Dove il sole non sorge mai
Letteratura italiana
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Non tutti i romanzi rosa sono rosa
Scerbanenco è stato un grande autore italiano. Se diamo uno sguardo al panorama letterario attuale e ci soffermiamo agli autori italiani è facile notare miriadi di scrittori emergenti che sgomitano dalle più deboli case editrici a quelle più blasonate ormai orfane di identità. Perché scrivo questo? Perché il mio vuole essere un invito trasversale, un invito alla lettura italiana che sta nel mezzo, cioè tra i classici canonici e i contemporanei e solo dopo averli “pesati” cioè letti diventa più facile fare le differenze.
“Dove il sole non sorge mai” non è forse quello più apprezzabile di tutta la prolifica bibliografia di Scerbanenco, eppure leggendolo dopo quarant’anni dalla sua pubblicazione (1976) è forse una delle opere che rappresentano meglio il panorama italiano degli anni 60. Ricordando che egli non è solo il padre del noir, ma uno scrittore che ha spaziato dal western alla letteratura rosa, non ha mai perso di vista l’utilità della lettura e il rispetto del lettore che una volta accostatosi non rimane indifferente alle pagine che scivolano tra le dita anche quando ne rimane deluso, perché gli darà sempre quel riconoscimento di aver saputo trasmettere emozioni vere, anche quando sono pugni nello stomaco e ti senti afferrato per la gola e ti strattona fino alla parola fine, che poi è quello che è successo a me.
Una lettura spiazzante, commovente e fortemente evocativa, attraverso un linguaggio datato e all’uso di parole ormai in disuso, c’è tutto quello che oggi chiamiamo fiction. Si respira l’aria delle città del boom economico, non quella patinata ma quella triste, rude e poco brillante:
dai vecchi nobili attaccati al titolo che per portare avanti l’ingombrante blasone fanno di tutto per mantenere alto il tenore di vita, alle condizioni sconvolgenti degli operatori dei riformatori e delle case di recupero per minori (oggi case famiglie);
dalle scadenti e frammentarie indagini e delle sbrigative sentenze dei tribunali (non che oggi sia diverso, ma all’epoca non c’era la tv, non c’era la D’Urso e non c’era il web), all’aria viziata di fumo nei locali per le tante sigarette accese una dietro l’altra anche tra le ragazzine, compreso le sale da visita degli ospedali( pure lo scroscio dell’accendino ha il suo fascino);
dalla povertà della maggior parte degli italiani e soprattutto degli emarginati, disoccupati, ubriaconi, sfortunati e prostitute ai ricchi cerimoniosi che stappano lo champagne e mangiano caviale prussiano ( quello russo è poco snob).
Potrei parlare ancora all’infinito di questa perla della letteratura rosa ma non troppo, per sapere della storia che ci narra basta leggere la quarta di copertina, personalmente preferisco soffermarmi su queste sensazioni ricche di emozioni e di magoni.
“Ma lei ha dimenticato una cosa molto importante: che tutti soffriamo, non solo lei. E poi ne ha dimenticata un’altra: che la natura ha provveduto un potente rimedio quando si soffre: il pianto. Pianga, pianga tutte le volte che può, in qualunque luogo si trovi, di fronte a chiunque.. il pianto è la più grande medicina che conosciamo, contro il dolore. Se lei si irrigidisce, se lei si chiude nel mutismo, il dolore si gonfia dentro di lei, s’indurisce come pietra, diventa disperazione.”
Si fa presto a dire scrittore, ma la versatilità appartiene solo a chi ha talento.
Indicazioni utili
Più rosa che giallo
Amo Scerbanenco. I suoi personaggi sono sempre così reali che nel chiudere il libro vien voglia di salutare, come fossero amici da incontrare nuovamente al più presto.
Non è un giallo, questo, o forse lo è ma solo a margine; forse è solo una storia d’amore che si svolge in un’Italia che sembra quella di un film in bianco e nero con Sordi o con il primo Manfredi.
È il racconto ricco di sentimenti e di sofferenze, un racconto in cui la capacità di immedesimazione di chi legge è parte integrante della storia.
In fondo una storia semplice, quella di una ragazzina sfortunata che, senza colpa, viene condannata a qualche anno di riformatorio e non riesce ad uniformarsi alle regole di violenza psicologica imposta ai “corrigendi”, fino al punto di cacciarsi in guai sempre più grossi.
Intanto disperatamente pensa al ragazzo che ama che, credendola colpevole, non muove un dito per aiutarla.
Insomma una storia d’amore, ma strana, obliqua, anche un po’ datata.
Come sempre con i classici (ormai Scerbanenco è un classico, o no?) bisogna calarsi in un altro tempo ed accettare che per andare da Milano a Roma ci vogliano otto ore di viaggio o che per telefonare a qualcuno in teleselezione (vi ricordate la teleselezione?) sia necessario recarsi presso strutture ad hoc costituite.
Insomma una piccola immersione negli usi e costumi della metà del secolo scorso, ma anche un viaggio su una prosa scorrevole e godibile che non stanca mai.
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“Ma lei ha dimenticato una cosa molto importante: che tutti soffriamo, non solo lei. E poi ne ha dimenticata un’altra: che la natura ha provveduto un potente rimedio quando si soffre: il pianto. Pianga, pianga tutte le volte che può, in qualunque luogo si trovi, di fronte a chiunque.. il pianto è la più grande medicina che conosciamo, contro il dolore. Se lei si irrigidisce, se lei si chiude nel mutismo, il dolore si gonfia dentro di lei, s’indurisce come pietra, diventa disperazione.”
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