Il pozzo della discordia
Letteratura italiana
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Bartolomeo e gli odi di provincia che uccidono
La vita scorre languida e lenta nelle Langhe. Ardelia e Bartolomeo hanno ripreso la loro frequentazione, da amici soltanto (!) e con tutte le cautele del caso, però. Infatti la dottoressa, sentimentalmente, è ormai una barchetta nella tempesta, sballottata com’è tra un fidanzato (l’erborista Arturo) ormai solo di nome perché la fiducia in lui è bella che sfumata, una infatuazione per l’affascinante pianista Norma che, cinque anni prima, la sequestrò e, forse, poteva pure ucciderla, e il ricordo, nostalgico, di quando le cose col Rebaudengo funzionavano alla grande.
Durante un soggiorno a casa dell’ex commissario, viene a conoscenza della morte improvvisa della signora Brigida Valdisserra. Parrebbe un infarto, ma le circostanze sono abbastanza sospette: qualcuno ha chiamato il 118, poi, però, è scomparso prima dell’arrivo dei soccorsi e, anche dopo un esame superficiale, risulta evidente che la testa della donna sia stata sbattuta con forza per terra… e non è certo effetto della caduta. Inoltre sono scomparse le chiavi di casa. Cos’è effettivamente accaduto sulla soglia di quella villetta isolata?
Comincia così l’ennesima avventura della formidabile coppia di investigatori (per hobby e per passione) formata dal “sabaudo” commissario in quiescenza Bartolomeo Rebaudengo e dal medico legale ingauno Ardelia Spinola. Tra indagini pubbliche e triboli privati, scopriamo una nuova pagina delle loro vicende, pubbliche e private, in bilico tra la Riviera di Ponente e le Langhe, terra di vini e grandi silenzi.
La prima osservazione che viene spontanea, giunti all’ultima pagina del libro, è che la Rava ha il mirabile pregio di volersi reinventare ogni volta, senza contentarsi di sfruttare uno schema narrativo ben accolto in precedenza. Rischia e cambia spesso l’approccio espositivo alle sue storie. Magari non sempre il risultato è il migliore possibile, ma sicuramente è difficile che annoi i lettori con la ripetitività. E questa è una dote mai abbastanza lodata in lei.
In questo dodicesimo romanzo della serie sono molte le storie private che si intrecciano e interagiscono tra di loro. Descritte tutte in terza persona - ma con l’analitica accortezza di penetrare nella mente dei singoli personaggi, mettendoci a parte dei loro pensieri e delle loro ansietà - ci mostrano una variegata tipologia di umanità. Inizialmente la cosa può sconcertare e confondere: è come osservare la scena in uno specchio frammentato in mille schegge. Tuttavia il tentativo è interessante e stimolante.
Come in passato l’intento dell’A. non è quello di raccontarci una vicenda poliziesca, ma di narrarci le vite delle persone; il fatto che esse siano coinvolte in una fattispecie delittuosa è solo una fortuita casualità. Questa volta, però, il desiderio di farci partecipi delle disavventure di così tanti attori fa perdere un po’ di unità all’opera che diviene un puzzle con troppi pezzi. Le pagine migliori restano quelle in cui è protagonista in prima persona Ardelia, con tutti i suoi eccessi e le sue fragilità. Ho notato, peraltro, come l’A. cerchi di prendere distacco dal personaggio, che in molti romanzi poteva essere visto come un vero e proprio suo alter ego. Ora la troviamo rappresentata con maggior dissociazione e più oggettiva franchezza, da una prospettiva più critica sulle sue spigolosità. Ciò nondimeno è difficile non continuare ad amare un personaggio così umano e credibile.
Come al solito lo stile della scrittrice è impeccabile. Mai una frase scontata, mai una descrizione piatta e banale. Anzi, spesso, le brevi espressioni che illustrano una circostanza, un paesaggio, lo stato d’animo di un personaggio sono vere chicche poetiche ispirate, ma così abilmente inserite nel testo che quasi passano inosservate, presi, come si è, dalla bramosia di scoprire “cosa succede dopo” nella trama investigativa o anche soltanto umana dei protagonisti. Alcune, però, sono talmente incisive da appiccicarsi come lappole nella nostra memoria per rispuntare fuori da essa nei momenti più inaspettati e spingerci a ritrovarle per rileggerle, espunte dal contesto, e poterle più compiutamente apprezzare.
La trama investigativa, come detto, è una mera scusante del racconto, ma ha il pregio di essere perfettamente reale, senza eccessi da telefilm poliziesco o astrusità cervellotiche. Soprattutto tiene conto di una circostanza innegabile: nella vita reale non esiste una demarcazione netta tra nero e bianco, tra male e bene, le gradazioni di grigio sono infinite e gli odi, i rancori mai sopiti, le invidie e i torti subiti (veri o presunti che siano) sono terreno fertile per le azioni più efferate anche in persone apparentemente miti.
Insomma, come al solito la scrittrice non delude e, se proprio si vuol trovare un difetto al racconto, lo si può ricercare nel penultimo capitolo, dove, in poche, convulse pagine e con un personaggio tirato fuori dal cappello all’ultimo istante, si cerca di riallacciare gli ultimi capi pendenti della trama. Ma, eticamente, l’A. non se l’è sentita di lasciare, senza una sua catartica soluzione, una parte del mistero che s’era venuto a formare nel corso di tutto il libro. Quindi il peccato, se c’è, è veniale e perdonabilissimo.
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il rancore cova sotto la cenere
Cristina Rava torna in libreria con due suoi personaggi di carta più amati: il commissario Rebaudengo e il medico legale Ardelia Spinoli ne Il pozzo della discordia. Un giallo di grande fascino e di indubbia qualità letteraria.
Che cosa è il pozzo della discordia? E’ il pozzo simbolo, è il luogo dove tutto si interrompe, dove il torbido di una doppia esistenza affiora in tutta la sua malignità. E’ il pozzo dove ha trovato la fine l’esistenza travagliata di Enrico, uomo discutibile, di indubbio fascino, amante delle belle donne e della bella vita, arrivato al punto di abitare con la moglie ufficiale e l’amante dirimpetto. Passano gli anni, ma lui è sempre lì testimone muto di esistenze grame. Come quella della stessa moglie di Enrico che rimasta vedova per la seconda volta, cresce con acredine la figlia Costanza, divenuta chirurgo plastico di fama. Lei dopo la morte della madre torna nei luoghi dell’infanzia a Villa Alfieri a Neive, decisa a rimettere ordine. Ma troppe cose non quadrano. Sua madre pare morta d’infarto, ma presenta ferite non compatibili con questa tesi. Pare proprio che qualcuno le abbia fracassato la testa, dopo che lei stessa era già deceduta. E chi è che, nottetempo, penetra nella casa di Costanza, lasciando cartine di golia, vasi spostati e quant’altro? Anche nella casa di fronte dalla sua vicina strane ombre si affacciano incuriosite su di lei. Che cosa sta accadendo? I due fatti sono indipendenti? Qui urge una preziosa indagine dei nostri amati investigatori! Come finirà?
Ambientato in terra di Langa, di cui si forniscono immagini precise e dettagliate:
“Tra Sale San Giovanni e la loro destinazione c’è un intensa ora di viaggio, tutto langarolo, un saliscendi tra colline assopite e umide, borghi cinti da mura e castelli turriti, assediati a loro volta da infinite vigne pendenti. Le aziende vinicole e i luoghi di svago oggi offrono l’unico prodotto locale poco amato dai turisti e molto dai poeti, quell’acquerugiola fine che impregna abiti e cuore. Rami spogli di noccioli si alternano alle ultime rosse foglie di vite, la vendemmia alle spalle, i tartufi imminenti. Fumi di sterpi si allargano sulla terra, schiacciati dal cielo pesante, mescolandosi ad altri infiniti odori senza tempo.”,
il romanzo racconta, con perizia e grazia di stile, una storia dei giorni nostri, una cartolina vivida di questi territori, dove tutti conoscono tutto di tutti, ma l’imprevedibile è sempre dietro l’angolo. Una storia ben elaborata e concettualizzata di dolore, violenza, di rancore mai sopito che cova sotto la cenere, narrata con una prosa fresca e vivida, ricca di dialoghi e di dettagli. Un plauso all’autrice per aver scritto un romanzo che si gusta con piacere e che risponde bene ai canoni classici del genere a cui appartiene. Una bella storia!