Era di maggio
Letteratura italiana
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Pericoloso fantasma dal passato
Dopo il finale drammatico del precedente romanzo, il vice questore Rocco Schiavone scava nel suo passato alla ricerca dell'autore della vendetta nei suoi confronti. Si sposta così continuamente tra Aosta e Roma con la scusa di un plausibile sconvolgimento interiore per quanto accaduto mentre ad Aosta l'indagine precedente sembra avere altri strascichi in una morte in carcere che non è accidentale come sembrerebbe a prima vista.
Intanto il killer si muove nell'ombra per sfuggire alla cattura e tutto un mondo di intrighi e malefatte più o meno sepolte torna in superficie a rendere ancora più complicata la matassa per il vice questore Schiavone.
Quarto romanzo avente per protagonista il poliziotto romano in cui prevale la parte investigativa personale rispetto alle vicende della questura di Aosta e viene sviluppato l'ambiente all'interno del quale Schiavone si muoveva a Roma tra amici fidati ma non penalmente irreprensibili e delinquenti senza scrupoli.
La figura di Rocco Schiavone si delinea meglio nel suo "politically incorrect", aumentano i difetti ma molti di essi hanno dietro la loro croce e in certi momenti il vice questore diventa un pò colui che porta a termine le scorciatoie che spesso nella vita vorremmo sapere o potere prendere.
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Rocco Schiavone, il vicequestore
La storia noir raccontata da Antonio Manzini è frequentata da tanti personaggi e da innumerevoli intrecci, da Aosta a Roma, due città a cui la mia vita è legata e che mi ispirano nella scelta della lettura.
Vicende umane racchiuse in gabbie psicologiche e storiche. Tutti i personaggi sono prigionieri delle incomprensioni, dei risentimenti incomunicabili, delle nostalgie segrete.
Mi imbatto nel vicequestore Rocco Schiavone, nelle sue abitudini, nei suoi vizi: “doccia, colazione da Ettore a piazza Chanoux, questura, canna mattutina. Alla fine, e soltanto alla fine, visita alla morgue.”p.94
Interessante e dominante la figura di quest’uomo in guerra con sé, con gli altri, con la morte, primordiale e contemporaneo, rozzo e benevolo, scaltro e ingenuo, opportunista e simpatico. Un uomo di potere che si salva dalla miserabilità, coltivando il dolore e assistendo con sguardo vigile l’evoluzione della propria storia.
Vivacissime le sequenze: l’omicidio, le feste, il passato, i sogni. Se il frutto della pace è appeso all’albero del silenzio, in questa storia è il contrario, infatti, assisto ad una sequenza di conflitti, di scambi continui di comunicazioni, talvolta oscure. All’inizio, mi perdo nello scenario complesso di voci ma, presto, i miei cinque sensi collaborano nel riconoscere volti e dialoghi, sintomi e narrazioni.
Antonio Manzini soddisfa decisamente la mia bulimia da libro, capace come pochi di tipizzare i personaggi, di accompagnarli con decisione nei percorsi tortuosi delle loro esistenze. Il romanzo è pronto a diventare un film, con le scene che si susseguono determinate, mai monotone, in spazi e tempi giusti, alternando ombre e luci, etica e malavita, coscienza di sé e abbandono, attrazione e repulsione.