Dodici rose a Settembre Dodici rose a Settembre

Dodici rose a Settembre

Letteratura italiana

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«Mi chiamo Flor, ho undici anni, e sono qui perché penso che mio padre ammazzerà mia madre». Gelsomina Settembre detta Mina, assistente sociale di un consultorio sottofinanziato nei Quartieri Spagnoli di Napoli, è costretta a occuparsi di casi senza giustizia. La affiancano alcuni tipi caratteristici con cui forma un improvvisato, e un po’ buffo, gruppo di intervento in ambienti dominati da regole diverse dall’ordine ufficiale. Domenico Gammardella «chiamami Mimmo», bello come Robert Redford, con un fascino del tutto involontario e una buona volontà spesso frustrata; «Rudy» Trapanese, il portiere dello stabile che si sente irresistibile e quando parla sembra rivolgersi con lo sguardo solo alle belle forme di Mina; e, più di lato, il magistrato De Carolis, antipatico presuntuoso ma quello che alla fine prova a conciliare le leggi con la giustizia. Vengono trascinati in due corse contro il tempo più o meno parallele. Ma di una sola di esse sono consapevoli. Mentre Mina, a cui non mancano i problemi personali, si dedica a una rischiosa avventura per salvare due vite, un vendicatore, che segue uno schema incomprensibile, stringe intorno a lei una spirale di sangue. La causa è qualcosa di sepolto nel passato remoto. Il magistrato De Carolis deve capire tutto prima che arrivi l’ultima delle dodici rose rosse che, un giorno dopo l’altro, uno sconosciuto invia. Mina Settembre e gli altri sono figure che Maurizio de Giovanni ha già messo alla prova in un paio di racconti. In Dodici rose a Settembre compaiono per la prima volta in un romanzo. Sono maschere farsesche sullo sfondo chiassoso di una città amara e stanca di tragedie. Un mondo di fatica del vivere che de Giovanni riesce a far immaginare, oltre all’intreccio delle storie, già solo con il linguaggio parlato dai vari personaggi di ogni strato sociale: ironico, idiomatico, paradossale, immaginoso.



Recensione della Redazione QLibri

 
Dodici rose a Settembre 2019-09-09 13:59:41 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    09 Settembre, 2019
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Rose e spine per Mina

Gelsomina Settembre, detta Mina, è una quarantenne divorziata, di professione assistente sociale. Svolge la sua attività scarsamente e saltuariamente retribuita in un Consultorio ASL sito in un palazzo fatiscente nei Quartieri Spagnoli di Napoli. La sua lotta quotidiana consiste nel sopravvivere alle GdM (giornate di merda), che il destino le ammannisce con sempre maggiore frequenza, e sopportare stoicamente i suoi due Problemi (entrambi con la P maiuscola). Il Primo, e più assillante, è rappresentato dalla madre Concetta. La donna, sin dalle prime ore del giorno, si aggira minacciosa per casa sulla sua sedia a rotelle - che, con cigolii vari, intona gli incipit di popolari canzoni (sempre diverse a seconda dell'oliatura ricevuta) – e non manca occasione per infamarla e sbatterle in faccia che sta invecchiando e che a quarant'anni suonati non ha ancora trovato un straccio d'uomo che la faccia vivere nell'ozio e nell'agio, per quando lei, pensionata invalida, non ci sarà più. Il Problema Due, invece, farebbe la felicità della maggioranza delle donne ma non sua. Mina, infatti, possiede un seno di esuberante, seducente, prorompente fastosità, del tutto ignaro dell’esistenza della forza di gravità. Ma lei lo umilia dentro maglioni informi o casacche monastiche perché le ripugna il fatto che gli uomini vogliano relazionarsi solo con quell'appendice fisica, che lei aborre, e non con la sua intelligenza superiore.
Le giornate al Consultorio, poi, sono sempre ugualmente frustranti, dovendosi confrontare con donne bisognose di aiuto che non vogliono o non possono essere aiutate e con utenti di entrambi i sessi che cercano solo di eludere leggi che non si possono trasgredire. Poi, saltuariamente, arrivano pure i guai grossi, quelli veri, quelli che non ti fanno dormire la notte, come quello che le rivela la piccola Flor. Ha solo undici anni, ma ormai la vita l’ha fatta maturare in fretta e con gli occhi sgranati dal terrore confessa a Mina che il padre, prima o poi, ucciderà di botte la madre, immigrata peruviana, che per lui non è altro che il comodo capro espiatorio su cui sfogare tutti i suoi improvvisi scatti d’ira cieca. Ma che fare, se la donna non vuole sporgere denuncia, a suo dire per difendere la bambina, e il padre è un delinquente d’alto bordo, forse collegato alla camorra e al traffico illecito di armi?
Il microcosmo di guai e insoddisfazioni di Mina, questa volta, poi, si incrocerà a sua insaputa con un problema ancora più preoccupante: a Napoli da qualche tempo sta operando un metodico serial killer che uccide le sue vittime con un colpo di Luger alla nuca, dopo aver fatto recapitar loro dodici rose rosse, gambo lungo. Apparentemente, non c'è alcun collegamento tra i morti, ma è evidente il nesso tra gli omicidi. Nessun altro indizio aiuta le indagini: i carabinieri e il Pubblico Ministero Dott. De Carolis brancolano nel buio, sinché…

Io ho un personale debito di gratitudine nei confronti di Mina: l’ho incrociata casualmente alcuni anni fa poiché era la protagonista di un racconto (“Un giorno di Settembre a Natale”) inserito in una delle numerose antologie stagionali di Sellerio (“Regalo di Natale in giallo”). È stato solo grazie a lei se ho conosciuto la splendida e immaginifica prosa di Maurizio De Giovanni di cui mi sono immediatamente, perdutamente innamorato.
Purtroppo, dopo quel breve incontro, Mina è scomparsa dai radar dei lettori affezionati dell’A. napoletano, apparendo solo in un raccontino ancor più breve sempre inserito in una miscellanea simile.
Quindi è con gioia che ho appreso l’uscita di questo romanzo interamente dedicato a lei.
Dopo una lunga attesa (inspiegabilmente il volumetto è uscito con oltre un anno di ritardo rispetto alla data inizialmente programmata), finalmente ho potuto leggere questa nuova opera di De Giovanni che si distingue nettamente dalle precedenti, note al grande pubblico.
Infatti, dove i romanzi del Commissario Ricciardi sono ammantati da una cappa di cupo pessimismo e di melanconica poesia, solo raramente diradata dai siparietti comici del Maresciallo Maione con Bambinella, i racconti di Mina sono tutti intessuti su una trama di ironia beffarda, di equilibrato umorismo, di graffiante causticità. In essi emerge più che altrove la filosofia dei napoletani per la quale anche le situazioni più drammatiche, in fondo, non sono mai cose serie e il lato comico della vicenda prima o poi emerge.
Poi, dove la serie dei “Bastardi di Pizzofalcone” appare come una fotografia a forti tinte dei mali di Napoli, le storie dell’assistente sociale pettoruta e dei personaggi che le gravitano attorno, invece, mostrano il lato più scanzonato della città partenopea, quello dove basta un po’ di inventiva, qualche sotterfugio al limite del lecito (o anche oltre questo limite, purché sempre sia a fin di bene) per risolvere “il guaio” di turno, per metterci “una pezza sopra”.
L’unico mio timore era che questo genere di storie non reggesse la distanza. Nel breve respiro di un racconto i vari tormentoni, le reiterate “uscite” di Concetta, del portiere-satiro Giovanni Trapanese, detto Rudy, del ginecologo Domenico Gammardella “chiamami Mimmo”, sono gradevoli e strappano più di un sorriso, quando non una piena risata liberatoria. Ma sulla lunghezza di un romanzo ce l’avrebbero fatta a non annoiare?
Sono stato felice di constatare che lo stile e l’abilità letteraria di De Giovanni abbiano vinto anche questa scommessa: “Dodici rose a Settembre” si rivela senza dubbio un buon libro, divertente, a momenti spassoso, pur trattando, coi dovuti rispetto ed empatia, le circostanze dolorose quando non addirittura tragiche che narra e senza rinunciare a qualche frase che fa meditare.
Forse l’A. ha insistito troppo su alcuni tormentoni, forse alcune battute dopo un po’ perdono di efficacia e freschezza, ma complessivamente l’opera è decisamente gradevole e leggibilissima. I personaggi sono ben delineati anche per chi li incontra per la prima volta e lo stile è (manco a dirlo) impeccabile, ma pure brioso e scorrevole.
Gli unici due nei li ho trovati nella trama più propriamente poliziesca. Infatti il killer delle rose rosse assomiglia decisamente troppo, come tipologia, modus operandi e moventi, a quello de “Il metodo del coccodrillo”. Ciò toglie ogni sorpresa al lettore affezionato al quale sembra di assistere ad un déjà-vu.
Inoltre uno dei pochi colpi di scena di tutto il romanzo va perduto per chi già conosce il personaggio di Mina e i suoi trascorsi familiari e, quindi, se lo aspetta sino dall'inizio. Ma va detto in tutta franchezza che questo romanzo non è un giallo in senso classico: l’indagine di carabinieri e PM fa solo da fondale alle tribolazioni della deliziosa assistente sociale. Lei si muove su un piano narrativo differente ed è su quello che va a posarsi la nostra attenzione. Solo nelle battute conclusive si trova a vivere, suo malgrado, una storia ancor più incasinata di quelle che è normalmente avvezza ad affrontare nelle sue consuete GdM, le quali, poi, alla fine, possono pure mostrare un lato non sgradevole e rivelarsi meno dM di quanto temuto.
In definitiva il romanzo è tutto da godere e assaporare.

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Consigliato a chi ama De Giovanni, a chi ama Napoli e a chi vuol passare alcune ore in compagnia di una storia divertente e gradevole. L'aver letto precedentemente i due racconti d'esordio ("Un giorno di Settembre a Natale" e "Telegramma da Settembre") non è condizione essenziale per la comprensione delle situazioni, anzi, in alcune circostanze spoglia un po' la gioia della scoperta.
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Dodici rose a Settembre 2020-04-15 16:14:39 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    15 Aprile, 2020
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Ditelo con i fiori

Gelsomina Settembre, protagonista di questo romanzo di Maurizio De Giovanni, è un personaggio relativamente nuovo, avendo già compiuto delle brevi comparsate in racconti precedenti dello scrittore napoletano.
De Giovanni è oramai un autore di chiara fama, noto al grande pubblico in particolar modo per i suoi romanzi seriali, aventi a protagonisti eroi trasportati anche in fortunate fiction cinematografiche, o in procinto di esserlo.
La fortuna di De Giovanni gli è data dall’abilità con cui, ad esempio, ha saputo creare Luigi Alfredo Ricciardi, originale figura di commissario della Regia Questura di Napoli durante il ventennio fascista.
Un commissario di polizia inconsueto a dir poco, molto sui generis, perché all’aspetto da bel tenebroso fa da contraltare una spiccata sensibilità personale, una struggente e malinconica, misteriosa qualità, un “fatto” al limite dell’inverosimile, e che poi altro non è che un particolarissimo “sentire” le atmosfere lugubri dei tempi, foriere di futuri lutti e sventure.
Ricciardi non è un sensitivo, è un sensibile, non è un medium, è un sensate, quello che “recepisce” non è qualcosa di utile alle indagini sugli assassini su cui è chiamato ad investigare, anzi, è più spesso fuorviante.
Semplicemente il nostro commissario “sente” perfettamente le persone, le strade, gli umori, la mentalità e il modo di vivere della città in cui opera, Napoli da sempre miserevole e miseranda, ancor di più sotto la dittatura, da sempre vittima e carnefice di se stessa.
Dove ancora c’è gente che muore letteralmente di fame o per i motivi più tragici e ingiusti, e Ricciardi è come un medico che sente il polso alla città, ne capta gli umori e i veleni, le vanità e sopratutte le più manifeste ingiustizie. Gli travagliano l’anima, e assumono parole e sembianze degli ultimi momenti di vita delle vittime della tragedia di vivere di questa città.
Analogamente, funzionano i romanzi di De Giovanni con protagonisti i Bastardi di Pizzofalcone.
Nonostante il nome dispregiativo, si tratta di poliziotti, e di bravi agenti dopo tutto, un’intera squadra investigativa volta a reggere le sorti di un commissariato di Polizia, in uno dei quartieri più insoliti e variegati di Napoli, Pizzofalcone, appunto.
Un quartiere vasto e disparato, posto in posizione strategica e delicata, tra la collina, il mare e il centro antico e fatiscente, misterioso e coinvolgente.
Ricco di monumenti e opere d’arte e di obbrobri impronunciabili, dove puoi trovare piccoli delinquenti e camorristi d’alto bordo, ricchi imprenditori e affaristi sull’orlo del fallimento, famiglie ricchissime e immigrati alla fame.
Dove vivono frammisti e a contatto di gomito, quasi stratificati in poco spazio l’uno sull’altro i ceti sociali estremi e disparati, dove s’incontra la Napoli antica e anticata del centro storico, affascinante, ammaliante e pericolosa per definizione più che per fattiva realtà abitativa, con la Napoli bene e meno bene, la Napoli dei volgari nuovi arricchiti e dei vecchi benestanti per nobiltà presunta o vantata.
Come Ricciardi esercita a Napoli e osserva e sente Napoli, e, il suo umore, così nella Napoli moderna del giorno d’oggi anche qui i poliziotti indagano, scandagliano Napoli e i suoi abitanti, tastano con mano il suo umore, ne “sentono” suoni, rumori, armonie, strida.
Poiché ciascuno di loro è una persona a sé stante, è come se tutti insieme componessero un puzzle, costituito dai pezzi della città, piccoli frammenti dell’essere senziente denominato “Napoli”, ciascun pezzetto unico, perchè mediato dalle personali esperienze di vita dei poliziotti.
Ne viene fuori un ritratto vero, reale, figurato, vissuto, una panoramica della città, con tutte le sue continue stridenti contraddizioni e contrapposizioni, ciascun pezzo del puzzle va così a incastrarsi perfettamente con gli altri, decantando la soluzione dell’arcano su cui indagano.
Gelsomina Settembre non è da meno, è la sorella minore dei personaggi di De Giovanni che l’hanno preceduta nel parto della fantasia dello scrittore napoletano.
Come in quei romanzi, anche qui la vera protagonista assoluta non è Mina Settembre, assistente sociale, che sbarca il lunario tentando disperatamente di far funzionare un presidio sociale in uno dei quartieri più sgangherati della città.
La vera signora del libro è Napoli.
La Napoli dove la gente non va dall’assistente sociale per avere sussidi, ma per chiedere che le istituzioni scolastiche la smettano di infastidirli, pretendendo che i piccoli di casa frequentino la scuola: forse non è chiaro a quegli sfaccendati operatori di cultura che a casa loro sono i piccoli a procacciare i mezzi di sostentamento. In quale modo, non è essenziale saperlo.
Una città dove deve essere non un adulto, sotto qualsiasi veste, anche di un vicino di casa o di un parente, di un prete o di un insegnante, ma una bambina di pochi anni a preoccuparsi, a prodigarsi, a industriarsi, a cercare il modo di evitare il più spietato dei femminicidio, quello della propria madre.
Una città dove le amiche si premurano di cercarti un partner, ti criticano per la vacuità della tua vita sociale e affettiva, ti aggiornano con certosina precisione su futilità e pettegolezzi vari, ma non esitano a prodigarsi generosamente a proprio rischio e pericolo, in tuo soccorso, collaboranti e collaborative senza indugio e senza freni.
Il tutto, condito con ironia, sarcasmo, umorismo involontario o meno, costante arte di arrangiarsi, abitudini deleterie, giornate all’insegna di…rifiuti umani, commenti salaci e battutine sul decolleté della giovane assistente sociale, della sua onnipresente e ossessiva madre pseudo invalida, sulla timidezza dei medici corteggiatori di Mina, ammaliati da lei, anche a loro insaputa.
De Giovanni è un giallista, per definizione, etichetta in verità alquanto risibile: c’è quindi qui anche un mistero, e un serial killer, legato alla consegna di rose rosse, un mistero enunciato effettivamente in codice grazie alla regolare consegna dell’omaggio floreale, come dire, un classico ditelo con i fiori.
Se poi l’enigma è simile a quello ideato nel romanzo prequel della serie dei Bastardi di Pizzofalcone, ebbene…poco male.
Il format di Maurizio De Giovanni è quello, come la protagonista di tutti i suoi libri, Napoli.
La città che ama, che come tutte le donne di cui ci s’innamora, ci esalta e ci fa dannare insieme.
Resta sempre bellissima, stupenda, merita rose rosse. A gambo lungo.

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Maurizio De Giovanni, e a chi conosce Napoli, o vorrebbe conoscerla.
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Dodici rose a Settembre 2020-01-14 07:01:30 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    14 Gennaio, 2020
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Dodici rose, perché?

Dodici rose a Settembre: il romanzo inaugura una nuova serie firmata da Maurizio de Giovanni, che affianca ai romanzi interpretati da Ricciardi e dai Bastardi di Pizzofalcone quelli con Gelsomina Settembre detta Mina, assistente sociale presso lo scalcinato Consultorio dei Quartieri Spagnoli.

Reduce dalla separazione dal marito Claudio, la procace protagonista è alle prese con un caso di violenza domestica segnalato da una minorenne. Mina non si dà pace sino a che non trova una soluzione rocambolesca e scenografica per togliere la malcapitata moglie dalle grinfie di un marito manesco e delinquente. Nell’impresa Mina è coadiuvata dal bellissimo ginecologo Domenico Gammardella (“Ricordandole il Redford de Il candidato, uno dei suoi film preferiti”) e dal portiere Rudy Trapanese.

Sulla vicenda s’innesta una serie di omicidi, che sono affidati al magistrato De Carolis e che colpiscono “un avvocato ricco e stakanovista, una casalinga sfatta e malinconica, un musicista con un grande futuro dietro le spalle, un scenografo gay e di successo”. I delitti sono accomunati da un particolare (“E faccia pure analizzare quelle rose: non c’entrano nulla col resto dell’arredamento, voglio sapere che significano”) non facile da decifrare (“Perché dodici? ... I mesi dell’anno? … Dodici erano gli apostoli, dodici i cavalieri della dannata tavola rotonda, dodici gli dei maggiori dell’Olimpo. Ddici le fatiche d’Ercole, dodici i Titani…”), ma che conduce alla soluzione (“Non credeva alle sfide, ma solo alla volontà di firmare in un modo molto originale la propria opera. E chi firma qualcosa, lo lo fa perché si conosca il suo nome”).

Il romanzo si affida alle caricature individuali (“Un uomo che aveva un potentissimo afrodisiaco incorporato nei lineamenti”) e collettive (“Signori’, rispondete, sentite a me. Se no vi richiamano in continuazione, con queste offerte commerciali. Io dico solo vaffanculo, e chiudo: vi assicuro che imparano subito la lezione”) dei personaggi e ad alcuni tormentoni-ritornello (i film interpretati da Robert Redford): divertenti sì, ma iperbolici e talvolta forzati.

Giudizio finale – citazione, tratta da un romanzo dal quale De Giovanni mutua lo schema dell’omicidio-vendetta: “In qualunque momento della nostra vita abbiamo la morte alle spalle” (Agatha Christie, Dieci piccoli indiani).

Bruno Elpis

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Dodici piccoli indiani di Agatha Christie
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Dodici rose a Settembre 2019-09-20 07:24:51 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    20 Settembre, 2019
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Mina Settembre

Dodici rose a Settembre è un titolo emblematico dell’ultimo libro di Maurizio De Giovanni. Ma nuova è la protagonista. Si chiama Mina Settembre, fa l’assistente sociale in un poliambulatorio nei Quartieri Spagnoli di Napoli, è separata dal marito Claudio e due problemi la affliggono quotidianamente: le giornate di GdM e la madre invalida, che la rimprovera costantemente di non avere una relazione con un uomo facoltoso, che assicuri ad entrambe una certa agiatezza. E’ un periodo che riceve una rosa rossa al giorno, da uno sconosciuto. Il fatto è di per sé inquietante, perché lo stesso regalo hanno ricevuto delle persone che poi dopo il dodicesimo giorno sono morte violentemente. Sono:
“un avvocato ricco e stakanovista, una casalinga sfatta e malinconica, un musicista con un grande futuro dietro le spalle, uno scenografo gay di successo.”
E’ un incubo? E Mina è veramente in pericolo? Cosa rischia?
Un giallo che non mi ha entusiasmato, sia nei contenuti che nella trama. Una caratterizzazione dei personaggi che sfiora il ridicolo, specie in alcuni episodi che vedono coinvolta la stessa assistente sociale. Certo non vi è lo spessore narrativo e di fascino che caratterizzavano, ad esempio, i primi libri con protagonista il commissario Ricciardi. Una lettura semplice, veloce, priva di particolari qualità. Forse troppe pubblicazioni, necessitano di una pausa di riflessione? Mah….

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Dodici rose a Settembre 2019-09-13 10:29:07 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    13 Settembre, 2019
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Rose rosse per te...

Gelsomina Settembre, detta Mina, ha quarantadue anni, è assistente sociale, separata dal marito e vive ancora nella cameretta di quando era ragazzina. Il matrimonio fallito alle spalle, una passione sociale che ha fortemente voluto diventasse una professione seppur consapevole che mai le avrebbe garantito successo lavorativo e una vera indipendenza economica, e una madre, il Problema n. 1, di nome Concetta, sono un po’ la sintesi della sua vita. Portatrice di un meraviglioso davanzale che non si rassegna alla quinta misura di reggiseno contenitivo all’interno del quale cerca di contenerlo da quando ha sedici anni e di un temperamento deciso e risoluto, la donna si occupa di casi eterogenei e borderline all’interno del consultorio situato in un fatiscente palazzo alla fine di un fatiscente vicolo, con un paio di fatiscenti negozi al piano terra e una fatiscente guardiola che avrebbe, nelle ipotesi, dovuto ospitare un fatiscente portinaio, in quel di Napoli insieme al nuovo e avvenente ginecologo, e per questo super pericolosissimo, Domenico Gambarella, detto Mimmo, e bello come Robert Redford, dal fascino involontario, una fidanzata medico oltre frontiere (con cui non ha il coraggio di troncare perché abituato a rispettare gli impegni presi con massima serietà) e una volontà spesso frustrata. Le giornate (GdM) si susseguono nella più totale ordinarietà, con le solite pazienti abituali e le solite beghe, quando in una mattinata come tante ecco palesarsi la piccola Flor, di anni undici e con una certezza: “sono qui perché penso che mio padre ammazzerà mia madre”.
Ofelia Ramirez, madre di Flor Caputo, figlia di Alfondo Caputo, di origini peruviane, vive in vico Albanesi n. 50, al secondo piano ed è vittima delle prepotenze di quell’uomo invischiato in affari di dubbia legalità. La bambina, stanca di assistere inerme alla situazione, cerca aiuto nell’unico luogo in cui sa che nessuno verrà mai a cercarle o ad avere dei sospetti.
Da qui ha inizio la nuova appassionante avventura narrata da De Giovanni, un racconto dove si susseguiranno molteplici avvenimenti che vedranno da un lato affrontare la tematica del maltrattamento familiare e della violenza fisica e psicologica sui congiunti e dall’altro la risoluzione, da parte dell’ex marito dell’assistente sociale, Claudio, di una serie di misteriosi omicidi aventi tutti quali denominatore comune la presenza di dodici rose rosse recapitate al destinatario di turno in un lasso di tempo variabile ma in modo consecutivo. I due casi, magistralmente e in pieno stile dell’autore, finiranno con l’intrecciarsi in un finale ben strutturato che tiene bene le fila del narrato.
Il risultato è quello di un componimento davvero piacevole, un componimento che si divora e che fa venire voglia di leggere ancora e ancora delle avventure di Mina. Onestamente avevo ravvisato un calo nelle opere del napoletano e dopo la chiusura delle avventure di Ricciardi ero tentata di rallentare con i suoi scritti. “Dodici rose a settembre” mi è arrivato tra le mani per caso ma sono proprio felice di averlo letto e lo consiglio con piacere.

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