Documenti, prego
Letteratura italiana
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Opinioni inserite: 6
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Mai una certezza
Questo non è il libro che ci si aspetta da Andrea vitali. Niente Bellano, niente lago di Como e neppure l'aria dell'insieme di varia umanità che popola di solito i suoi racconti. Invece un ometto, come tanti, a cui capita di spostarsi per lavoro e che strada facendo viene fermato per un controllo e gli viene contestato di avere al carta di identità scaduta. Da qui inizia un viaggio folle tra realtà, sogno e fantasia. Arrestato da una qualche autorità severa e poco comprensiva finisce in una cella isolata dal mondo. Tenta di fuggire ma si ritrova sempre al punto di partenza. E' un sogno, un incubo, sta delirando? Vitali non ce lo dice e lascia a noi decidere. Questo libro mi ha lasciato abbastanza perplessa, soprattutto perché è diverso da quello che mi aspettavo. Non sono sicura di averne capito a fondo il significato, anzi non so neppure se ci fosse qualche metafora o altro di particolarmente profondo alla ricerca del quale scavare. Ci vedo, con le dovute cautele, qualcosa di simile al Processo di Kafka, ma considerando l'ironia e il piacere nel gigioneggiare dell'autore potrebbe anche trattarsi solo di una presa in giro.
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CONFUSIONE
Ho appena terminato la lettura del libro di Andrea Vitali, "Documenti, prego" e devo dire che fino alla fine dell'ultima pagina ho mantenuto in viso un'espressione costante di confusione.
Il libro è lungo circa un centinaio di pagine e presenta varie situazioni e personaggi che interagiscono con il protagonista, un funzionario che fa avanti e indietro da casa per chiudere contratti con potenziali clienti.
Tutto inizia quando un uomo con i baffetti becca la carta d'identità ormai scaduta da mesi del protagonista e usa questo pretesto per prelevarlo e portarlo a fare "un semplice controllo" di routine.
Da questo momento in poi non si capisce se si tratti tutto di un sogno o di un qualche delirio dell'uomo. Ci sono come dei falshback intervallati da momenti nel presente, ma in modo confusionario. Si alternano situazioni di quotidianità, caratterizzati dalla vita coniugale e lavorativa, a contatto con moglie e colleghi, e si tubazioni di reclusione per un qualche motivo oscuro che non viene detto o fatto capire implicitamente.
Non vengono specificati i nomi dei luoghi e dei personaggi, ma ognuno ha delle caratteristiche peculiari che li descrive, come il miope, il baffetto o il figlio che "comunica" con le foglie.
Anche il finale è lasciato libero alle interpretazioni del lettore e lascia una sensazione di insoddisfazione e incertezza.
In conclusione non mi sento di consigliare questo libro.
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Incertezze
«Aveva qualcosa di consolatorio l’idea di un mondo circoscritto alla cabina di un camion. Chiudere la portiera sui rumori, ritirarsi in quell’ambiente raccolto. Una fantasia infantile. Mi piaceva»
Una notte come tante, un viaggio di lavoro. Responsabile del settore alimentare conserviero della sua ditta, il protagonista di questa storia ideata da Andrea Vitali è in viaggio con due colleghi quando viene fermato da una non qualificata pattuglia che, capitanata da un uomo in baffetti, gli chiede di mostrare i documenti. Questi risultano scaduti da circa sei mesi. Viene prelevato per “un semplice controllo di routine”. Un luogo stranissimo, chiuso, ostile ma da cui riesce ad andarsene. Sicuramente sarà stato un sogno. Poi, di nuovo in viaggio per lavoro, una pattuglia – ancora – che lo ferma, la carta d’identità scomparsa. Dove si trova? Dove l’ha lasciata? Eppure la porta sempre con sé! Che il sogno non sia stato un sogno? Di nuovo la strana reclusione, l’interrogatorio affinché confessi il suo presunto reato, un reato che non ha commesso. Dov’è sua moglie? Perché non è al suo fianco? Quando potrà rivederla? È un incubo oppure è realtà?
È da questi brevi assunti che si snoda questo lungo racconto di un centinaio di pagine che si stacca dai luoghi del Bellano così cari al narratore. Un perfetto connubio tra surreale e reale capace di suscitare emozioni discordanti nel lettore che è incuriosito, a tratti angosciato da quanto accade ma soprattutto chiamato ad interrogarsi sui lati più oscuri della giustizia in Italia.
L’opera scorre rapida, si esaurisce in una serata, e si concentra sul tema della fragilità e precarietà della vita. Tuttavia, per quanto gli intenti siano preziosi, il testo arriva soltanto in parte in quanto non all’altezza dei precedenti lavori del romanziere ma soprattutto perché, per tutto l’arco del suo scorrere, la sensazione nel lettore è quella di un qualcosa di già visto o sentito a cui si somma una silenziosa ma martellante domanda sul senso del testo, sul dove il letterato voglia andare a parare.
Una lettura non indimenticabile e certamente non la migliore di Vitali.
«Illuminato dalle luci gialle delle gallerie, il mondo fa paura. Le gallerie stesse sono una paura che non cessa mai. Le gallerie sono infinite. Trattengono le voci, moltiplicano l’eco dei motori, nascondono le croci degli uomini che sono morti per scavarle. Il giallo è un colore malato. Dipinge a volte la nostra pelle e i campi arsi dalla siccità. Il giallo è un colore tossico. Forse l’uomo ha imparato dai vermi a scavare le gallerie»
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Riflessioni sulla precarietà della vita.
Racconto lungo o romanzo breve, fatto sta che questo “Documenti, prego” si presta a svariate interpretazioni, anche ascoltando il parere di amici e conoscenti che l’hanno letto e si chiedono (mi chiedono) spiegazioni e significati reconditi. Certo è che Vitali ha sbrigliato la sua fantasia, abbandonando (ed è per due volte di seguito, dopo il più convincente “Sotto un cielo sempre azzurro”) temporaneamente i lidi di Bellano. Ed è altrettanto certo che il protagonista del libro, responsabile del settore alimentare conserviero della sua ditta, in viaggio d’affari con due colleghi, va incontro ad una esperienza da incubo, bloccato da un’imprecisata pattuglia per un controllo dei documenti e portato via con la scusa di un “semplice controllo”. L’interrogatorio è cortese, per alcuni versi disarmante, il poveretto non sa spiegare i motivi per cui la sua patente è scaduta, viene isolato in una cella ma riesce ad allontanarsi con una scusa…. Rientra a casa, felice di riscoprire gli affetti familiari ma ecco (realtà o sogno?) un’altra fermata, documenti, controlli, arresto, isolamento in una cella in attesa di una confessione.. Un oscillare surreale tra la realtà (o sogno?) di una vita familiare apparentemente felice, una moglie che dorme serenamente accanto a lui, un figlio che colloquia con le foglie cadute dagli alberi, e il sogno (o realtà?) di malaugurati incontri con presunti tutori dell’ordine che procedono a controlli, accusando il malcapitato di colpe imprecisate. I personaggi sono tratteggiati magistralmente. Intanto il protagonista, incredulo di quanto gli sta capitando, smarrito e quasi rassegnato ad un beffardo destino, poi il rappresentante della legge, un “baffetto” garbato ma inflessibile, cortese ma deciso nel far rispettare assurde regole burocratiche, e poi ancora un collega di lavoro esperto nel raccontare in continuazione barzellette e soprattutto nel godersi la vita, la moglie del protagonista, una donna evanescente, quasi a sottolineare l’atmosfera onirica che aleggia sul racconto, e infine quello strano figlio che parla (corrisposto?) il linguaggio delle foglie che cadono dagli alberi. Il tutto basta e avanza per far riemergere nella mia memoria, quasi istintivamente, due capolavori del passato, un libro e un film. Il libro è “Il processo” di Kafka, in cui il protagonista, Joseph, viene arrestato e perseguitato da un’autorità imprecisata e remota, le cui sentenze vengono accettate passivamente, quasi a significare l’ineluttabilità di una giustizia irrazionale e misteriosa. Il film è un capolavoro di Ettore Scola, “La più bella serata della mia vita”, del 1972, dove un grande Alberto Sordi viene ospitato nel castello di Tures presso Bolzano, sottoposto, come altri ospiti, ad un processo farsa e condannato: il giorno dopo, avrà un incidente mortale con la sua fiammante Maserati precipitando in un burrone.
Se qualche lettore ricorderà il libro e il film, troverà atmosfere sospese tra sogno e realtà, come nel breve romanzo di Vitali. Romanzo che fa comunque riflettere sulla burocrazia di una giustizia cieca e imperscrutabile e, soprattutto, sulla fragilità e precarietà della vita.
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LA CERTEZZA DEL DUBBIO
Premetto che non è stato semplice da parte mia scrivere questa recensione, dopo aver letto l’ultima pagina il mio primo pensiero è stato quello di trovare le parole adatte senza cadere nel banale, cercando di esprimere la mia opinione e di coglierne il giusto significato. Per quanto mi riguarda questo non è un libro semplice da descrivere e non mi riferisco al volume – sono 111 pagine – bensì al contenuto, il quale può dar luogo alle più svariate interpretazioni oppure lasciare il lettore con l’amaro in bocca ed un grosso punto di domanda.
Partiamo dal protagonista della vicenda: un uomo realizzato sul lavoro e negli affetti, premuroso in famiglia e cinico negli affari, un uomo qualunque con una vita ordinaria, metodico e attento; un uomo che non ha nome. Nessuno ha un nome, perlopiù ha un soprannome oppure un aggettivo a definizione del personaggio: il baffetto, il miope, l’uomo in divisa, il funzionario.
Anche i luoghi sono astratti, oserei dire al limite dell’onirico: potremmo essere ovunque ed in nessun posto allo stesso tempo.
Accade che una sera il nostro uomo è in auto con un paio di colleghi di ritorno da una lunga giornata di lavoro dove ha concluso affari più che soddisfacenti; una sosta in autogrill è d’obbligo per bere un caffè e fumare una sigaretta sgranchendosi le gambe. Distrattamente parcheggiano nel posto dedicato ai disabili, tuttavia lo spiazzo è semivuoto e pertanto non lo reputano un problema. Il caffè del nostro uomo è stato appena poggiato sul bancone quando, tra camionisti assonati e sotto lo sguardo indifferente delle ragazze del bar, nel locale irrompe il baffetto domandando di chi fosse l’auto in sosta nel parcheggio riservato; si sussegue un breve scambio di battute al termine del quale il curioso personaggio chiede i documenti d’identità ai tre malcapitati. Ed ecco che il nostro uomo, così preciso e così affidabile, si rende conto che il suo documento è irrimediabilmente scaduto da mesi e questa leggerezza, questa piccola dimenticanza, lo risucchia in una spirale di situazioni assurde al limite del grottesco.
E qui nasce la mia difficoltà nel darvi il mio parere su questo libro; la narrazione è in costante bilico su “frame” che abbandonano il lettore al costante dubbio “sogno o son desto?”, il nastro si riavvolge e poi riparte allo stesso punto, quella giornata e quella serata si ripetono in un loop confuso tramutandosi nella trama stessa, un cerchio infinito che pare non voglia chiudersi mai. Il protagonista perde la lucidità e il controllo sulla sua esistenza e tutto ruota attorno a quel “semplice controllo” scaturito da una sciocca distrazione quale può essere non rinnovare tempestivamente il proprio documento d’identità.
Quel che non so dirvi, non del tutto onestamente, è il mio parere su quanto questo libro possa essere geniale quanto il contrario, forse non sono stata brava a cogliere ogni più sottile sfumatura seminata volutamente qua e là fra le pagine o più semplicemente non ce ne sono, magari in futuro capiterà che qualcuno di voi lo legga e ne scriva il suo personale ed appropriato punto di vista, per il momento l’unica certezza è che mi aspettavo qualcosa di più, quel colpo di scena mai arrivato o quella svolta inaspettata a dare il giusto sapore ad una storia altrimenti un poco insipida, che sa tanto di insalata mista senza condimento.
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Non sempre è necessario pubblicare
Non credo che avessimo bisogno di questo romanzo di Vitali, il quale, per una sua estimatrice e affezionata lettrice come me, risulta veramente brutto e sinceramente inutile. La trama è inconsistente, è ripetitivo e si srotola intorno ad una idea che non decolla mai.
Non sempre è necessario pubblicare!