare e, appunto, confessare i fedeli con passione e dedizione; ma soprattutto perché lui stesso è giunto ad un punto di non ritorno con Enrica. I due giovani, ormai, si vedono regolarmente, con la benedizione del cav. Colombo, il padre di lei. Tuttavia Ricciardi si sente in dovere di confessare il tormento che lo agita: il “fatto”, quell'esercito di morti violenti che continuamente lo ossessiona, quella “pazzia” che, egli crede, non gli consentirà una esistenza serena assieme ad Enrica.
Anche Maione si trova di fronte a nuovi tormenti. L’agente scelto Felice Vaccaro, nuovo ingresso in questura, assomiglia troppo al suo Luca, morto in servizio cinque anni prima, perché egli non ne rimanga turbato ed attratto. Poi c’è una serie di rapine incomprensibili, fatte, apparentemente, da dilettanti, ma sempre con tempistica perfetta, tale da sfuggire alle ronde predisposte per catturarli, tale da apparire uno sberleffo alla sua abilità di poliziotto.
Per tutti si preannunciano strazianti disinganni e faticosi recuperi di serenità.
Quando chiusi “Rondini d’inverno”, il volume che precede questo nella serie del Commissario Ricciardi, debbo confessare che ero visibilmente commosso. Raramente mi capita di farmi coinvolgere sino a quel punto. Tuttavia l’estemporanea battuta finale - quell'ultima frase (“Cavaliere, buonasera. Mi scuso per le circostanze, ma le chiedo il consenso di frequentare sua figlia Enrica”), pronunciata dal letto d’ospedale da Ricciardi, al culmine di un'acme di tensione - era stata una sferzata improvvisa e davvero toccante.
All'epoca la ritenni una chiusura idonea ed efficace per mettere un punto fermo alla serie. Un po’ come quando, nei film degli anni ’50, il regista glissava sul bacio finale tra i due innamorati carrellando sul mazzo di fiori o sulle fiamme del camino e lasciando proseguire la scena alla sola immaginazione dello spettatore, mentre scorrevano i titoli di coda. Sì, probabilmente io avrei calato il sipario sulla vita privata di Luigi Alfredo ed Enrica, lasciandoli soli, entro la riservatezza delle loro dimore immaginarie, a risolvere i problemi della loro complicata relazione che doveva restare solo loro. Per tessere una nuova trama gialla avrei probabilmente cercato qualche altro protagonista.
Perciò scoprire che De Giovanni aveva pubblicato un nuovo romanzo mi ha suscitato improvvisa meraviglia, ma anche tanta gioia: in fondo i lettori sono delle crudeli sanguisughe che non si contentano mai dei personaggi che amano e pretendono sempre di più da essi. Proprio per tale motivo perdonano anche quel continuo altalenare delle situazioni (come nella fattispecie) che fa tanto telenovela brasiliana.
Tanto premesso e perdonato, “Il purgatorio dell’Angelo” è un ottimo romanzo, perfettamente degno dei precedenti ed altrettanto godibile. Godibile nonostante che in esso l’ondata di onnipresente malinconia e tristezza permei ogni situazione, ogni avvenimento, senza tregua per il lettore. Non esistono accelerazioni nell'azione poliziesca, interludi comici o trasgressioni romantiche che diano un attimo di sollievo alla cappa di mestizia che sovrasta tutto, a dispetto del fulgido maggio in cui si svolge l’azione.
Anche i toni carichi dell’amore, quello tra Luigi ed Enrica, quello di Maione per Lucia ed il defunto figlio Luca, quello di Bianca per Luigi e per Carlo, sono offuscati da questa patina grigia che non dà speranze, ma solo pena.
La trama gialla è ben congegnata anche se non particolarmente arzigogolata. In fondo, però, come sempre ha tenuto a precisare l’A., i suoi romanzi non sono pensati per proporre un mistero poliziesco, bensì per scoprire ed analizzare sentimenti umani.
In quest’opera di sentimenti finiti sul tavolo settorio, come i cadaveri del dott. Modo, ce ne sono davvero parecchi.
Innanzi tutto c’è l’amore in tutte le sue sfaccettature: quello paterno e quello di un padre spirituale; quello di una madre che ha perso il figlio e quello di una madre che, accecata dall'affetto, non si rende conto di danneggiare e non favorire la figlia; quello passionale tra un uomo ed una donna che, talvolta, acceca e fa commettere idiozie; quello per Dio che a volte si tramuta pure in odio. Ma c’è anche l’amicizia, che può essere cattiva consigliera; la fede ed i suoi insondabili moventi; la vendetta ed il rancore.
Sono davvero tanti i sentimenti investigati ma, sempre, con grazia e poesia e con una delicatezza estrema.
Lo stile di De Giovanni è come al solito impeccabile; c’era da dubitarne? Tuttavia, con una certa sorpresa, ho notato che i primissimi capitoli sembrano ingranare la marcia giusta con una certa difficoltà. Ormai De Giovanni ci ha abituato alla perfezione e, quindi, non ci si contenta di nulla di meno. Perciò ci si stupisce a individuare qualche frase (pochissime invero, due o tre, al massimo) un po’ sciatta, una punteggiatura meno curata del solito, una costruzione sintattica un po’ farraginosa. Sembra quasi che il motore del romanzo abbia subito una ‘partenza a freddo’ che ha causato qualche “grattata” nelle prime battute.
Poi, però, si ritorna alla stessa splendida prosa ben nota a chi conosce l’A.. Tanto bella e raffinata che dispiace quasi che la trama ci induca inesorabilmente a proseguire sulla scia degli avvenimenti che si susseguono, e non ci lasci soffermare, con calma, a leggere e rileggere alcune frasi, per assimilarne appieno la musicalità e la profonda umanità, per goderne sino in fondo del significato e della costruzione.
In definitiva “Il purgatorio dell’Angelo” è, come al solito, un bel pezzo di letteratura la cui unica pecca è rappresentata dal fatto che le storie personali dei protagonisti sono ormai divenute preponderanti sul resto delle vicende. Quindi risulta assai difficile, se non impossibile, ad un neofita, apprezzarne la trama quando non si è ancora entrati appieno nel mondo del Commissario Ricciardi. Ma per gli aficionados è un piacere che si vorrebbe protrarre ancora a lungo.
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Confessioni
Io non so se a quest’autore viene prima l’idea della storia e, di mano in mano che la scrive, ne decide il titolo o se addirittura gli viene prima l’illuminazione del titolo e, attorno a quella parola magica, costruisce la storia. Fatto sta che ogni episodio ruota attorno a quella parola, che viene declinata, raccontata, dipinta, tratteggiata, colorata in mille forme. Il nostro Ricciardi è sempre solitario e malinconico, in questo episodio la sua storia personale evolve e, verso la fine del libro, lo diventa ancora di più. Direi finalmente… così si sblocca questo empasse nella sua vita privata, che sta tenendo congelata la sua vita. E non solo la sua. Però tutti attorno a lui evolvono: Nelide, la nipote di Rosa, si sta rivelando un personaggio speciale, tanto quanto Bambinella; la donna gatto e la donna cigno, che girano attorno al commissario come falene, stanno diventando personaggi sempre più positivi; il brigadiere e la moglie Lucia stanno diventando una coppia di sempre più spessore umano. Tutti crescono, tutti maturano, tutti cambiano. Guardarli da lontano è quasi come viverli nel quotidiano ed è bellissimo, è come se si creasse un rapporto con il lettore. Al centro della vicenda specifica di questo episodio ci sono il dolore e la mancanza, che rendono sordi e ciechi. Ne conseguono le confessioni ed ogni confessione comporta una rivelazione, ma anche una richiesta di perdono. Apriamoci alle nuove strade che tracciano queste confessioni.
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La Confessione
Con una nuova indagine per un cruento omicidio, ritorna il Commissario Luigi Alfredo Ricciardi, affiancato dal fedele Maione, onesto brigadiere e padre di famiglia, adesso impegnato in una serie di rapine, ben organizzate, effettuate nel loro quartiere. Siamo a Napoli, la città di De Giovanni, sempre più luminosa e variegata, in una limpida primavera, durante gli anni del Fascismo, il commissario è ancora costantemente tormentato dalla sua malattia mentale, egli ha spesso visioni di defunti di morte cruenta, fantasmi che a volte lo aiutano nelle indagini ma risultano essere anche un pesante fardello che incide fortemente sulla sua personalità, rendendola sempre più solitaria, introversa, sofferente, silenziosa e riflessiva. Luigi Alfredo non solo vede il corpo straziato ma percepisce anche le ultime frasi dove i fantasmi ripetono la loro sofferenza finale per il distacco dalla vita; ‘loro’ appaiono spesso e quando vogliono, sono bambini, donne, uomini, vecchi, uccisi, squartati, sanguinanti, hanno paura e urlano; nessuno conosce il segreto del commissario che non ha il coraggio di rivelarlo a nessuno. Anche in questa storia intricata e difficile da risolvere, il protagonista conserva la sua lentezza e la sua continua riflessione sugli avvenimenti accaduti, poi il lampo di genio e tutto torna, anche se sembrava un groviglio inspiegabile. Il povero Raffaele Maione, già fortemente scosso da una ferita interiore inguaribile, dovrà affrontare un tradimento importante, doloroso e inatteso, specialmente se “a chi ti ha tradito, hai aperto la porta di casa”; il dolore e la mancanza ci rendono ciechi, ci tolgono la lucidità, ottenebrano la razionalità e non riusciamo più a capire chi è sincero e chi ci tradisce. Due storie, impegnative e ricche di colpi di scena, intrecciate tra loro e due personaggi importanti molto diversi ma che si fidano l’uno dell’altro, così si presenta la struttura portante dell’ultimo libro di De Giovanni.
I personaggi però in questo romanzo sono tanti, come lo sono i sentimenti che attraverso le scorrevoli e piacevoli pagine del libro, questi attori comunicano al lettore. Come sempre affianca il lavoro dei due brillanti investigatori, il dottor Modo, ironico, brillante e amante dichiarato dei piaceri della vita; figura importante è Enrica, la dolce vicina di casa che ha rapito il cuore del commissario con la sua Semplicità, poi Bianca, la contessa dai modi aristocratici e il fascino irresistibile, non manca ‘il femminiello’ Bambinella, che sfrontato ma sensibile, risulta fondamentale nella storia per la sua capacità di sapere tutto di tutti, prima di tutti!
Sulla lingua di tufo che si allunga nel mare napoletano, viene trovato un cadavere barbaramente ucciso, una scena straziante, la vittima è un anziano prete, amato da tutti, Angelo, di nome e di fatto, un teologo, un confessore vicino a tante famiglie, anche quelle importanti e nobili, anche quelle che nascondono oscuri segreti. Il cadavere di Angelo comunica al commissario le sue ultime sofferenti frasi: Io confesso, ti confesso, lascialo stare, lascia che viva, io ti confesso … Da queste parole enigmatiche parte un’indagine accurata e difficile che condurrà a luoghi sacri e aprirà squarci su realtà diverse, come la comunità dei confratelli gesuiti o scuole e università teologiche del presente e del passato; i misteri e i risvolti inquietanti e inaspettati non mancano in questa vicenda torbida, i fatti porteranno a riflettere sulla parola “confessione” che ha numerose sfaccettature, anche contrastanti; De Giovanni con il suo stile brioso, scorrevole, lineare, velato di sfumature ironiche e insegnamenti di vita, porta il lettore dolcemente fino alla soluzione del mistero.
La solita splendida scenografia napoletana fa da contrasto alle molte brutture descritte nelle storie narrate; Napoli di giorno e di notte, i quartieri, il lungomare, via Toledo, Posillipo, il popolo vivace e attivo, ricordano costantemente la bellezza e il fascino della città partenopea. In questa realtà si muove con apparente tranquillità il commissario che rispetta la chiesa e la religione, è amico del parroco a cui spesso chiede consiglio, ma non crede all’al di là, la vita, secondo lui, è tutta lì.
La vicenda inizia col mare che porta un cattivo presagio ma finisce sempre col mare che, confessore del popolo e detentore di tutti i segreti, è messaggero di speranza.
Finita la lettura rimangono impressi i tanti sentimenti che emergono dalle varie vicende: amore, odio, rimpianti, tradimenti, onestà, disonestà, espiazione e colpa, inferno, purgatorio e paradiso … e la città che, con i suoi infiniti profumi, nonostante i suoi problemi, orgogliosa, continua ad andare avanti.
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Confessioni
«Signorì, per le cose si combatte. Si trova il coraggio e si combatte. Perché le cose, tutte le cose, quelle belle e quelle brutte, contano solo per quanto si è disposti a lottare. Così è. Dalla vita non si scappa, dalle avversità non si scappa. Figuratevi se si può scappare dall’amore.» p. 156
La sequenza degli eventi è anche troppo semplice, questa volta. Ricciardi se ne rende conto sin dai primi rilevamenti sul luogo del delitto. Il ritrovamento del corpo del defunto assassinato Padre Angelo, universalmente noto per essere una sorta di santo in terra, avveniva infatti sulla sottile lingua di tufo vicino alla spiaggia dell’acqua minerale di Posillipo e sin dalla posizione del cadavere – in contrapposizione con il fantasma sito in lontananza – risultava evidente che lo stesso vicario di Dio si era trovato in ginocchio, in piena notte, in una circostanza tale da non allertare i sensi del gesuita, da non fargli pervenire alla mente la possibilità di una morte imminente, improvvisa, perché probabilmente l’assassino trattavasi di persona a lui conosciuta o comunque di cui poteva presuntivamente fidarsi. A questa prima indagine il corpo militare veniva chiamato a indagare anche su una misteriosa sequenza di furti a danno dei commercianti di Napoli e organizzata da quattro giovani che “giocano” sempre un passo avanti alle forze dell’ordine, e ancora, lo stesso Luigi Alfredo e lo Stesso Maione venivano chiamati a rendere conto a quelle decisioni, paure, e timori radicati negli anni.
In particolare, Ricciardi viene chiamato a far i conti con l’amore per la sua Enrica; dovrà affrontare la madre, ma prima di tutto verrà chiamato a combattere i suoi demoni, la sua maledizione, il suo esser convinto di essere affetto da pazzia. Dall’altro canto, Maione, dovrà far i conti con Luca, figlio primogenito nell’arma a sua volta, venuto a mancare cinque lustri prima, ma alla cui dipartita ancora tutta la famiglia non si è “abituata”. Il brigadiere, si renderà conto, a causa di una serie di spiacevoli concause, di non essere affatto riuscito a superare la perdita.
Da questi brevi assunti ha inizio “Il purgatorio dell’angelo. Confessioni per il commissario Ricciardi” di Maurizio De Giovanni. Brevi assunti che rendono immediatamente chiaro al lettore quella che sarà l’essenza dell’opera. Perché tutto, di fatto, ruota attorno alla confessione; dagli omicidi, ai furti, agli stati emotivi. E a una storia solida, ben costruita, con un intreccio narrativo senza sbavature, con due indagini parallele che convergono nella morale finale, l’opera è avvalorata da un linguaggio fluente, raffinato, che riesce ad incatenare le vicende l’una con l’altra, dando altresì spessore ai personaggi. Alcune situazioni, inoltre, sono di una durezza e sofferenza tale, che il conoscitore stesso ne resta colpito nell’intimo, emozionato. Unica pecca del componimento, è che forse, talvolta, lo scrittore tende a perdersi in qualche descrizione di troppo, qualche descrizione che si sarebbe potuta omettere.
Ad ogni modo, questo nuovo capitolo delle avventure, si conferma una bella lettura, una lettura, profonda, analitica e introspettiva che riesce a descrivere ogni increspatura dell’animo umano invogliando alla riflessione e facendo sperare in una repentina, e probabilmente conclusiva, nuova pubblicazione dei fatti inerenti uno dei commissari più amati della letteratura contemporanea.
«Oggi ho scoperto una volta di più che il dolore, la mancanza possono renderti cieco e sordo. Che sono pericolosi perché ti impediscono di vedere quello che invece dovresti vedere. Questa mia è una confessione che ti faccio, Lucì. E come in ogni confessione, io ti chiedo perdono. Perdonami, amore mio. Perdona questo vecchio orso fesso, che crede che con la forza e con la chiarezza si risolve tutto e che invece non è capace nemmeno di vedere davanti al proprio naso.» p. 278
«Vedi, fratello mio, il purgatorio non è per gli angeli. Il purgatorio dell’angelo è in terra» p. 302
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La svolta del commissario Ricciardi
Il commissario Ricciardi ci regala una nuova emozionante avventura con Il purgatorio dell’angelo, a firma di Maurizio De Giovanni. Il libro ha un sottotitolo significativo: Confessioni per il commissario Ricciardi. Già è tempo di confessioni per il nostro amato commissario. E non sarà facile, perché a volte:
“il suo purgatorio, fatto di morti e di dolori e di sussurri e urla, era forse eterno, e in questo caso si chiama inferno. Perché l’inferno esiste solo per chi ha provato un attimo di paradiso.”
Infatti:
“La vita è un purgatorio per chi ha fede. I peccati sono un fardello di cui non ci si libera con facilità.”.
Confessioni: quella del colpevole e del peccatore. Di chi ha commesso un crimine e quella di chi ha tradito la fiducia di qualcuno. Queste sono le basi, gli sviluppi, poi, sono molteplici. Come quella che conduce all’uccisione violenta di un padre gesuita, trovato morto sugli scogli che urla a Ricciardi:
“Io ti confesso, ti confesso, lascialo stare, lascia ce viva, io ti confesso.”.
La sfida che l’autore pone al lettore è stimolante e raffinata, e poggia le basi su di una dicotomia importante: da una parte il purgatorio come luogo di espiazione per una colpa commessa. E dall’altra la duplicità angelo come purificazione ed espiazione ed Angelo come il nome del padre gesuita, la vittima. Temi determinanti per una vicenda che non potrà che vedere la vincita della giustizia, anche se dolorosa.
Dall’altra parte, però, ci sono gli affari privati del commissario giunti ormai ad una svolta. Ha una relazione con la sua dirimpettaia Enrica, alla quale deve comunicare la sua condanna:
“Ricciardi avvertì qualcosa smuoversi in lui. (…)
Immagina di essere pazza, Bianca. Di saperlo solo tu, ma di esserne certa. Di essere circondata da fantasmi, da urla e sussurri, da un dolore infinito. Qualsiasi cosa tu faccia, ovunque tu vada, qualunque evento accada attorno a te, questa sofferenza ti perseguita. Come una perenne emicrania, come un cancro che ti divora dall’interno, come un vento oscuro che ti grida nelle orecchie. Dolore. Solo dolore.”.
E sarà proprio
“una risata omerica ed irrefrenabile”
A fare il passo successivo, segnando gli eventi.
Un romanzo profondo, con due storie parallele che convergono in un’unica importante fine, che si legge con intensità e gradevolezza. Uno stile puro, raffinato, che narra di vicende che si incatenano una con l’altra, di personaggi ben congegnati, sofferenti, ma mai così vivi ed emozionanti. Una lettura come il mare descritto: limpido e cristallino oltre riva, vicino a riva increspato e turbolento, come gli animi umani di questo libro.