Il metodo Catalanotti
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Verosimile o similvero?
Andrea Camilleri porta nuovamente in scena la sua creatura più splendente con una nuova avventura interamente dedicata al mondo del teatro, che l’autore siciliano così ben conosce e ama. E, per una volta, trasforma i suoi affezionati lettori in veri e propri spettatori.
Sul palcoscenico letterario si mescolano realtà e finzione, in uno strano gioco delle parti. Attori che recitano le proprie verità. Cadaveri che si sdoppiano e si nascondono. Drammi sociali che diventano scenografie. Addirittura brani in corsivo si stagliano dalle pagine per incastonare scene drammatiche o divertenti, dotate della forza immaginifica di un film, o citazioni poetiche a sottolineare attimi di intensa emozione. Perché in questa rappresentazione sono in scena, ancora una volta, le passioni. Le passioni di Salvo Montalbano.
La sua acuta curiosità di sbirro, innescata dalla figura di Carmelo Catalanotti, vittima dai connotati oscuri e ambigui. Colto lettore, usuraio di medio calibro, regista sperimentatore di un proprio, personalissimo, metodo di recitazione basato sullo scavo psicologico e sulla ricerca di quella goccia di verità nascosta, capace di trasformare un attore in un interprete del similvero. Poi lo sdegno civile, di fronte a un mondo che priva gli uomini del lavoro e, così, della dignità e nega ai bravi giovani persino la possibilità di sognare un futuro semplice. E, infine, la passione di un uomo che si sentiva destinato a un lento tramonto e, all’improvviso, si sente vivo, in preda alle impetuose emozioni di un’inaspettata e irrinunciabile fantasia sentimentale.
Molto semplice la trama e piuttosto prevedibile la pista criminosa, la bellezza della scrittura di Camilleri sta nella straordinaria capacità di tracciare scenari, che siano ambientali o piscologici. Uno dei romanzi più introspettivi della serie, in cui le malinconiche riflessioni e gli imprevedibili entusiasmi del commissario diventano trama a sé.
Con la solita penna ironica e leggera, che sempre incanta, Camilleri incastona un nuovo, importante tassello nella storia del suo personaggio, che, mai come stavolta, ci appare fragile e umano. A fine lettura, prevale una sensazione dolce-amara di stordimento, di sospensione in una strana dimensione di irrealtà dove l’impossibile sembra possibile.
Un po’ confusa, non mi rimane che salutarti, Salvo. Alla prossima avventura.
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Un innovatore metodo teatrale
Il metodo Catalanotti di Andrea Camilleri è l’ultimo romanzo che vede protagonista il famoso commissario Montalbano Salvo.
Si inizia con il solito Mimmì Augello, solito “fimminaro”!, che dovuto fuggire da un incontro “galante” con la bella Genoveffa, calato giù da un balcone, finisce in un appartamento con una “sorpresa”: nientemeno che un morto, vestito di tutto punto, persino con le scarpe. Come fare? Mentre con Montalbano studiano come uscire da una tale situazione, devono occuparsi di un altro cadavere. Solo che non è il loro! L’indirizzo del deceduto è diverso, e costui corrisponde al nome di Carmelo Catalanotti. Che, in vita, era un uomo strano. Viveva di rendita, a volte faceva l’usuraio, ma a prezzi modici, e soprattutto è l’inventore del cosidetto “metodo Catalanotti”:
“Per lui il teatro era il testo. Tutto doveva nascere dal testo. Anche i costumi, le scene, le luci derivavano dalla scrittura teatrale. Fondamentale era il suo lavoro sull’attore.
E’ un po’ complicato, provo a spiegartelo: Carmelo voleva che ogni attore per interpretare il suo ruolo partisse da qualcosa di profondamente personale. Che so, un trauma, un momento di vita, un amore sbagliato, un’esperienza privata, profonda, intima, che in qualche modo potesse servire a quello che il testo richiedeva. (…) Cominciava a scavare nell’intimo di un attore per cercare, per esempio, l’equivalente di un senso di assenza, come può essere la vedovanza, e in questo era abilissimo. Riusciva ad abbattere le difese personali di chi gli stava davanti fino a fargli emergere un qualcosa di similare: un lutto recente, un divorzio, persino un trasloco, insomma un’emozione traumatica che avesse a che fare, come in questo caso, con una mancanza, con un vuoto. (…) Direi piuttosto uno Stanislavskij corretto, rivisto e modernizzato.
Carmelo aveva la straordinaria capacità di tirare fuori da ognuno di noi tutto, dico tutto, quello che avevamo dentro. E adoperarlo in funzione teatrale. Mi creda, era come una cura, dopo ogni spettacolo io e il mio compagno avevamo voglia di correre, tanto ci sentivamo…. Come dire, liberati, sciolti. Il prezzo pagato era altissimo e sconvolgente, certo alcuni dei miei colleghi non si sono sentiti di affrontarlo. Non tutti hanno questa voglia di confrontarsi con le loro verità più nascoste.”
Un immersione totale nel mondo del teatro, dove traspare la grande passione dell’autore stesso. Coniugata con il procedere assicurato delle indagini.
Un romanzo sulla passione: sia per il teatro come per l’amore. Infatti il commissario qui conosce Antonia, capo della scientifica, e tornato indietro alla gioventù, se ne innamora. La storia d’amore con Livia segna il passo coi tempi, lei è lontana, sempre più assente e distante. Una sorta di malinconia – velata e mitigata da una sorta di dolcezza, percorre tutto il romanzo. Montalbano non è più giovane, il tempo trascorre inesorabile, e le forze non sono più quelle di una volta. Ma… un guizzo liberatorio sarà centrale nella narrazione e nel finale più enigmatico e fascinoso che mai.
“un romanzo, tecnicamente suggestivo, che una relazione dirompente racconta in modo da farle raggiungere il più alto grado di combustione nei versi di una personale antologia di poeti.”.
Un romanzo che accompagna con tenerezza il lettore alla scoperta dell’animo profondo di ogni essere umano, con fascino e rara intensità.
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Decadenza e fragilità di Salvo Montalbano.
C’è qualcosa che non funziona in questo ennesimo romanzo di Andrea Camilleri, fra l’altro uno dei miei autori preferiti: sarà lo stile non più fluido, un po’ farraginoso, con situazioni macchiettistiche stranote e ripetute, sarà la storia in sé, non facilmente comprensibile e con punti oscuri, sarà lo stesso protagonista, l’amatissimo commissario Salvo Montalbano, che finalmente rivela lati deboli e cadute di stile inimmaginabili solo qualche romanzo fa. Cominciamo dalla storia, che parte con due morti ammazzati (apparentemente!), uno dei quali è appunto il Catalanotti del titolo, un attore/regista teatrale singolare, ossessionato dalla rappresentazione realistica delle commedie messe in scena, provate e riprovate stressando gli attori anche fuori dal palcoscenico e mettendoli in condizioni di vivere lo spettacolo in condizioni estreme, con emozioni vere e il più possibile aderenti alla realtà della vicenda teatrale. L’assassino viene cercato tra gli attori della compagnia, e Montalbano, il suo vice Mimì Augello e il buon Fazio indagano, con vari colpi di scena e svariate piste da seguire, lasciando spazio anche ad altre storie concomitanti, di usura e di maltrattamenti familiari. Ma la vicenda che si intreccia con le indagini e che occupa pagine e pagine del romanzo è l’inatteso innamoramento (il classico colpo di fulmine) del nostro Montalbano, ormai disilluso dalla routine quotidiana e alle soglie della pensione, per una nuova affascinante collega della Scientifica, che collabora con lui e che, ai primi sguardi, gli fa perdere la testa: il poveretto non si dà pace, arrivando addirittura a rifarsi il guardaroba spendendo una fortuna in scarpe e vestiti, ed a mandare a quel paese la donna della sua vita, la pazientissima Livia, che dalla Liguria lo tempesta di telefonate chiedendo ragione dei suoi silenzi. Ma Antonia, la nuova fiamma, sembra considerare il nostro commissario solo un’infatuazione del momento: infatti, terminato il suo lavoro investigativo, non esita a chiedere il trasferimento piantandolo, ahimè, in asso. Sarà un vero addio? Il finale lascia infatti qualche dubbio, che presumibilmente verrà chiarito in un prossimo romanzo. A parte la vicenda sentimentale, Camilleri insiste nel proporci, di romanzo in romanzo, un commissario quasi bulimico, perennemente affamato: paste ‘ncasciate, caponatine, grigliate, melanzane alla parmigiana, fritture di pesce, ogni ben di dio preparato dalla fedele Adelina o divorato dall’amico oste Enzo finisce nel capace stomaco di Montalbano, annaffiato da vino in abbondanza e benedetto da intere napoletane di caffè. Per non parlare delle sigarette: ma qui forse Camilleri vuol farci capire che, come lui stesso ultranovantenne fumatore incallito, anche la sua creatura rappresenta un’eccezione, e che, come tutte le eccezioni, conferma delle regole. C’è però Livia, la donna di sempre, che, nel romanzo, suggerisce alcune norme dietetiche per Salvo: riuscirà a convincerlo e, soprattutto, a riconquistarlo? Aspettiamo …