Il giorno dei morti. L'autunno del commissario Ricciardi
Letteratura italiana
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Il romanzo dell'infanzia perduta
Quarto episodio della serie del commissario Ricciardi, ambientata nella Napoli degli anni ‘20, che dipinge una città dai colori grigi e dai toni freddi, in sintonia con la malinconia intrinseca del protagonista, un uomo destinato a camminare nel dolore e ad esserne soffocato. L’indagine ruota attorno alla morte di uno scugnizzo, un bambino come ce ne stanno tanti in questa città, sulla strada, un po' figli di nessuno, un po' abbandonati a se stessi, un po' figli di chi se li trova sulla propria strada e ne può cambiare, nel bene e nel male, le sorti. Interessante è la storia, il Fatto che si rivela in maniera inaspettata, ma più ancora lo è l’evoluzione dei personaggi, anche di quelli secondari. Ci ritroviamo a provare sempre più simpatia per Bambinella, che si rivela essere il centro dell’informazione della città, così come a trovare sempre più irritante Garzo, sempre più schiavo dei poteri forti. Magistrale il capitolo in cui l’autore descrive una domenica sotto la pioggia, con il punto di vista di tutti i personaggi, in una girandola che li tocca tutti, senza dire il nome di nessuno. Un tocco di classe la postfazione, in cui l’autore dialoga direttamente con uno di loro, in questo caso il dottor Modo, in uno scambio che trascende reale ed irreale, Napoli vecchia e Napoli nuova.
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Per ora il migliore della serie
Napoli è in subbuglio, non solo per l’acqua che continua ad inondare la città e sembra non dare tregua ai suoi abitanti, ma e soprattutto per una visita inaspettata, il Duce sta per arrivare. Se Ganzo solitamente è un tormento e una spina nel fianco del Commissario, con questo arrivo imminente non darà tregua a nessuno, la città deve presentarsi al meglio e soprattutto deve dimostrare che il fascismo vive e cresce in una Napoli ordinata e fedele.
Come sempre Ricciardi non è interessato a queste cose e un caso che sembra già concluso all’inizio non lo convince fino in fondo e neanche Ganzo e l’arrivo del Duce riusciranno a fermarlo perché questa volta il caso coinvolge un bambino.
“Se c’era una cosa che odiava erano i bambini morti. La sensazione di spreco, di rinuncia, di occasioni perdute. Un popolo, una civiltà si qualifica dalla cura per la propria infanzia, aveva letto in un libro. Non ne usciva bene, quella città”.
Il lettore verrà toccato in profondità e più conoscerà la storia del piccolo Tetté più capirà la cattiveria umana che si accanisce sugli indifesi, su coloro che pur di ricevere una sola carezza venderebbero l’anima al diavolo.
Rispetto agli altri racconti della serie, ho trovato un De Giovanni molto più poetico, quelle che potrebbero sembrare delle digressioni le ho invece trovate un vero tocco di delicatezza e poesia, c’è una descrizione dell’acqua davvero toccante e suggestiva.
Un Ricciardi sempre più in difficoltà si troverà di fronte anche a nuove svolte sentimentali, sono un po’ preoccupata per lui, si trova in mezzo a più fuochi.
L’incontro finale fra l’autore e il Dottor Modo conclude il libro in maniera eccezionale. Posso dire che questo per ora è il mio preferito, un vero capolavoro nel suo genere, bravo De Giovanni, ogni volta riesci a stupirmi e i tuoi personaggi sono eccezionali.
“Capone, non m’incanti: tu sei un ladro. E uno dei peggiori, perché non sembri un ladro. Io apprezzo quelli che escono di notte, con i ferri sottobraccio, vestiti di scuro: noi li acchiappiamo e li sbattiamo dentro, noi facciamo i poliziotti e loro i ladri. Non negano e, una volta che non sono riusciti a scappare, si rassegnano. Fanno i ladri. È il loro mestiere. Al contrario, quelli come te sono la rovina di questo posto. Fanno finta di essere onesti, e invece sono marci”.
Buona lettura!!!
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TETTÈ
Un bambino, uno come tanti. Il classico scugnizzo, abbandonato a sé stesso, alle intemperie, alla povertà, alle miserie della vita. Il suo gracile corpicino viene rinvenuto nelle prime ore del mattino, il suo unico amico, un cane bastardino a chiazze, è rimasto con lui sino alla fine ed ora, seppur privo della facoltà di parlare, sussurra e chiede a Ricciardi di indagare, perché non tutto è come appare, non tutto è come sembra. Il suo è uno sguardo silenzioso, mosso, dalla volontà di giustizia ma anche dal legame di fedeltà che lo stringeva al piccolo balbuziente che soltanto con lui sapeva parlare.
Ed il commissario Luigi Alfredo Ricciardi non si sottrae a quella preghiera, a quella richiesta sorda. Non può farlo perché quegli occhi sembrano invocarlo a gran voce, non può farlo perché qualcosa nel ritrovamento del cadavere non lo convince. Va contro tutto e contro tutti il funzionario, arriva addirittura a prendersi qualche giorno di ferie, lui che non si è mai assentato dal lavoro, lui che è sempre arrivato prima dell’orario di inizio del turno per andarsene ben oltre dopo questo, pur di poter investigare, pur di poter arrivare alla verità. In contemporanea, l’imminente visita del Duce in quel di Napoli, in contemporanea il corteggiamento incessante della vedova Vezzi ormai trasferitasi in città, in contemporanea il sodalizio tra la tata Rosa e la paziente e calma Enrica, in contemporanea Modo e Maione, antitesi perfette dell’agente.
Un capitolo, questo, dove De Giovanni non manca di toccare il cuore di chi legge, dove l’autore non manca di solleticare le corde più intime. Perché sotto la falsa veste dell’indagine di polizia, tante sono le tematiche che vengono toccate ed affrontate, molteplici sono le riflessioni indotte.
E’ mediante l’ausilio di due creature affini, il piccolo cane e il bambino affetto da balbuzie, entrambi così magri da potersi perfino assomigliare, che la magia ha luogo, che il ruolo e la figura del protagonista si consolidano, che la visione di una Napoli affamata e indigente ma prostrata al Fascismo si palesa, che l’emarginazione sociale affetta e penetra nei cuori. Poiché sono sempre i più deboli a pagare il conto di quella avidità e povertà, loro, gli invisibili, i dimenticati. I dimenticati che sono avvicendati da un semplice ed ineguagliabile legame: la lealtà. E’ da questo che traggono la forza di andare avanti, di sopravvivere.
«Perché sono stato un bambino anch’io orfano pure io, brigadie’. Senza un padre e senza una madre, abbandonato in mezzo alle strade di questa città. Io lo so, che non sei niente; che se campi o muori è lo stesso e nessuno se ne fotte. Mi sono dovuto guadagnare la vita a bocconi e a morsi, proprio come a questa creatura sfortunata che avete trovato a Capodimonte. Diciamo che è stato un fiore sulla cassa di questo bambino. Un fiore da parte di Bambinella» p. 236
Non mancano infine, le tanto attese svolte in ambito sentimentale, ma in merito non svelo altro in quanto queste non sono che i primi passi per quegli sviluppi che troveranno una evoluzione significativa e concreta nell’ultimo capitolo della serie, “Rondini d'inverno. Sipario per il Commissario Ricciardi”, da ieri disponibile in libreria (e che si, lo confesso, ho già letto).
In conclusione, “Il giorno dei morti. L’autunno del commissario Ricciardi” è un testo caldo, avvolgente, empatico e ricco di contenuti, un testo avvalorato da uno stile fluido che accarezza il conoscitore e che non pecca nemmeno per ricostruzione storico-ambientale.
«Acqua. Acqua che non lava. Che scende in mille fiumi e trascina il fango sulle soglie dei bassi e dentro, allungando dita melmose sui pavimenti in terra battuta, nella paglia annerita dei letti. Che picchia sulle finestre e sveglia il sonno, o reca nei sogni fantasmi di antichi dolori. Che lascia tracce nere sugli alti muri di tufo, trovando vie in vecchi palazzi per minarne le fondamenta. Che imbratta scarpe lucide e strappa ombrelli nelle mani, perché non vuole ostacoli per entrare nelle anime e portarci l’umido della tristezza. Acqua che separa. [..] Acqua che deruba [..]. Acqua che fa paura. [..] Acqua che non finisce» pp. 57-58
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Tettè e Cane
I giorni d'autunno svegliano Napoli con uno sbadiglio di pioggia, fresco e pungente il venticello stuzzica l'inverno mentre le stufe si accendono tra tizzoni scoppiettanti, per chi se lo puo' permettere.
Un bimbo vestito di stracci, un orfano di strada siede a terra con le manine composte e gli occhi spalancati, il suo unico affetto - randagio e cane - accucciato col pelo fradicio, un orecchio alzato. Due creature sole, affamate, vittime delle vessazioni altrui con quelle costole sporgenti che li fanno perfino assomigliare. Immobili, il cane veglia ed aspetta il suo scugnizzo; il bambino e' lontano, troppo lontano con la pelle grigia e le membra rigide. Non tornera' mai piu' ad accarezzare l'amico.
Il quarto volume della serie consolida le fondamenta per un'ennesima indagine del commissario Ricciardi, eppure lo sviluppo del libro catalizza e devia l'attenzione del lettore in un romanzo appassionante a prescindere. Questa e' infatti prima di tutto la voce di un piccolo balbuziente di una Napoli affamata e calzata nei neri stivali lucidi del fascismo, in una storia di emarginazione sociale che colpisce i piu' deboli, laddove poverta' ed avidita' mozzano il fiato in gola.
E' il racconto di due cuccioli invisibili in un legame di grande lealta' , dove l'uno nell'altro trovano la poca forza per sopravvivere.
Da non dimenticare, per chi da quattro libri attende una svolta nelle vicende amorose del bel Ricciardi, che nel giorno dei morti ci son moribondi che possono risuscitare.
Tenero ed avvolgente, belle le ambientazioni cittadine tra vicoli e palazzi, non manca di immagini dal retrogusto poetico in una narrazione fluida ed amabile.
Questo e' per ora il mio volume preferito della serie, buona lettura.
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il troppo stroppia... ma anche no!
Diciamoci la verità! Chi no ha mai affermato, con tono saccente, che il secondo episodio è sempre peggio del primo? Vogliamo fare degli esempi? no.... vi risparmio la carrellata di luoghi comuni e arrivo diritto al cuore del problema come sembra fare il nostro Maurizio in questo libro!
Ma partiamo dal luogo comune che aleggia nelle nostre teste! In questo caso, e non solo per fortuna, il secondo episodio lo abbiamo passato egregiamente, essendo al quarto, e. a mio modesto parere, siamo arrivati a superare le più rosee aspettative fornendo, al lettore, un vero e proprio capolavoro che ti fa entrare nel mondo Ricciardi con una piacevolezza che prima non conoscevi.
La delicatezza del racconto si mescola alla pesantezza della cornice! Bimbi che muoiono in contesti di povertà assoluta, una dittatura che si fa sempre più pesante e pressante fanno da sfondo alla vita del nostro commissario che, sembra, arrivata ad un bivio.
Il cuore, come si era detto in principio, rimane l'organo che più ti servirà in questo libro per farlo battere all'unisono con i protagonisti sentendoti quasi partecipe dell'intreccio amoroso di cui, il nostro commissario, è partecipe!
La lettura è consigliata! straconsigliata e consigliatissima...
Forse uno dei migliori giallisti italiani? provare per credere!
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Topi e scugnizzi
La morte di uno scugnizzo napoletano sta al centro delle vicende di questo romanzo e delle indagini del commissario Ricciardi, uomo affascinante e malinconico con un segreto che lo condanna alla solitudine.
Lui vede quello che gli altri non vedono, vede i morti che hanno lasciato questa terra in modo violento, e riesce a sentirne gli ultimi pensieri, pensieri di vita a volte incongrui con il momento tragico, perché «morendo si va verso il nulla guardando indietro».
Non vede però il fantasma di Tettè, orfano ritrovato morto per strada, un corpicino inerme che racconta in silenzio una sofferenza troppo grande per lui e sembra immolato sull'altare del dolore.
Niente di così strano in apparenza nel decesso del bambino: gli scugnizzi della Napoli degli anni Trenta muoiono come le mosche, anzi come i topi dei bassifondi.
Eppure qualcosa reclama una verità taciuta: gli occhi di un cane randagio, innanzitutto, unico amico di Tettè e solo al mondo come lui.
La prima metà del romanzo è la più intensa, poi la narrazione si fa po' ripetitiva e il finale a sorpresa è forse un tantino forzato. Da rilevare anche una svista su un dialogo, non del tutto trascurabile trattandosi di un giallo.
Ma lo stile è fluido e vivace, ambienti e personaggi sono delineati con efficacia e il ritmo abbastanza incalzante, condito di interessanti flashback, tiene desta l'attenzione del lettore.
Le pagine dedicate al bambino e al suo cane immersi in una quotidianità fatta di violenze e soprusi sono le più toccanti e ricordano i racconti di Dickens in salsa partenopea: le due creature derelitte sembrano incarnare l'emblema dell'innocenza oppressa.
Tutto attorno c'è un mondo crudele, meschino, avido, che accomuna palazzi signorili e quartieri bassi, e c'è una città che sotto l'incessante pioggia autunnale rivela il suo lato oscuro, mentre la sua solita teatralità diventa menzogna.
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un romanzo bellissimo e tristissimo
Il commissario Ricciardi sembra aver perso la capacità, per lui fonte di immenso dolore ma utile nelle indagini, di recepire le ultime parole, gli ultimi pensieri dei morti. La morte di un bambino, tragica ma apparentemente accidentale, di un bambino lo tormenta. Un romanzo bellissimo ma triste come pochi altri. l'ambientazione, in una Napoli cosi diversa da quella descritta nella propaganda fascista, è superba. De giovanni si conferma uno dei migliori scrittori italiani.
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Una pioggia che bagna le anime
Autunno, la quarta stagione delle indagini del commissario Ricciardi.
Un autunno piovoso quello del 1931, che va a bagnare le anime dei protagonisti, li porta dalle sfarzose ville dell'estate alle strade, rigate dalla copiosa acqua piovana.
De Giovanni passa dall'omicidio di una duchessa del precedente episodio, ambientato in lussuose dimore ad una morte bizzarra e per molti insignificante: quella di un ragazzo di strada, un orfpanello che vive presso un bugigattolo messo a disposizione dall'avido parroco più per interesse che per carità!
Il povero Tettè, bambino balbuziente il cui solo amico è un cane randagio, viene trovato senza vita su una scalinata, il responso è chiaro: avvelenato da un boccone per animali. La fame ha mietuto un altra vittima? Il commissario Ricciardi, insospettito dal Fatto che, non gli fa vedere il fantasma del piccolo durante i suoi ultimi momenti di vita, non è comvinto che la morte di Tettè sia stato un semplice incidente.
Nella Napoli in subbuglio per l'imminente arrivo del Duce, Ricciardi decide di prendere ferie e di vederci chiaro sulla faccenda.
A mio modesto avviso il più bel libro della serie, con i personaggi già conosciuti che si ritrovani catapultati in un'indagine strana ma delicata.
Un giallo questo di De Giovanni che, tocca l'anima del lettore, lo trasporta. In emozioni vere, lo accompagna in un'epoca all'apparenza lotana ma, sentimentalmente vicinissima, che fa ragionare su varie discriminazioni e sul mondo dei bambini e della strada.
Voto massimo per un libro che consiglio a tutti!
Bravo De Giovanni, ora è iniziata la serie delle festività con ilmNatale del Commissario Ricciardi, sicuramente troverò il tempo per leggerli e dello spazio in libreria, cosa che consiglio a tutti gli amanti dei bei gialli.
PS consiglio la lettura in ordine sequenziale, dall'inverno all'autunno, questo per scoprire ed apprezzare meglio i personaggi. Consiglio inoltre di seguire cronologicamente prima le stagioni e poi le festività, infatti, alcune relazioni tra i peronaggi sono lasciate in sospeso alla fine di questo libro.
Buona lettura
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Il giorno dei morti
Bravo Maurizio De Giovanni, in questa quarta prova con protagonista il commissario Ricciardi, l'autore ci prende letteralmente in giro, ci tiene davvero in sospeso fino all'ultima pagina con un pathos che non abbandona mai la trama.
Siamo sempre in una Napoli ai tempi del Duce, dove miseria e nobiltà convivono strettamente tra loro, riconoscendosi, attraendosi ed evitandosi allo stesso tempo.
Preciso subito che questo è un puro concentrato dei 7 peccati capitali, l'accidia attraverso la quale si ha paura di affrontare una vita con le sue frustazioni e paure; la superbia attraverso comportamenti che si ripetono contro il debole; l'ira che si impossessa di molti personaggi presenti attraverso gesti violenti gratuiti; l'avarizia questo amore indiscusso nei confronti dei beni materiali, peccato che è rivolto contro il prossimo, se stessi e Dio, ancora più spregievole se compiuto da un uomo di Dio; gola anche se in questo caso non dovuta da un amore sconsiderato verso il cibo ma piuttosto da un bisogno estremo di quest'ultimo a causa della miseria, in cui anche una briciola diventa motivo di contenzioso; lussuria dovuta da un bisogno carnale di un lui in una lei ed una lei in lui ma anche di atroci violenze contro i più deboli e indifesi; invidia forse il peggiore di tutti, antica come l'uomo, si genera quando non si riesce ad identificare se stessi e pur di raggiungere tale identità si demolise quella altrui.
E' stato importante fare questa analisi, credetemi, perchè l'autore ci fa brancolare nel buio estremo dell'animo umano, forse a causa dei tempi di ambientazione o forse per uno stile narrativo di De Giovanni che ci distrae, ci indica un percorso ma al bivio scappa via abbandonandoci senza bussola.
Non si sa più per quale motivo abbiamo deciso di leggere questo libro, forse per le indagini improvvisate caparbiamente, sulla morte di un orfanello di strada o per capire come si svilupperà la vita privata di Luigi Alfredo Ricciardi.
Un vero Big Beng di emozioni, sentimenti, sensazioni che ci travolgono dall'inizio alla fine, con un finale che nelle ultime pagine appare quasi romanticamente poetico.
Sono stato prolisso ma penso che ne valga la pena.
Maurizio De Giovanni meriterebbe molta più attenzione, ripeto come in altre opinioni espresse in altre occasioni, è un De Filippo moderno che ci introduce su una dimensione napoletana assolutamente soffocante.
Un plauso particolare va fatto alla Fandango, casa editrice che ci ha dato la possibilità di apprezzare un grande scrittore, complimenti alle sue copertine che mi ricordano delle opere di Claude Monet, belle da impressionare.
Vorrei parlarvi per ore di questo libro ma vi lascio alla sua lettura, sicuramente più interessante della mia recensione.
Buona lettura a tutti.
Syd
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Le solitudini di un piovoso autunno
“La domenica sotto la pioggia è tutta un’altra cosa.
Ti mette di fronte a quello che non pensavi, a quello che non avresti mai voluto…..La domenica sotto la pioggia chiude le porte…”
Il brevissimo estratto del capitolo XLIX offre già la misura di quello che è Il giorno dei morti, un romanzo giallo ( per la prima volta nella serie che ha per protagonista il commissario Ricciardi c’è un’indagine complessa e intricata, come nelle opere dei migliori autori del genere), ma soprattutto un libro sulla solitudine, accentuata da una fine di ottobre piovosa, umida, quasi laida, che allontana fra di loro i protagonisti.
Il tutto prende spunto dal ritrovamento del cadavere di un bambino, uno scugnizzo, in una nicchia di una scalinata, il corpo composto come se dormisse e accanto, a vegliare, un cane bastardo. I risultati autoptici diranno che è stato avvelenato, probabilmente con l’ingestione, per fame, di un boccone per topi contenente stricnina. Quindi l’ipotesi più plausibile non è di trovarsi di fronte a un delitto, bensì a un mero incidente. Ma il commissario Ricciardi non ne è sicuro, perché quella sua possibilità e condanna che è in lui di vedere le vittime da vive, nel momento del trapasso, udendo altresì le loro ultime parole, nel caso del bambino non si concretizza, segno che il corpo è stato messo lì dopo la morte e, se è così, allora i dubbi e i sospetti sorgono.
In una città di piccole gioie e di grandi dolori come Napoli, sotto una pioggia inclemente che acuisce la profonda malinconia di base, nei giorni immediatamente antecedenti a una visita di Mussolini che agita le istituzioni locali e che stringe gli abitanti in una morsa d’acciaio, lui, Ricciardi, proseguirà le indagini per conto suo, non ufficialmente quindi, perché è evidente che gli è impossibile contestare in modo logico l’ipotesi dell’incidente e per farlo troverà una scusa (affinchè ad altri poveri bambini non accada di mangiare, per fame, un boccone avvelenato) che finisce con il diventare il vero e autentico messaggio dell’opera: lo sdegno, immenso, per le ingiustizie che nasce da un convinto sentimento di pietà per le vittime.
Fra mille avventure, affollate da personaggi indimenticabili, fra i quali spiccano il fidato brigadiere Maione, la cantante Livia che lo brama da tempo e la dirimpettaia Enrica silenziosamente innamorata, si arriverà alla fine del libro, con la soluzione del caso, lasciando la condizione indispensabile affinchè Ricciardi e gli altri attori di questo teatro della vita non ritornino nell’ombra, ma possano ancora allietare i lettori.
Dei quattro romanzi, corrispondenti alle quattro stagioni, Il giorno dei morti è senz’altro il più maturo, il più equilibrato e anche il più riuscito, ma questo era logico, perché de Giovanni, nei suoi precedenti, è andato ancor più accentuando l’eccellente livello di quel suo primo Il senso del dolore con cui si è rivelato; fra l’altro, è un autore che continua a sorprendere per lo stile pulito, per l’accuratezza dell’ambientazione, per pagine, molte, venate da una provvidenziale vena poetica, per la caratterizzazione ineccepibile dei protagonisti, senza dimenticare la grande capacità di non ripetersi, ma di cercare e trovare ogni volta qualche cosa di veramente nuovo che possa ulteriormente interessare.
Il giorno dei morti è quindi un capolavoro, un romanzo di rara bellezza, avvincente come pochi, la cui lettura, più che consigliata, è vivamente raccomandata.