Il grido della rosa
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Bene ma non benissimo
Alice Basso torna in libreria con il secondo libro dedicato alla serie di Alice Bo ambientata al tempo del fascismo. Alice ha vent'anni, è una bellissima brunetta che fa girare gli uomini per strada e ha deciso di posticipare il matrimonio con Corrado di sei mesi, per prendersi del tempo per lavorare; le sue poche doti da dattilografa l'hanno portata a lavorare per la rivista “Saturnalia” solo che quello che doveva essere un semplice impiego momentaneo è invece diventato qualcosa di più.
Alice ha scoperto l'amore per i gialli, romanzi di cui si occupa la sua rivista e con Sebastiano, figura centrale nonché autore, danno vita ad un nuovo personaggio:
“”Dobbiamo ricordarci per quale ragione abbiamo dato vita a J.D. Smith”, dice Sebastiano. “Doveva essere per poter raccontare le storie escluse dalla giustizia ufficiale e dai giornali, giusto? Per portare alla luce i soprusi che la legge non vuole punire. Perché non passino totalmente sotto silenzio, e le vittime possano ricevere quantomeno un po' di empatia, di riconoscimento e di affetto dai lettori visto che tanto un vero risarcimento ufficiale non arriverà mai.””
Alice Basso, documentandosi, mette in luce la vita delle donne e soprattutto delle ragazze madre e delle prostitute al tempo del fascismo. Con leggerezza parla di argomenti importanti che spesso molti evitano di approfondire ma che purtroppo fanno parte della nostra storia. Il giallo questa volta è più presente, entra subito nel vivo rispetto all'altro romanzo e l'indagine è più approfondita. L'autrice punta sempre sui suoi protagonisti e in questo volume anche Clara e Candida ( le mie preferite) diventano personaggi più presenti.
La Basso parla di amicizia, di amore e della giustizia che purtroppo non sempre fa il suo giusto corso. Mette in luce le difficoltà del tempo e come le apparenze spesso sono l'unica cosa che conta. Dà parola anche a quelle persone che al tempo non ne avevano. Fin qui tutto bene, cosa stona almeno per me in questo libro? Semplicemente lo stile e le ripetizioni. La Basso non si migliora rimane sempre allo stesso livello, non vedo una crescita ma casomai una decrescita. Per me è una scrittrice che va letta a piccole dosi o a dosi singole, in quel caso fa colpo perché lo stile è particolare e valido ma sul lungo andare la monotonia stilistica non aiuta, la simpatia perde di brio, quello che divertiva all'inizio alla fine diverte meno. Vorrei non che stravolgesse il suo modo di scrivere ma apprezzerei dei cambi di registro o comunque qualche novità.
“Il grido della rosa” è un libro leggero, adatto sotto l'ombrellone che farà divertire le meno “fiscali” e che farà apprezzare il contesto storico alle più esigenti. Un libro spensierato, adatto a chi cerca cose del genere, per letture più impegnative rivolgersi altrove!
Buona lettura!
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Anche le rose sanguinano
Ormai sono alcuni mesi che Anita Bo lavora come dattilografa nella casa editrice che pubblica la rivista di polizieschi “Saturnalia”. È felice del suo ruolo che, in un’occasione, è sfociato in qualcosa di ben più serio ed eccitante del battere alla macchina per scrivere le traduzioni dei gialli americani dettati dal suo capo Sebastiano Satta Ascona. Assieme a lui, infatti, ha indagato su un brutto omicidio e, una volta accertato come i fatti s’erano veramente svolti e che il colpevole era diventato un eroe del fascismo, ne avevano tratto un racconto di denuncia camuffato da storia proveniente dall’estero, per non irritare gli occhiuti censori del regime.
Ora siamo in pieno agosto e a Torino regna la calma, però – durante un ricevimento dei conti Pazzaglia a cui, per dovere di ruolo, partecipa pure Sebastiano con la fidanzata Mavì – viene scoperto il cadavere di una ragazza ai piedi del cancello d’ingresso. Si chiamava Gioia, era sordomuta ed era la madre naturale del bambino che i conti hanno appena adottato e per festeggiare il quale hanno dato il ricevimento. Perché la ragazza si trovava lì? Com’è morta? È stato un incidente causato dal tentativo maldestro di intrufolarsi nella festa? O non piuttosto un omicidio, tenuto anche conto dei tanti lividi che ne ricoprivano il povero corpo?
Anita, Sebastiano e Diana, l’amica di Gioia che assieme a lei era assistita dall’OMNI, l’organizzazione che si occupa (maldestramente) delle ragazze madri, propendono più per la seconda ipotesi, ma come fare ad accertarlo e, poi, come comportarsi per ristabilire un po’ di giustizia, nell’ipotesi in cui si sia trattato davvero di un omicidio, ma commesso da qualche personaggio “intoccabile”?
Seconda avventura per la procace e irruente ragazza torinese degli anni ’30. Questa volta, assieme al suo capo, contribuiranno a investigare sul caso anche la sua amica del cuore, Clara, e la sua ex professoressa Candida Fiorio, che, guarda caso, è patronessa dell’ONMI.
Il romanzo prosegue nei toni lievi già noti e, con garbata ironia e tocco gentile, racconta sia la vicenda gialla, non particolarmente aggrovigliata, sia, soprattutto, la vita e i sentimenti di Anita che si dibatte tra un blando antifascismo – dettato più da un senso generale di ribellione contro tutte le forzature e imposizioni (comprese quelle della sua tirannica madre Mariele) che da precise idee politiche – un, ormai tiepido, affetto per il suo fascistissimo fidanzato Corrado Leone, un’infatuazione faticosamente repressa per il suo capo, e l’eccitazione adrenalinica che le suscita il suo occasionale ruolo di investigatrice ombra e di autrice, a mezzadria, dei racconti-denuncia che Satta Ascona firma su Saturnalia con lo pseudonimo di John Dorcas Smith.
La lettura scorre veloce sino alla prevedibile conclusione strappando qualche risata e, in generale, donando momenti di distensivo divertimento. L’ambientazione è accurata e corretta, anche se, forse, accetta in modo un po’ pedissequo tutti i luoghi comuni legati al periodo. Tuttavia, non volendo essere un romanzo di critica storica o, comunque, impegnato, risulta è accettabile.
Lo stile, come detto, è fluido e leggero, ma non banale. Magari si potrebbero ridurre gli incisi tra parenesi, e lo dice uno che di suo sa di abusarne. L’ironia spesso è ben calibrata e coglie nel segno. Forse, alla lunga, possono risultare fastidiosi certi tormentoni a cui l’A. pare non aver voglia di rinunciare. Questi, inizialmente, risultano pure divertenti, ma vengono reiterati con eccessiva frequenza. Mi riferisco, ad esempio, all’abitudine di inserire paragoni paradossali o anacronistici giusto per fare umorismo (“Sembrerebbe un esperto di arti marziali, se lei o Anita sapessero qualcosa di arti marziali”; “Anche Diana sta guardando Anita con occhi tondi da tarsio (se almeno una delle tre ragazze nella stanza sapesse cos’è un tarsio". E così via…).
Però, ripeto, è un romanzo leggero, che sfrutta il momento storico solo come fondale davanti al quale ambientare le proprie rappresentazioni, quindi sono accettabili anche artifici retorici un po’ abusati.
L’unico timore è che la serie, per ora decisamente gradevole, continui sugli stessi toni anche in futuro, divenendo ripetitiva e monotona.
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Troppa polenta
I generi letterari, sempre che esistano ancora, sono spesso associati ai colori: giallo, rosa, nero. Ma qual è il colore dei romanzi di Alice Basso dedicati alla graziosa e apparentemente frivola dattilografa Anita Bo? Servirebbe coniare un nuovo genere a tinte pastello che possa rappresentare queste pagine leggere e frizzantine, in grado di mescolare sentimento, storia e un pizzico di mistero allo scopo di intrattenere con garbo, senza prendersi troppo sul serio.
Siamo nella Torino del 1935 e la cura con cui viene tratteggiato il contesto testimonia un approfondito lavoro di ricerca, eppure la storia rimane sempre sullo sfondo, solo intravista attraverso gli elementi di costume, i personaggi e i piccoli dettagli d’epoca con cui l’autrice si diverte a giocare. Scopriamo così la meravigliosa Petronilla, che dalle pagine del Corriere dispensa ricette per cucinare ottime creme all’uovo senza uovo o salse di lepre senza lepre. Facciamo la conoscenza di tanti protagonisti, e protagoniste, della letteratura hard-boiled del tempo, a cui, proprio come Anita, finiamo per affezionarci. Impariamo a muoverci tra l’atletismo dei sabati fascisti, la carità ipocrita dell’Opera Nazionale per la Maternità e l’Infanzia e la tristezza delle case di tolleranza.
Uno sguardo speciale è riservato infatti alle donne. A ben guardare, fatto salvo Sebastiano Satta Ascona, anima letteraria della rivista Saturnalia, che affianca passo passo Anita nel suo percorso di crescita personale, civile e sentimentale, tutto ruota intorno a figure femminili. La solida amica Clara e la professoressa controcorrente Candida, coinvolte ancora una volta in avventate scorribande investigative. Le ragazze madri Gioia e Diana, con le loro storie di sopruso e dolore. E ovviamente Anita, sempre più appassionata e consapevole nel suo desiderio di giustizia, nel suo bisogno di alzare la voce in un mondo che impone il silenzio.
La scrittura briosa e ironica di Alice Basso è garanzia di piacevolezza, eppure devo ammettere di avere avvertito una certa stanchezza nella lettura. Una sensazione già presente negli ultimi due episodi dedicati alla ghostwriter Vani Sarca, che avevo in quel caso attribuito alla trama, e nello specifico al dilungarsi di una serie che per mio gusto avrebbe potuto chiudersi prima, e che qui invece si rivela chiaramente frutto dello stile più che dell’intreccio. Similitudini quantomai bizzarre, interiezioni piemontesi e il gioco dell’italianizzazione delle parole sono una sorta di marchio di fabbrica, e mi hanno strappato ancora un sorriso, ma all’ennesima “Santa polenta!”, fritta o coi funghi che fosse, questa volta ho davvero sentito il bisogno di chiudere per un po’ il libro, come per prendere fiato da un'afa di patinato entusiasmo. Giudizio in sospeso, aspettando la prossima avventura.