Il paradosso di Napoleone
Letteratura italiana
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Napoleone e le strategie investigative
Carlo De Filippis, torinese, dopo il suo romanzo d’esordio Le molliche del commissario, torna con Il paradosso di Napoleone, sempre con protagonista indiscusso il commissario Salvatore Vivacqua, detto “Totò” dai pochi intimi a cui è concesso l’onore.
Lui a Torino è commissario di Polizia e capo della Omicidi. Siciliano, trapiantato, ha più di cinquant’anni e l’orecchio sinistro tranciato da un colpo di pistola. Una figura di investigatore tenace e comprensivo,
“dai metodi poco ortodossi e dalla grande intelligenza”.
Divertente per il suo particolare senso dell’umorismo tipico dei siciliani e una grande umanità, nonostante i crimini che deve affrontare. Totò ha imparato ad amare la sua città, trovando nella capitale sabauda più di un richiamo alle terre natie:
“per quel tono di serietà che Torino mette nelle cose, quel senso di dignità, di eleganza, di storia che solo se sei nato nel Sud riesci a capire”.
In questo libro a Vivacqua arriva una telefonata dal questore: gli intima di recarsi immediatamente a Carmagnola per una grana bella grossa, un ginepraio che mette a dura prova le capacità del nostro.
Pierluigi Paternostro, ex hippie tanto geniale quanto sregolato, è stato massacrato nella sua maestosa tenuta di campagna. La vittima era una persona pacifica, magari originale, ma senza nemici, ed è difficile pensare a qualcuno così pieno di odio da volerlo uccidere in quel modo, con così tanta, efferata violenza. A complicare ancora di più le indagini il fatto che il cadavere è stato rinvenuto a ben quattro giorni dalla sua morte, un lasso di tempo che comporta un ritardo investigativo pesantissimo. E mentre il commissario, come è solito operare, cerca i minimi indizi rivelativi ecco che i cadaveri aumentano e le alte sfere, i politici e le varie autorità premono per una risoluzione in breve, facendogli intendere che se non trova un colpevole in tre giorni, si troverà senza più indagine, che sarà affidata ad un esterno. Ecco che il nostro commissario, con così pochi giorni a disposizione, si trova costretto a dare il massimo e a puntare molto sulla sua squadra: il mite serafico analitico Sergio Santandrea, detto il Giraffone, l’atletico Migliorino, il più apprezzato nel lavoro sul campo, e poi Carbone, Pantanè… e un ospite speciale: il dottor Meucci, funzionario del Ministero in visita, un romano fanatico per Napoleone, argomento su cui ama intrattenersi con dovizia di aneddoti e interpretazioni storiche. Infatti così ragiona:
“Il paradosso è che a Marengo Napoleone vince perché l’imponderabile ha capovolto le parti: gli ha staccato una cambiale che prima o poi dovrà essere rimborsata. Lui non lo sa, ma la scadenza è a quindici anni esatti, in un angolo dimenticato del Belgio, a Waterloo. Può darsi che l’uomo al quale state dando la caccia, quello che sguscia a causa dell’imponderabile, abbia esaurito il credito, e magari adesso è ora di stanarlo.”
E proprio “il paradosso di Napoleone” giocherà un ruolo fondamentale verso il finale di partita, quando Vivacqua e il killer si troveranno uno di fronte all’altro. Un’ottima ed intrigante lettura.