Il filo rosso
Letteratura italiana
Editore
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Giustizia privata
Bello, bellissimo, divorato in tre giorni, nonostante avessi molto altro da fare.
Innanzitutto lo stile dell'autrice mi ha catturata fin dalle prime frasi: diretto, schietto, senza fronzoli e così terribilmente reale.
Il filo rosso del dolore (splendida metafora), è teso e stretto sempre più, mano a mano che ci si addentra nel cuore della vicenda.
Antonio Lavezzi, il protagonista, è un uomo come tanti, ma la sua vita è stata dilaniata e stravolta dallo stupro e omicidio della figlia Michela. Ora è per lui arrivato il momento di scoprire che il suo travaglio non è ancora finito: riceve infatti una serie di messaggi in codice che irrompono nella sua piatta quotidianità. Antonio ritroverà quell'energia e determinazione che pensava di aver perso o forse di non aver mai avuto. E' un personaggio che mi è piaciuto tantissimo: l'ho trovato molto reale, molto concreto, descritto con profondità nelle sue debolezze e nelle sue contraddizioni.
Un romanzo ricco di colpi di scena, pathos e tensione, ma senza mai essere eccessivo o poco credibile. Lo stile dell'autrice calàmita l'attenzione e non allenta la presa, nemmeno quando i pezzi del puzzle da lei creato cominciano a prendere posto nella mente del lettore e nella vita di Lavezzi. Stile che rimane coerente sempre, anche nei cambiamenti di punti di vista dei vari protagonisti, delineati con precisione e particolarità.
Un thriller che consiglio assolutamente, la Barbato è stata per me una felicissima scoperta! In alcune cose può ricordare "Sorry" (come diceva gracy prima di me), ma non lo trovo affatto inferiore all'opera di Drvenkar: sono entrambi ottimi thriller.
Indicazioni utili
"Non spegnere la luce" di Stefano Tura
Déjà vu
Apprezzabile il libro per il semplice motivo che l'autrice, abbastanza forgiata per "deformazione professionale", ha ben strutturato la trama, tanti morti, tanto dolore tanta sofferenza e nessuna scusa, tutto giustificato dalla gratificazione del riscatto. Prevedibile fin dal primo omicidio tutto il senso del libro e la certezza che fino alla fine come in una roulette russa si sarebbero contati i morti. Gli ultimi tre capitoli riescono a riesumare un pò di originalità, perchè tutto il libro per me rappresenta un Déjà vu, "L'oscura immensità della morte" di Carlotto e "Sorry" di Drvenkar, che rispetto al libro in questione sono di gran lunga superiori.
"C'è chi nasce assassino e chi nasce Antonio Lavezzi"